Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5329 del 06/03/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 06/03/2018, (ud. 18/01/2018, dep.06/03/2018),  n. 5329

Fatto

Con atto di citazione notificato in data 11-5-2008 il ricorrente premesso di essere esecutore testamentario ed erede pro quota del padre R.H.K.F. cittadino tedesco, deceduto il 30/11/2001, conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli W.O., per sentir dichiarare la nullità, ai sensi del codice civile tedesco, della scrittura privata sottoscritta il 18-4-1997 tra il genitore e la convenuta (rispettivamente padre e sorella dell’attore), in virtù della quale il primo cedeva alla figlia la quota di sua proprietà pari al 50% dell’intero di una proprietà immobiliare sita in (OMISSIS), di cui il medesimo era comproprietario unitamente alla moglie. L’attore deduceva che, essendo il regime patrimoniale tra i coniugi, entrambi cittadini tedeschi, regolato dalla legge tedesca, per gli stessi esisteva un divieto assoluto di alienazione, che impediva l’acquisto da parte di un terzo e lo rendeva privo di efficacia giuridica. Sosteneva, inoltre, che, al momento della stipula del contratto, le facoltà intellettive del padre erano a tal punto compromesse, da far ritenere lo stesso venditore del tutto incapace di intendere e di voler.

Con sentenza in data 15-7-2009 il Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di Ischia, accoglieva la domanda e, per l’effetto, annullava l’atto di cessione di cui alla scrittura privata del 18/7/1997, condannando la convenuta al rilascio dell’immobile in favore dell’attore, nella sua qualità di esecutore testamentario.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la convenuta e appello incidentale l’attore.

Con sentenza in data 16-6-2011 la Corte di Appello di Napoli, in accoglimento dell’appello principale ed in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava inammissibili, per carenza di legittimazione attiva, tutte le domande proposte dall’attore nella dedotta qualità di esecutore testamentario, rigettando il gravame incidentale. La Corte territoriale rilevava che l’azione proposta dall’attore non rientrava tra quelle relative all’esecuzione dell’ufficio di esecutore testamentario (art. 703 c.c.), per le quali è riconosciuta a quest’ultimo la legittimazione ad agire.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’appellato sulla base di due motivi.

L’appellante ha resistito con controricorso.

Questa Corte con la sentenza n. 14744 del 16 luglio 2016 rigettava il ricorso, condannando il ricorrente al rimborso delle spese.

Quanto al primo motivo con il quale il ricorrente lamentava violazione di norme di diritto, per la mancata applicazione dell’art. 46, delle norme di diritto internazionale privato e dell’art. 703 c.c., osservava la Corte che, poichè la legittimazione ad agire costituisce un istituto di diritto processuale, la relativa questione deve essere decisa in base alla legge italiana, ai sensi della citata L. n. 218 del 1995, art. 12, il quale dispone che “il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana” (in termini v. Cass. 4-11-2005 n. 21395; Cass. 8-1-2013 n. 220).

Nella specie, la Corte di Appello, facendo sostanzialmente applicazione di tale principio, aveva proceduto alla verifica della legittimazione attiva del ricorrente, nella dedotta veste di esecutore testamentario, alla stregua della disciplina dettata dall’ordinamento italiano, che, all’art. 704 c.c., riconosce all’esecutore testamentario un’autonoma legittimazione alla proposizione delle sole azioni relative all’esercizio del suo ufficio.

Poichè l’ufficio dell’esecutore testamentario è finalizzato all’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto (art. 703 c.c.), è evidente che tra le azioni autonomamente esperibili da tale soggetto non possono ritenersi comprese quelle volte all’impugnativa di atti negoziali con i quali il defunto abbia disposto in vita dei propri beni.

Ma alla stessa conclusione doveva pervenirsi anche facendo riferimento alla disciplina prevista dall’ordinamento tedesco per l’esecutore testamentario.

Infatti, in base al codice civile tedesco (v. art. 2203), la funzione dell’esecutore testamentario è quella di curare l’esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del de cuius, nonchè di amministrare l’eredità (art. 2205 c.c.); ed è a tali poteri di natura sostanziale che va collegata la legittimazione, riconosciuta allo stesso curatore testamentario, ad agire in giudizio a tutela dei diritti sottoposti alla sua amministrazione (art. 2212).

