Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5333 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2011, (ud. 20/12/2010, dep. 04/03/2011), n.5333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6815/2010 proposto da:

BANCA DI SCONTO e CONTI CORRENTI di S. MARIA CAPUA VETERE SPA

(OMISSIS) in persona del Presidente e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso

lo studio dell’avvocato NICOLAIS LUCIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SIMEONE Francesco, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SIE SAS di ROSSETTI SIMMACO e VINCENZO, nonchè degli

stessi R.S. e R.V. (in proprio);

– intimati –

avverso la sentenza n. 3192/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

27.5.09, depositata il 05/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa

IMMACOLATA ZENO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- La Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 5.11.2009, ha confermato la sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. con la quale è stata accolta la domanda di revocatoria L. Fall., ex art. 67, di rimesse in vari conti correnti bancari operate in favore della s.p.a. Banca Sconto & Conti Correnti S. Maria Capua Vetere dai soci illimitatamente responsabili della s.a.s. SIE di Rossetti Simmaco & Vincenzo – dichiarata fallita il (OMISSIS) – dal 19.3.1992 al 19.3.1993, ossia nell’anno anteriore al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo.

Contro la sentenza di appello la s.p.a. Banca Sconto & Conti Correnti S. Maria Capua Vetere ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La curatela fallimentare intimata non ha svolto difese.

2.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 67 e 147, e relativo vizio di motivazione.

Deduce che erroneamente il periodo sospetto è stato fatto retroagire all’anno anteriore al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo perchè a tale procedura era stato ammesso il 13.1.1993 R.S. quale imprenditore individuale mentre la domanda di ammissione al concordato della società non fu accolta e fu dichiarato il fallimento.

Deduce di avere evidenziato tale circostanza in primo grado, in sede di comparsa conclusionale e, quindi, erroneamente la Corte di appello l’ha ritenuta eccezione nuova inammissibile.

Deduce che si non tratta di eccezione riservata alla parte.

La Corte di merito avrebbe erroneamente richiamato Cass. 5527/2006 perchè vi sarebbero state due distinte domande di ammissione al concordato e solo quella dell’imprenditore individuale sarebbe stata accolta.

Deduce che ciò rileva sia quanto al periodo sospetto (da individuare in relazione al fallimento della società che poi ha determinato il fallimento del socio) sia in ordine alla scientia decoctionis, che rileverebbe soltanto in relazione all’insolvenza della società e non del socio.

2.1.- Il motivo appare inammissibile perchè dalla sentenza impugnata si evince che la banca ricorrente non ha prodotto in sede di appello la documentazione idonea a provare l’assunto sul quale è fondata la censura (…la richiesta di ammissione al concordato, pur in mancanza della relativa produzione documentale, appare logico ipotizzare essere stata presentata dai R. nella loro qualità di soci della s.a.s. S.I.E) e l’affermazione della mancata prova della detta circostanza in sede di appello non è specificamente impugnata. Nè risulta indicata la sede di produzione dei documenti di cui la Corte di merito evidenziava la mancanza. Si trattava, comunque, di questione di fatto nuova non deducibile in appello, alla luce del principio per il quale nel sistema di preclusioni introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, anche per le allegazioni di parte il thema decidendum non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione (art. 183 cod. proc. civ., comma 1), o la scadenza nel termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ., comma 5, potendo soltanto, dopo dette scadenze, formulare istanze istruttorie per provare i fatti allegati (Sez. 2^, Sentenza n. 9323 del 17/05/2004 (Rv. 572908). E il thema decidendum in tal modo fissato in primo grado non può essere modificato mediante nuova allegazione di fatti in grado di appello, così come si evince dall’art. 345 c.p.c. (Sez. 1^, Sentenza n. 10629 del 09/05/2007: il convenuto non può dedurre per la prima volta in grado di appello ostandovi il divieto di nuove eccezioni posto dall’art. 345 cod. proc. civ., comma 2, nel testo modificato dalla L. n. 353 del 1990 – il carattere irregolare, anzichè regolare, del pegno, ove non abbia già dedotto in primo grado la circostanza (di fatto) che distingue il primo dal secondo, e cioè che era stata espressamente conferita al creditore pignoratizio la facoltà di disporre del bene che ne è oggetto).

Nella materia specifica della revocatoria fallimentare L. Fall., ex art. 67, poi, si è precisato che le eccezioni del convenuto dirette a contestare l’esistenza del presupposto oggettivo (sproporzione tra le prestazioni) e soggettivo (scientia decoctionis) della domanda non configurano eccezioni in senso proprio, costituendo semplici difese volte a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda e, conseguentemente, sono rilevabili d’ufficio e, quindi, proponibili per la prima volta anche in sede di appello, sempre che i relativi fatti costitutivi siano stati tempestivamente allegati dalla parte nel giudizio di primo grado, entro il termine dell’art. 183 c.p.c. (Sez. 1^, Sentenza n. 15142 del 10/10/2003). Principio senza dubbio applicabile alla diversa determinazione del periodo sospetto che – come risulta dalla sentenza impugnata – la banca convenuta non aveva tempestivamente contestato.

3.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, e relativo vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della revocatoria.

Giova in proposito premettere che il problema della prova della conoscenza dello stato di insolvenza quale presupposto della revocatoria fallimentare è problema di carattere generale attinente alla particolarità della prova dei fatti psichici.

Questi, in quanto fatti interni, possono essere provati soltanto in via indiretta, ossia mediante il meccanismo inferenziale in virtù del quale la prova del fatto interno discende dalla prova diretta di un fatto materiale, assunto quale premessa, la cui esistenza dimostra, con ragionevole sicurezza ed alla stregua dell’id quod plerumque accidit, l’esistenza del fatto interno o psichico.

Alla luce di tali principi il motivo appare manifestamente infondato perchè da un lato la Corte di merito ha preso in considerazione la circostanza dell’ampliamento dell’affidamento al R., ritenendola ininfluente perchè verificatasi il 24.1.1992, ossia prima del periodo sospetto, dall’altro ha correttamente evidenziato l’equivocità della circostanza stessa, conformemente a quanto affermato dalla S.C. (C. 27390/2005).

Parte ricorrente, infine, omette di considerare – e per tale ragione la censura appare inammissibile – tutti gli altri elementi indiziari della scientia decoctionis valorizzati dalla sentenza impugnata:

dall’andamento altalenante del conto (definito persistente nella lettera di revoca degli affidamenti del gennaio 1993) alla conoscenza dell’ammissione alla procedura di concordato, dalle iscrizioni ipotecarie ai sequestri conservativi sugli immobili dei soci accomandatari.

Sussistono, dunque, le condizioni per la decisione in Camera di consiglio”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

p. 2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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