Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5332 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 26/02/2021), n.5332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21900/2015 proposto da:

Provincia di Modena, in persona del presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi n. 39, presso lo

studio dell’avvocato Giuffrè Francesca, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Bellentani Barbara, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

La Pieve di R. & C. società agricola, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Tommaso Salvini n. 55, presso lo studio dell’avvocato De Sanctis

Mangelli Simonetta, rappresentata e difesa dall’avvocato Maggiolo

Lucia, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/01/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 1/10/2013, la società agricola La Pieve di R.G. & C. SAS aveva chiesto la determinazione dell’indennità di esproprio in relazione a terreni di sua proprietà interessati dalla realizzazione di un’opera pubblica di competenza della Provincia di Modena, sull’assunto che l’accordo concluso tra le parti in data 18/7/2006 – con il quale, in vista della cessione volontaria dei terreni, veniva concordata l’indennità provvisoria determinata in Euro 278.000,00 e previsto il pagamento dell’80% di essa ed il successivo conguaglio – non fosse vincolante quanto al criterio di calcolo adottato, sicchè in sede di conguaglio l’indennità di esproprio e quella di occupazione dovevano determinarsi tenendo conto della normativa vigente al momento del decreto di esproprio emesso il 19/7/2013, quale risultante dalla declaratoria di incostituzionalità pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 181 del 2011. La Provincia di Modena si costituiva contestando l’avverso dedotto e chiedendo in via riconvenzionale la restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso, in caso di determinazione giudiziale dell’indennità.

La Corte di appello, ritenuta ammissibile la domanda, ha affermato, che l’accordo del 18/7/2006 inter partes era certamente valido, essendosi conclusa l’acquisizione della proprietà con l’emissione del decreto di esproprio; ne ha tratto la conseguenza che, avendo l’espropriato contestato la determinazione quantitativa dell’indennità in vista del conguaglio, non si poteva determinare l’indennità di espropriazione in misura inferiore a quella calcolata in sede di accordo bonario, ma solo verificare che quella legale non fosse superiore a quella offerta dall’espropriante; ha proceduto ad espletare la CTU per accertare il valore di mercato del bene all’epoca del decreto di esproprio, al quale andava ragguagliata l’indennità relativa, pervenendo ad un importo, Euro 114.405,00, inferiore a quello oggetto dell’originario accordo.

Ha, quindi, escluso l’applicabilità della maggiorazione del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 45, essendosi conclusa la procedura con decreto di esproprio.

Ha riconosciuto l’indennità aggiuntiva del D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 40, comma 4, riscontrando che il titolare dell’azienda agricola possedeva i requisiti di imprenditore agricolo, come da domanda in data 30/5/2006 tesa a conseguire l’iscrizione all’INPS.

Ha infine riconosciuto, trattandosi di esproprio parziale, un’ulteriore componente indennitaria per la sconfigurazione aziendale, da calcolarsi tra il 30% ed il 40% del valore della proprietà residua.

Sulla scorta di tutti questi elementi, la Corte di appello ha quindi affermato che nella ipotesi più favorevole all’espropriato, l’ammontare dell’indennità di espropriazione così calcolata (Euro 248.744,43), risultava inferiore a quella calcolata a conguaglio nel decreto di esproprio sulla base dell’accordo inter partes (Euro 289.215,84) ed ha concluso che la domanda della ricorrente in punto di determinazione dell’indennità di espropriazione andava rigettata.

Ha accolto, invece, la domanda di indennità di occupazione, determinandola in Euro 40.489.65, dichiarando la Provincia tenuta al versamento della somma residua di Euro 10.890,03, oltre interessi, rigettata ogni altra domanda.

La Provincia di Modena ricorre con tre mezzi avverso l’ordinanza n. cronologico 2988/2015 della Corte di appello di Bologna, in epigrafe indicato. La società agricola La Pieve di R.G. & C. SAS ha replicato con controricorso e proposto ricorso incidentale con un mezzo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54; l’omessa decisione su un fatto controverso e l’omesso esame di un fatto decisivo.

Secondo la ricorrente, nel caso in esame il contenzioso non traeva origine da un’opposizione ad una stima definitiva assunta in sede amministrativa da parte della Commissione espropri per la determinazione dell’indennità definitiva (o della terna peritale) – perchè tale stima non era agli atti del procedimento espropriativo e l’indennità di espropriazione era stata determinata nel decreto di esproprio sulla scorta di quanto concordato tra le parti con l’accordo bonario sottoscritto nel 2006, con l’effetto che l’azione promossa consisteva in un accertamento diretto dell’obbligazione indennitaria della Provincia di Modena che poteva risultare anche inferiore all’importo concordato, senza che fosse necessaria la formulazione di una domanda riconvenzionale da parte dell’espropriante.