Nessuna norma abilita l’esecutore testamentario a promuovere azioni relative a beni dei quali il de cuius abbia disposto in vita e che, come tali, non essendo ricompresi nell’asse ereditario, sono sottratti alla sua amministrazione.

Dovendosi, quindi, negare la legittimazione ad causam dell’attore, nella dichiarata veste di esecutore testamentario, in relazione alla domanda proposta, il motivo andava rigettato, con conseguente assorbimento del secondo motivo, con il quale il ricorrente denunciava l’errata applicazione dell’art. 4 della convenzione di Roma del 1980, e vizi di motivazione, per avere la Corte di Appello ritenuto applicabile al contratto oggetto di controversia esclusivamente il diritto italiano.

Per la revocazione di tale sentenza ha proposto ricorso R.A. sulla base di due motivi, cui l’intimata ha resistito con controricorso.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di invalidità della notifica del presente ricorso sollevata dalla controricorrente, la quale deduce che alla notifica effettuata a mezzo pec, era stata allegata una copia informatica del ricorso per revocazione con attestazione di conformità del difensore, laddove il ricorso stesso risultava iscritto a ruolo presso questa Corte, non essendo quindi sufficiente la sola attestazione del difensore, ma occorrendo anche una certificazione di conformità da parte del Cancelliere.

Le argomentazioni de quibus non appaiono meritevoli di accoglimento.

In primo luogo va evidenziato che una prima notifica del ricorso avvenuta a mezzo pec in data 13/2/2017 presentava allegata una copia informatica del ricorso priva però delle pagg. 6 e 7 con la conseguenza che, successivamente anche al deposito in cancelleria del ricorso a cura del ricorrente, quest’ultimo provvedeva in data 6/3/2017 ad effettuare una nuova notifica a mezzo pec, allegando però copia informatica del ricorso completo di tutte le sue pagine.

Alla luce di quanto affermato da Cass. S.U. n. 18121/2016 deve ritenersi che la prima notifica, affetta da nullità per la carenza di alcune pagine dell’atto notificato, sia stata sanata con efficacia ex tunc a seguito della seconda notifica.

Quanto invece alla pretesa inefficacia della seconda notificazione, per l’inidoneità dell’attestazione di conformità del difensore, deve ricordarsi che a mente della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, comma 2, come modificato dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, art. 19, comma 1 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, quando l’atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l’avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell’atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità con le modalità previste dall’ articolo 16-undecies del decreto-L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.

Il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 undecies, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, prevede poi che quando l’attestazione di conformità prevista dalle disposizioni della presente sezione, dal codice di procedura civile e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, si riferisce ad una copia analogica, l’attestazione stessa è apposta in calce o a margine della copia o su foglio separato, che sia però congiunto materialmente alla medesima.

Orbene, attesa la chiara finalità del legislatore di attribuire al difensore un potere di attestazione in tutto equipollente a quello proprio del cancelliere, come confortato dal fatto che l’art. 16 undecies, comma 3 bis, citato, prevede che i soggetti che compiono le attestazioni a mente di tale norma sono considerati pubblici ufficiali ad ogni effetto, deve escludersi che, laddove l’atto analogico da notificare sia contenuto in un fascicolo cartaceo, si imponga una previa attestazione di conformità da parte del cancelliere, posto che in tal modo verrebbe ad imporsi una superflua duplicazione delle attestazioni di conformità, in contraddizione con lo scopo voluto al legislatore di attribuire al difensore un autonomo potere di attestazione della conformità delle copie agli originali.

A ciò va aggiunto poi che non può reputarsi che l’atto da notificare non fosse nella disponibilità dell’avvocato, in quanto si trattava comunque del ricorso per revocazione, la cui notifica deve di norma precedere il successivo deposito in cancelleria. Nel caso di specie, l’atto era già stato depositato, ma sol perchè vi era stata una prima notifica affetta da nullità, il che però non implica che l’atto da notificare non fosse sempre nella disponibilità del difensore del ricorrente.

