Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5335 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5335 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 22122-2008 proposto da:
MAZZA ANTONINO C.F. MZZNNN41ROZ326Z, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso lo
studio dell’avvocato BONANNI EZIO, rappresentato e
difeso dall’avvocato MANCHISI MICHELE, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2014
324

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 07/03/2014

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
RICCIO ALESSANDRO, PATTERI ANTONELLA, VALENTE NICOLA,
giusta delega in atti;
– controricorrente

di ROMA, depositata il 07/09/2007 r.g.n. 7886/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito l’Avvocato CAMPOREALE LUCIA per delega MARCHISI
MICHELE;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIo per delega verbale
PATTERI ANTONELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 3069/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7 settembre 2007 la Corte di Appello di Roma rigettava l’impugnazione di
Antonino Mazza avverso la sentenza del 17 marzo 2005 del Tribunale di Latina, che
respingeva le sue domande di accertamento (in quanto profugo dalla Libia per riconoscimento

combattenti ai sensi dell’art. 6 1. 140/1985, del proprio trattamento pensionistico e di
condanna dell’Inps al pagamento delle relative differenze, oltre rivalutazione monetaria e
interessi legali.
La sentenza di appello si fondava essenzialmente sul critico ed argomentato esame della
portata precettiva del primo comma della norma citata, secondo la condivisa interpretazione di
precedente di questa Corte (sentenza n. 3749/1998), riportato per ampi stralci.
Antonino Mazza ricorre per la sua cassazione sulla base di sette motivi di gravame, illustrati
anche da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste l’Inps con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo del giudizio,
ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata (come pure quella del
tribunale) motivato solo formalmente, in assenza di esposizione dello svolgimento del
processo e dei motivi di fatto e di diritto a fondamento della decisione.
Con il secondo motivo, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
112, 132 n. 4 c.p.c. e 111 Cost., degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697, 2699, 2700, 2727 e 2729
c.c., nonché di tutte le norme della 1. 1204/71 e dell’art. 117 1. 83/70 e vizio di motivazione, in
relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata (e prima di essa
quella del tribunale) correttamente applicato, a fronte di una deduzione assolutamente
generica dell’Inps (anche in riferimento all’art. 416 c.p.c. come interpretato in particolare

con decreto prefettizio del 3 settembre 1974) del diritto alla maggiorazione, prevista per gli ex

dalle sentenze delle sezioni unite di questa Corte n. 13533/01 e n. 11353/04), il principio di
non contestazione, incorrendo pure nel vizio di ultrapetizione.
Con il terzo motivo, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 416
c.p.c., in riferimento all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, nonchè dell’art. 112 c.p.c. (pure richiamate le

avrebbe comportato l’accertamento del diritto rivendicato, siccome non controverso.
Con il quarto motivo, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e
421 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per non avere (il tribunale prima e quindi) la
Corte d’Appello ammesso i mezzi istruttori richiesti (ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210
c.p.c. ed informativa ai sensi dell’art. 213 c.p.c. nei confronti dell’Inps di Latina e della
Prefettura di Latina o diversa competente; C.t.u. contabile in mancanza di conteggio
dell’istituto), qui reiterati in funzione della loro essenzialità ai fini dell’accertamento della
verità; con ridondanza della mancata ammissione dei suddetti mezzi istruttori in vizio di
motivazione su fatti controversi e decisivi.
Con il quinto motivo, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116
c.p.c. e vizio di motivazione, in riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., per non avere (il
tribunale prima e quindi) la Corte d’Appello correttamente valutato i documenti prodotti ed in
particolare la comunicazione — parere del 26 gennaio 1973 della Direzione Generale
dell’Assistenza Pubblica del Ministero dell’Interno, di assimilazione ai profughi di guerra dei
connazionali rimpatriati della Libia, anche dopo il 1° settembre 1969 purchè anteriormente ivi
residenti (come appunto il ricorrente, rimpatriato il 17 settembre 1970, secondo la risultanza
del decreto del Prefetto di Latina del 2 gennaio 1975), con travisamento pure dei fatti di causa,
accedendo ad una non condivisibile interpretazione dell’art. 3 1. 319/63 e di tutte le norme
della 1. 1225/64, con esclusione pure della rilevanza dello “stato di necessità” decretato, a
norma dell’art. 3, ult. comma 1. 319/63, dal Presidente del Consiglio dei Ministri con
provvedimento 6 maggio 1970; con ridondanza pure delle violazioni denunciate in vizio di
motivazione su fatti controversi decisivi.