Sostiene, comunque, di avere formulato anche domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’obbligazione indennitaria in misura inferiore a quanto pattuito negli accordi bonari, argomento sviluppato nel secondo motivo.

1.4. Il primo motivo è fondato e va accolto.

1.5. Dalla sentenza impugnata si evince che le parti avevano sottoscritto in data 18/7/2006, un accordo in vista della cessione volontaria dei terreni di proprietà della società agricola siti nel Comune di Nonantola, con cui veniva concordata l’indennità provvisoria determinata in Euro 278.000,00 e previsto il pagamento dell’80% di essa ed il successivo conguaglio, fissando convenzionalmente l’inizio dell’occupazione alla medesima data della sottoscrizione dell’accordo. A tale accordo, per contestazioni formulate dall’espropriato tra il novembre 2012 e l’aprile 2013 in merito all’indennità di esproprio e di occupazione, non aveva fatto seguito la cessione bonaria, circostanza indiscussa tra le parti.

Nelle more, peraltro, l’ipotesi progettuale era anche mutata ed infatti, con determina dirigenziale del 4/3/2009, era stato approvato il progetto definitivo dell’opera ed era stata dichiarata la pubblica utilità; in data 19/7/2013 era stato emesso il decreto di esproprio con quantificazione definitiva, a seguito di conguaglio, dell’indennità di espropriazione nella misura mutuata da quanto bonariamente concordato nel 2006, e cioè nella somma di Euro 289.215,84, e dell’indennità di occupazione nella somma di Euro 29.599,62.

Il giudizio dinanzi alla Corte di appello venne introdotto con ricorso depositato in data 1/10/2013 dalla società agricola che chiese la determinazione dell’indennità di espropriazione, proprio sull’assunto che l’accordo concluso in funzione della cessione volontaria non fosse vincolante quanto al criterio di calcolo adottato.

1.6. Nella fattispecie si era quindi in presenza di un’indennità provvisoria non accettata, relativa ad una fase procedimentale che aveva esaurito i suoi effetti, diretti soltanto a consentire la cessione volontaria di cui della L. n. 865 del 1971, artt. 11 e 12 e succ. mod.; l’espropriata, pur in assenza di una stima operata in sede amministrativa, avevano quindi esercitato la speciale azione, sostanzialmente introdotta dalla sentenza n. 67 del 1990 della Corte costituzionale, per l’accertamento e la liquidazione giudiziale dell’indennità secondo i criteri che governano tale determinazione.

L’utilizzazione, nel precedente grado del giudizio, del termine “opposizione”, non assume alcun rilievo significativo, in quanto l’opposizione, ai sensi e con le forme di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 19, è proponibile solo avverso la liquidazione definitiva dell’indennità medesima, da parte della Commissione provinciale di cui all’art. 16 della legge cit. (Cass. n. 2859 del 11/2/2005; Cass. n. 6959 del 25/7/1997; Cass. Sez. U. n. 12009 del 11/11/1991).

Pertanto, l’azione intrapresa dalla società agricola non può essere qualificata come opposizione ad una determinazione definitiva dell’indennità, che non risulta mai effettuata, ma come domanda di accertamento, diretta sin dall’origine alla fissazione della giusta indennità ex art. 42 Cost. (Cass. n. 7400 del 14/5/2003; Cass. n. 11064 del 10/8/2001; Cass. n. 11370 del 1/12/1999).