Infine, non può non rilevarsi che anche laddove si volesse ritenere che l’attestazione de qua non corrisponda alla previsione normativa, al più si determinerebbe la nullità anche della seconda notificazione, nullità in ogni caso sanata a seguito della costituzione della controricorrente, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo.

Il primo motivo di ricorso denunzia la commissione di un errore di fatto revocatorio, in quanto la sentenza impugnata avrebbe ritenuto inesistente la qualità di erede pro quota in capo al ricorrente, in aggiunta a quella di esecutore testamentario.

Si evidenzia che la prima qualità emergeva pacificamente dalla sentenza della Corte Suprema della Baviera del 30/6/2005 (puntualmente versata in atti), ed era del tutto pacifica in quanto riconosciuta anche dalla controparte.

Inoltre, era stata richiamata nell’atto introduttivo del giudizio e nella comparsa di risposta in appello, ragion per cui questa Corte non poteva prescindere anche dalla spendita di tale qualità, che a differenza di quella di esecutore testamentario, sicuramente lo abilitava a proporre l’impugnativa dell’atto oggetto di causa.

Il motivo è manifestamente infondato.

Ed, invero, se è indubbio che l’attore abbia inizialmente speso anche la qualità di coerede del de cuius, va osservato che la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2184/2011, nell’accogliere il gravame della controricorrente, ebbe a limitare la sua valutazione alla sola azione proposta nella qualità di esecutore testamentario, soffermandosi in occasione della disamina del terzo motivo di appello, unicamente sulla questione concernente la legittimazione ad agire dell’attore quale esecutore testamentario del padre.

Con i motivi di ricorso in cassazione, l’attore ebbe a denunziare, con il primo, l’errata applicazione dell’art. 46 della legge n. 218/1995, ma sempre in ragione di un’errata applicazione della previsione di cui all’art. 703 c.c., in tema di poteri dell’esecutore testamentario, e con il secondo, l’erronea applicazione dell’art. 4 della L. n. 218 del 1995, ed il vizio di motivazione, in relazione all’individuazione della normativa applicabile al contratto, ma sul presupposto della fondatezza del primo motivo di ricorso.

Risulta quindi evidente che già la Corte d’Appello ebbe a limitare la disamina della domanda attorea a quella esclusivamente legata alla spendita della qualità di esecutore testamentario, sicchè l’omessa considerazione del fatto che il ricorrente aveva agito anche quale coerede costituiva un vizio della decisione di appello che andava denunziato mediante la proposizione di uno specifico motivo.

In assenza quindi di una censura sul punto, correttamente questa Corte ha limitato il proprio sindacato alla sola sussistenza della legittimazione a proporre l’impugnativa del contratto oggetto di causa da parte dell’esecutore testamentario, dovendosi quindi escludere la denunziata ricorrenza di un errore revocatorio.

Il rigetto del primo motivo di revocazione implica poi l’assorbimento del secondo motivo volto a denunziare l’errore di fatto consistito nel non avere comunque tenuto conto della nullità del contratto in quanto sottoscritto dal de cuius in epoca successiva al luglio del 1996, poichè affetto da assoluta incapacità di intendere e di volere.

A tal fine si deduce che secondo il diritto tedesco, il contratto concluso dall’incapace naturale non è annullabile ma nullo, e che la condizione di incapacità del defunto in epoca anteriore a quella cui risaliva il contratto impugnato, emergeva pacificamente dagli atti di causa, sicchè la Corte di Cassazione avrebbe comunque dovuto rilevare la nullità della vendita in favore della convenuta.

Tuttavia la conferma della correttezza del riscontro del difetto di legittimazione ad agire in capo all’esecutore testamentario, quale conseguenza del rigetto del primo motivo, e la preclusione, per la mancata censura della sentenza d’appello, a poter spendere in questa sede la diversa qualità di coerede, preclude la stessa possibilità di una disamina nel merito della validità del contratto, impedendo quindi anche che il giudice adito possa effettuare l’eventuale rilievo d’ufficio della nullità del contratto ex art. 1421 c.c., dovendosi quindi escludere la ricorrenza di un errore revocatorio come denunziato dal ricorrente, potendosi al più configurare un, peraltro non sussistente, errore di diritto.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2018

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