norme denunciate con i primi due mezzi), ancora per la generica contestazione dell’Inps, che

Con il sesto motivo, Antonino Mazza deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 1.
319/63, delle norme della 1. 1225/64, del D.P.C.M. 6 maggio 1970, dell’art. 6 1. 140/85 e
dell’art. 6 1. 29 dicembre 1988 e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.,
in riferimento alla propria vicenda in fatto, anche in comparazione con analoghi casi

merito non condivisa, anche per richiamo del principio di diritto affermato da questa Corte
con la sentenza n. 14285/2005.
Con il settimo motivo, Antonino Mazza deduce travisamento dei fatti, falsa ed erronea
motivazione e violazione dell’art. 111 Cost., per avere la sentenza impugnata
ingiustificatamente distinto la categoria degli ex combattenti da quella dei profughi e questi, a
seconda della nazione di provenienza, con richiamo in proposito della citata comunicazione —
parere 26 gennaio 1973 della Direzione Generale dell’Assistenza Pubblica del Ministero
dell’Interno e del parimenti citato D.C.P.M. 6 maggio 1970, di interpretazione autentica della
normativa di legge; una diversa interpretazione denunciando ingiustificata disparità di
trattamento dei profughi dalla Libia, in violazione dell’art. 3 Cost., così in subordine
prospettando la relativa questione di legittimità costituzionale.
In via preliminare, occorre rilevare l’inammissibilità di ogni censura relativa alla sentenza del
Tribunale di Latina (con riferimento a quanto in proposito dedotto nel primo, secondo, quinto
e sesto motivo), dovendo ogni doglianza riguardare esclusivamente la sentenza di secondo
grado. Ed infatti è noto come censure contro la sentenza di primo grado, anziché contro quella
d’appello, rendano inammissibile il motivo di ricorso per cassazione, essendo la seconda e
non la prima (salvi i casi eccezionali previsti dalla legge) oggetto del giudizio di legittimità
(Cass. 9 maggio 2007, n. 10626; Cass. 15 marzo 2006, n. 5637).
Il primo motivo di gravame, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c.
e 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un punto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 n. 5

diversamente decisi dal Tribunale di Latina, per effetto di un’interpretazione dei due giudici di

c.p.c., per avere la sentenza impugnata motivato solo formalmente, in assenza di esposizione
dello svolgimento del processo e dei motivi giustificativi di fatto e di diritto, è inammissibile.
Il profilo di doglianza ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. difetta, come anche puntualmente
dedotto dall’istituto controricorrente, di una specifica formulazione del quesito ai sensi

abrogazione con l’art. 47 1. 69/2009), non integrata dalla generica e apodittica asserzione di
obbligo (omesso) della corte capitolina di “motivare in fatto e in diritto in ordine al rigetto
delle domande”, senza limitazione “ad una motivazione solo formale, ex art. 132 n. 4 c.p.c. e
111 Cost.” (così a pg. 6 del ricorso per cassazione).
Il quesito di diritto, necessario anche nell’ipotesi di error in procedendo quando comporti la
soluzione di una questione di diritto e non sia invece ricavabile dal mero esame degli atti
(Cass. 5 ottobre 2012, n. 17059) ed esigente la specificazione dei fatti processuali alla base
dell’errore denunciato (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405), risulta, infatti, ritualmente
formulato quando, pur non esposto in forma interrogativa, consenta di far comprendere dalla
sua sola lettura quale sia l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice di merito e
quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 14 gennaio 2011,
n. 774): non potendo pertanto essere né generico, né non riferibile alla fattispecie (Cass. s.u. 5
gennaio 2007, n. 36).
Pure il secondo profilo, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. è inammissibile. Esso infatti non
indica, tanto meno specificamente, il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la
motivazione si assume carente, dovendosi intendere per tale non una “questione” o un “punto”
della sentenza, ma un fatto vero e proprio, principale ai sensi dell’art. 2697 c.c. (e pertanto
costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche secondario (ossia un fatto dedotto
in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (Cass. 27 luglio
2012, n. 12457; Cass. 5 febbraio 2011, n. 2805). E tanto mancando, neppure è prospettato un
momento di sintesi, necessario a pena di decadenza, omologo al quesito di diritto (Cass. 1
settembre 2008, n. 21955).