La Corte di appello, previa verifica della ricorrenza della condizione dell’azione consistente nell’intervenuta emanazione del decreto di espropriazione, aveva l’obbligo di compiere l’accertamento giudiziale, e, quindi di determinare comunque l’indennità, prescindendo del tutto dalla verifica della congruità o meno dell’indennità provvisoria offerta (Cass. n. 2787 del 5/2/2009). Nell’ambito di tale procedimento, secondo un orientamento costante, il giudice deve comunque procedere alla determinazione in sede giudiziaria del quantum dell’indennità, sulla base dei parametri normativi vigenti e ritenuti applicabili nei casi singoli, indipendentemente non solo dalle deduzioni delle parti al riguardo, ma anche dai criteri seguiti dall’espropriante nel formulare l’offerta dell’indennità provvisoria (Cass. n. 1701 del 27/1/2005; Cass. n. 3048 del 2/3/2001; Cass. n. 3320 del 27/1/1998). La determinazione, da parte del giudice del merito, nell’esercizio del potere – dovere di determinare l’indennità di espropriazione sulla base dei criteri normativi vigenti può avvenire anche in misura inferiore a quella pretesa od a quella offerta in via amministrativa, e cioè indipendentemente dalle richieste delle parti aventi carattere indicativo e non vincolante, senza per questo incorrere nel vizio di ultrapetizione (Cass. n. 2787 del 05/02/2009; Cass. n. 3840 del 14/02/2017; Cass. 25/06/2020, n. 12619).

1.7. La decisione impugnata, che non appare conforme a questi principi, va quindi cassata.

1.8. Per completezza va osservato che la fattispecie in esame, non consentiva l’applicazione del diverso principio, che ricorre nel caso in cui l’azione si configuri come vera e propria opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione calcolata in via amministrativa, secondo il quale che “In materia di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione o di occupazione temporanea, oggetto del giudizio è la congruità e conformità di essa ai criteri di legge, principi che devono essere coordinati con quello della domanda, con la conseguenza che l’opposizione formulata dall’espropriato potrà condurre solo alla determinazione di un’indennità maggiore, e non inferiore, rispetto a quella calcolata in sede amministrativa, in difetto di una domanda formulata dall’espropriante. Pertanto, nel caso in cui l’accertamento giudiziario conduca ad un risultato sfavorevole per l’espropriato opponente, il giudice dovrà limitarsi a respingere la domanda, altrimenti incorrendo nel vizio di ultra petizione, salvo che il promotore dell’espropriazione, convenuto in opposizione, abbia ritualmente proposto domanda riconvenzionale di riduzione dell’ammontare” (Cass. n. 15414 del 06/06/2019; Cass. n. 8442 del 28/05/2012), al quale la Corte distrettuale, errando, sembra aver voluto dare applicazione.

2.1. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 702 bis e ter c.p.c., l’omessa motivazione su un aspetto controverso e la motivazione contraddittoria in merito alla domanda riconvenzionale proposta dall’espropriante.

Sostiene la Provincia di avere proposto, nel giudizio promosso dagli odierni ricorrenti dinanzi alla Corte di appello, la domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’indennità di espropriazione anche in misura inferiore a quella concordata – contrariamente a quanto statuito dalla Corte distrettuale.

2.2. Il secondo motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 e l’errata qualificazione di un fatto decisivo.

Secondo la ricorrente non poteva essere riconosciuta all’espropriato l’indennità ex art. 40, comma 4, prevista per l’imprenditore agricolo, perchè l’acquisizione della qualifica era avvenuta in un momento successivo a quello in cui era stato avviato e conosciuto il procedimento espropriativo.

3.2. Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha riconosciuto la detta indennità avendo riguardo all’anteriorità della domanda di iscrizione previdenziale all’INPS (30/5/2006) rispetto alla conclusione dell’accordo bonario (18/7/2006).

Quanto assunto dalla ricorrente, circa l’anteriorità della conoscenza della procedura espropriativa da parte della società non solo non risulta essere stato oggetto di accertamento in fase di merito, ma nemmeno risulta essere stato tempestivamente dedotto dinanzi al giudice del merito, con evidenti ricadute anche sull’ammissibilità del motivo.

4.1 Con il ricorso incidentale si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello si sia discostata a volte dalle conclusioni del CTU – a suo parere – senza motivare tali variazioni e rammenta che il CTU, pur avendo riconosciuto che il valore del terreno non poteva essere determinato secondo il VAM, aveva confermato i dati economici già adottati per la cessione bonaria ed aveva proceduto all’esatta valutazione dell’indennità complessivamente dovuta.

4.2. Il ricorso incidentale è inammissibile; invero non evidenzia alcun fatto storico effettivamente decisivo, il cui esame sia stato omesso dalla Corte di merito, tali non potendo essere qualificate le conclusioni del CTU, ma mere argomentazioni difensive circa la scelta dei criteri indennitari (Cass. n. 26305 del 7/9/2018).

5. In conclusione va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigettato il terzo; il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va cassata nei limiti dell’accoglimento con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi sub 1.6. e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

– Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigettato il terzo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento con rinvio alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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