Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5333 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/02/2020, (ud. 18/02/2019, dep. 27/02/2020), n.5333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22268/2014 proposto da:

D.B.A. S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale delle Milizie

n. 114, presso lo studio dell’Avv. Luigi Parenti, rappresentata e

difesa dagli Avv. Gabriele Di Luca, Danilo Consorti e Marco Manfredi

giusta procura in calce al ricorso e alla memoria

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore

– intimato –

avverso la sentenza n. 341/3/14 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’ABRUZZO, depositata il 13 marzo 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. MUCCI ROBERTO.

Fatto

CONSIDERATO

che:

1. la CTR dell’Abruzzo ha accolto il gravame interposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Teramo di parziale accoglimento del ricorso della società D.B.A. s.r.l. contro l’avviso di accertamento di maggiori imposte a titolo di IRES, IVA e IRAP per l’anno 2008, emesso – per quel che qui rileva – in considerazione dell’errata contabilizzazione di costi non inerenti per Euro 11.397,82, relativi a interessi passivi su un mutuo acceso dalla società presso la Banca Popolare dell’Adriatico per ripianare la posizione debitoria di Eurobunker s.p.a., società facente capo ai medesimi soci della ricorrente, debitrice anch’essa della banca, a sua volta garantita con fideiussione della stessa D.B.A.;

2. ha ritenuto la CTR che “inesattamente la commissione tributaria di primo grado ha ritenuto che fosse rispettato il principio dell’inerenza in relazione alle spese dedotte come deducibili, poichè il finanziamento considerato in tal senso riguardava non la società D.B.A., ma la Eurobunker s.p.a., pur se la stessa condivideva con la prima la compagine sociale. Allora, il predetto costo non risultava in alcun modo correlato alla gestione dell’impresa, o comunque in alcun modo inerente alla stessa, poichè ricordiamo che la D.B.A. srl esercitava la attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti, per autotrazione, di combustibili per il riscaldamento. Per cui, la attività svolta è completamente estranea a quella relativa alla erogazione di mutui, o di altre tipologie di finanziamento; e di conseguenza l’operazione contestata dall’Agenzia delle Entrate risulta estranea in toto alla gestione propria dell’impresa, e quindi del tutto avulsa dalla realtà economica della società appellata. Di conseguenza, il relativo costo appare ictu oculi non inerente alla gestione dell’impresa, e quindi lo stesso non poteva assolutamente esser portato in detrazione.”;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la società D.B.A. affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

4. sui motivi di ricorso:

4.1. con il primo motivo di ricorso (indicato come a)) si denuncia “erronea interpretazione delle norme ed erronea applicazione di esse” in relazione al principio di inerenza, secondo le disposizioni di cui all’art. 53 Cost., del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), art. 109: la CTR non avrebbe considerato che l'”inerenza” è un “concetto implicito nella stessa nozione di reddito, che per dirsi tale deve essere calcolato al netto dei costi necessari o utili alla sua produzione” (p. 8 del ricorso) e non avrebbe tenuto conto dei principi espressi al riguardo da Sez. 5, 3 febbraio 2010, n. 2440, cui si era uniformata la sentenza appellata;

4.2. con il secondo motivo (indicato come b)) si denuncia “erronea interpretazione delle norme ed erronea applicazione di esse” in relazione al combinato disposto degli artt. 109 T.U.I.R., comma 5 e 2697 c.c., nonchè artt. 112 e 113 c.p.c.: secondo la ricorrente “il principio di inerenza si fonda sulla relazione tra la spesa e l’oggetto dell’impresa, per cui il costo risulta deducibile non tanto se risulta connesso ad una determinata componente di reddito, come ad esempio un ricavo, ma lo è per il semplice fatto che vi sia una correlazione con l’attività potenzialmente idonea a produrre utili” (p. 9 del ricorso) e la CTR non avrebbe tenuto delle regole di riparto dell’onere probatorio;

4.3. con il terzo motivo (erroneamente indicato come b)) si denuncia “errata individuazione delle conseguenze giuridiche” derivanti dall’applicazione dell’art. 109 T.U.I.R., comma 5, in relazione al combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112 e 113 c.p.c.: a fronte della “presunzione legale relativa a sfavore del contribuente” (p. 11 del ricorso) di cui all’art. 109 T.U.I.R., comma 5, si torna a dedurre la violazione dell’art. 2697 c.c. per non avere la CTR valutato gli elementi addotti dalla società a sostegno dell’inerenza;

4.4. con il quarto motivo (erroneamente indicato come c)) si denuncia vizio motivazionale in ordine al collegamento funzionale tra il mutuo e l’attività aziendale della società ricorrente;

5. i primi tre mezzi – da esaminarsi congiuntamente poichè connessi, investendo tutti la questione della deducibilità degli interessi passivi a mente dell’art. 109 T.U.I.R., comma 5, – sono fondati, per quanto di ragione;

5.1. invero, costituisce orientamento consolidato di legittimità quello secondo cui “Ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5 (ora art. 109), ed a differenza della precedente normativa contenuta nel D.P.R. 20 settembre 1973, n. 597, art. 74, sono sempre deducibili, anche se nei limiti di cui al detto D.P.R. n. 917 del 1986, art. 63 (ora art. 96) che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza” (Sez. 5, 14 maggio 2014, n. 10501; Sez. 5, 21 aprile 2009, n. 9380; Sez. 5, 13 ottobre 2006, n. 22034; Sez. 5, 2 febbraio 2005, n. 2114; Sez. 5, 21 novembre 2001, n. 14702);

5.2. va infatti rammentato – anche sulla scorta di Sez. 5, 3 febbraio 2010, n. 2440, posta a base della sentenza di primo grado – che il citato D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 2, stabiliva, con previsione generale sull’inerenza, che “I costi e gli oneri sono deducibili se ed in quanto si riferiscono ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa”, senza alcuna distinzione tra interessi passivi ed altri costi ed oneri, mentre l’art. 75 T.U.I.R., comma 5 (ora art. 109) pone una disciplina diversa poichè prevede che “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”: da tale norma, sicuramente di portata generale per la determinazione del reddito d’impresa, emerge chiara la volontà legislativa di riconoscere un trattamento differenziato per gli interessi passivi rispetto ai vari componenti negativi del reddito d’impresa, nel senso che il diritto alla deducibilità degli interessi è riconosciuto sempre, senza alcun giudizio sulla inerenza, anche se nei limiti della disciplina contenuta nell’art. 63 T.U.I.R. (ora art. 96, indicante la misura e le modalità di calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale nella previsione del comma 1, ed in via particolare nella fattispecie disciplinata nel comma 3), donde i principi fissati dalla giurisprudenza sopra richiamata;

5.3. la CTR non ha fatto corretta applicazione dei detti principi, avendo ritenuto indeducibili gli interessi passivi in questione per mancata inerenza alla gestione d’impresa, laddove si pone invece, propriamente, il profilo della quantificazione degli interessi passivi deducibili;

5.4. dall’accoglimento dei primi tre mezzi consegue l’assorbimento del quarto.

6. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR dell’Abruzzo che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame attenendosi ai suesposti principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi tre motivi di ricorso, per quanto di ragione, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2019.

Depositato in cancelleria il 27 febbraio 2020

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