dell’art. 366bis c.p.c. (per applicabilità della nonna ratione temporis, prima della sua

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 n. 4 c.p.c. e
111 Cost., degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697, 2699, 2700, 2727 e 2729 c.c. e di tutte le
norme della 1. 1204/71 e dell’art. 117 1. 83/70 e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360
nn. 3 e 5 c.p.c., può essere esaminato congiuntamente con il terzo, relativo a violazione e falsa

c.p.c. (pure richiamate le norme denunciate con i primi due mezzi): quest’ultimo
evidentemente connesso, per la comune deduzione di una contestazione assolutamente
generica dell’Inps (così da far ritenere non contestati i fatti allegati dal ricorrente), al primo ed
entrambi contenenti una pluralità di censure.
Esse tuttavia sono soltanto enunciate, come risulta dalla lettura della formulazione dei due
mezzi in esame (a pgg. da 6 a 8 del ricorso per cassazione).
Anch’essi sono inammissibili per più ragioni: per la mancanza, a fronte della concorrente
deduzione di censure aventi ad oggetto violazioni di legge e vizi di motivazione, di una chiara
indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa
ovvero delle ragioni per le quali la sua dedotta insufficienza la renda inidonea a giustificare la
decisione, così inammissibilmente (per negazione della regola di chiarezza posta dall’art.
366bis c.p.c.) affidando alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei
motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve avere una autonoma
collocazione (Cass. 11 aprile 2008, n. 9470); ma anche per difetto di quella specifica
indicazione (necessaria, a pena d’inammissibilità, nella deduzione dei vizi ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 3 e n. 4 c.p.c.) delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza
gravata, motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente
dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito
istituzionale di verificare il fondamento delle denunziate violazioni (Cass. 28 febbraio 2012,
n. 3010).

applicazione dell’art. 416 c.p.c., in riferimento all’art. 360, nn. 3, 4 e 5, nonchè dell’art. 112

Ed infine, inammissibilità dei due mezzi per omessa specificazione dei fatti non contestati,
asseritamente non considerati dal giudice d’appello. E’ principio di diritto acquisito che la
specificità dei motivi di cassazione, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 366, primo
comma, n. 4 c.p.c. per qualunque tipo di errore (in procedendo o in iudicando) denunciato,

contenuto, in violazione dell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti
processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fondi, nonché delle circostanze di fatto
adducenti, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione: pure il ricorso dovendo
contenere tutti gli elementi che rendano possibile al giudice di legittimità provvedere al diretto
controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della
motivazione della decisione impugnata (Cass. 31 maggio 2011, n. 11984). E dovendo, più
specificamente, il ricorrente che affermi la non contestazione di un fatto, indicarne la puntuale
deduzione nel giudizio di merito, non potendo limitarsi alla sola asserzione della circostanza,
senza individuare l’allegazione con la quale esso sarebbe stato introdotto e mantenuto nella
controversia: posto che è pacifico soltanto il fatto che la parte abbia allegato, in modo tale che
la controparte possa ammetterlo direttamente ed espressamente oppure in modo indiretto,
attraverso l’affermazione di un fatto che lo presupponga (Cass. 30 aprile 2010, n. 10605).
Parimenti inammissibile è il quarto motivo di gravame, relativo a violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 421 c.p.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per la mancata
ammissione dei mezzi istruttori richiesti (ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. ed
informativa ai sensi dell’art. 213 c.p.c. nei confronti dell’Inps di Latina e della Prefettura di
Latina o diversa competente; C.t.u. contabile), reiterati in funzione della loro essenzialità ai
fini dell’accertamento della verità (con ridondanza della mancata ammissione dei suddetti
mezzi istruttori in vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi).
E ciò per la difformità della censura dal parametro stabilito dall’art. 366bis c.p.c., in assenza
di formulazione di specifico quesito (costituito “dalla ricerca della verità e dal relativo
diritto dovere del giudicante, che per gli effetti dovrà ammettere anche i mezzi istruttori non

non ricorra per il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza esplicazione del loro

tipici, ex artt. 115 e 421, 2° co. c.p.c.”: così a pg. 9 del ricorso) e di chiara indicazione del
fatto controverso nonché delle ragioni di insufficienza della motivazione, alla luce del
richiamato insegnamento giurisprudenziale illustrato in relazione all’esame del primo mezzo.
Ma esso è pure inammissibile per difetto di allegazione dell’utilità dei mezzi di prova negati

piuttosto specificare gli elementi di giudizio dei quali lamenti la mancata acquisizione,
evidenziando il contenuto e le finalità della richiesta istruttoria, con indicazione specifica
delle circostanze oggetto di prova o del contenuto del documento trascurato od erroneamente
interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al
giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e quindi delle prove
stesse, che esso, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve essere in
grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è
consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 22
febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 marzo 2006, n. 5479).
Il quinto motivo di gravame, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e
vizio di motivazione, in riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. (per non corretta valutazione
dei documenti prodotti ed in particolare della comunicazione — parere 26 gennaio 1973 della
Direzione Generale dell’Assistenza Pubblica del Ministero dell’Interno), travisamento dei fatti
di causa, per errata interpretazione dell’art. 3 1. 319/63 e di tutte le norme della 1. 1225/64,
esclusione della rilevanza del decreto 6 maggio 1970 del Presidente del Consiglio dei Ministri
di “stato di necessità”, a norma dell’art. 3, ult. comma 1. 319/63 (con ridondanza pure delle
violazioni denunciate in vizio di motivazione su fatti controversi decisivi), è invece infondato.
Ed infatti, come anche puntualmente rilevato dall’Inps, la Corte d’Appello ha correttamente
escluso la spettanza a Mazza Antonino dei benefici previsti dall’art. 6 1. 140/1985, in esatta
applicazione del diritto ed in esito ad argomentata ed esaustiva motivazione, attenta alle
risultanze processuali acquisite e nel solco dell’indirizzo interpretativo di questa Corte (con
riferimento in particolare alla sentenza 11 aprile 1998, n. 3749 e a quelle più recenti Cass. 22

dal giudice di merito. Non può, infatti, il ricorrente limitarsi ad una censura generica, dovendo

febbraio 2012, n. 2641; Cass. 22 dicembre 2010, n. 25979), con argomentazioni puntuali,
complete e tra loro logicamente coerenti. Essa ha, in particolare, dato motivato conto delle
ragioni per cui la qualità di profugo libico del ricorrente, con i requisiti di rimpatrio dalla
Libia dopo il 1° settembre 1969 (esattamente in data 17 settembre 1970) e di anteriore

comune regolamentazione, il godimento delle provvidenze di legge a favore degli ex
combattenti (e specialmente della maggiorazione del trattamento pensionistico, prevista
dall’art. 6 1. 140/1985): esse spettando soltanto a coloro che siano stati coinvolti in maniera
immediata e diretta negli effetti del trattato di pace e non indiscriminatamente a tutti gli altri
profughi come anche Antonino Mazza, con la conseguente ravvisata irrilevanza del decreto 6
maggio 1970 del Presidente del Consiglio dei Ministri di “stato di necessità”, a norma dell’art.
3, ult. comma 1. 319/63 (così a pgg. 6 e 7 della sentenza impugnata). Senza poi alcuna
pertinenza nel caso di specie all’invocato contrasto (peraltro soltanto nella memoria
comunicata dal ricorrente, a norma dell’art. 378 c.p.c.) con l’art. 157 T.F.U.E., relativo al
principio di parità di trattamento retributivo tra lavoratori di sesso diverso per uno stesso
lavoro o di pari valore ovvero con il generico principio di non discriminazione posto dall’art.
14 C.E.D.U.
D’altro canto, è noto come al giudice di legittimità spetti, non già il potere di riesaminare il
merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice
di merito, al quale riservato, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei
fatti, dando così libera prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvi i casi
tassativamente previsti dalla legge; non equivalendo il controllo di logicità del giudizio di
fatto ad una revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass.
19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).

residenza quivi, non gli valga tuttavia, nonostante la soggezione di tutti i profughi ad una

Sicché, in riferimento alla violazione di norma di diritto infondatamente dedotta ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c., deve essere ribadito, a norma dell’art. 384, primo comma c.p.c., il
principio di diritto, secondo cui i profughi tornati dalla Libia dopo l’agosto del 1969, e quindi
per eventi non direttamente provocati dalla guerra o dal trattato di pace, possono chiedere i

spettanza dei benefici combattentistici previsti, riservati, ai sensi dell’art. 1, ai “profughi per
l’applicazione del trattato di pace e categorie equiparate”: per tali qualificabili esclusivamente
quelli coinvolti in maniera immediata e diretta negli effetti del trattato di pace e coloro che a
questi profughi sono parificati da apposite leggi.
Il sesto motivo di gravame, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 3 1. 319/63, delle
norme della 1. 1225/64, del D.P.C.M. 6 maggio 1970, dell’art. 6 1. 140/85 e dell’art. 6 1. 29
dicembre 1988, è nuovamente inammissibile.
Con esso il ricorrente ripercorre in fatto la propria vicenda personale, anche in comparazione
con analoghi casi diversamente decisi dal Tribunale di Latina, con richiamo poi di un
principio di diritto affermato da questa Corte (con sentenza 7 luglio 2005, n. 14285,
riguardante la piena applicazione, ai sensi dell’art. 6, terzo comma 1. 140/1985, della
perequazione automatica della maggiorazione del trattamento pensionistico a favore degli ex
combattenti o appartenenti a categorie assimilate, che non abbiano goduto di benefici ex legge
n. 336 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni, anche per le pensioni con
decorrenza successiva al 1985) non pertinente alla questione oggetto di causa (relativa alla
spettanza o meno della maggiorazione). Ed il mezzo, che inoltre richiama pronunce di merito
su casi analoghi inconferenti, non contiene alcuna censura, tanto meno puntuale, del
ragionamento argomentativo della Corte (già scrutinato in riferimento al quinto motivo),
sicché viola il principio di specificità stabilito, appunto a pena di inammissibilità, dall’art.
366, primo comma n. 4 c.p.c. (Cass. 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 4 marzo 2005, n. 4741).
Con il settimo motivo di gravame, relativo a travisamento dei fatti, falsa ed erronea
motivazione e violazione dell’art. 111 Cost., Antonino Mazza si duole infine della

benefici comuni, ma non anche quelli speciali previsti dalla legge 336/1970 ai fini della

ingiustificata distinzione, a suo avviso nella sentenza impugnata, della categoria degli ex
combattenti da quella dei profughi e tra questi, a seconda della nazione di provenienza (in
proposito richiamati la comunicazione — parere 26 gennaio 1973 della Direzione Generale
dell’Assistenza Pubblica del Ministero dell’Interno e il D.C.P.M. 6 maggio 1970, di

denunciando un’ingiustificata disparità di trattamento dei profughi dalla Libia, in violazione
dell’art. 3 Cost., così in subordine prospettando la relativa questione di legittimità
costituzionale.
Appare assolutamente evidente come tali ragioni non si appuntino sul ragionamento
argomentativo della sentenza della Corte d’Appello, così integrando la genericità della
doglianza, comportante la sua inammissibilità.
Dalle superiori argomentazioni discende, in via riepilogativa e conclusiva, il rigetto del
ricorso, senza assunzione di alcun provvedimento sulle spese del presente giudizio a carico di
Antonino Mazza soccombente, nella ricorrenza del requisito reddituale prescritto dal testo
novellato dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (dall’art. 42, undicesimo comma d.l. 269/2003 conv.
con mod. in 1. 326/2003, in vigore dal 2 ottobre 2003), applicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2014

1 Presidente

interpretazione autentica della normativa di legge, già citati): una diversa interpretazione

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