Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5329 del 02/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/03/2017,  n. 5329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13376/2013 proposto da:

R.B.A., (OMISSIS), rappresentato e difeso da se

medesimo unitamente all’avvocato SILVANA LOMBARDI presso il cui

studio in ROMA, CIRC.NE CLODIA 165, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE VIA NUVOLONI s.a.s di V.R. & C., c.f.

(OMISSIS), già IMMOBILIARE VIA NUVOLONI s.a.s di VA.FA.

& C., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A/4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato OMBRETTA DI BALDASSARE;

O.D.M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE

MICHELI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO

PREVOSTO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 596/2012 del TRIBUNALE di SANREMO, depositata

il 22/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

uditi gli Avvocati R.B.A. e SILVANA LOMBARDI,

difensore del ricorrente, che hanno chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato EMANUELA ROMANELLI, con delega dell’Avvocato

GABRIELE PAFUNDI difensore della Società controricorrente, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALDO PREVOSTO, difensore della Signora

O.D.M., che si è riportato agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha depositato conclusioni scritte, qui

di seguito trascritte ed allegate al verbale udienza:

1. Inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso anche ex

art. 360 bis c.p.c., n. 1; condanna aggravata di parte ricorrente

alle spese sia per la temerarietà delle pretese azionate in

contrasto con consolidati orientamenti della Suprema Corte, sia

perchè parte ricorrente ha abusivamente frazionato l’asserito

credito; statuizione sul contributo unificato;

2. in subordine, rimessione alle Sezioni Unite affinchè statuiscano

lambito di applicazione, anche ratione temporis, dell’art. 385

c.p.c., comma 4, e art. 96 c.p.c., comma 3, atteso che:

2.1. a fronte di talune sporadiche decisioni della Suprema Corte

(così Sez. 6 3, Ordinanza n. 3376 del 22/02/2016, Rv. 638887, che

ha motivatamente applicato l’art. 385 c.p.c., comma 4), le

argomentate domande di condanna aggravata alle spese proposte da

parecchi anni dalla Procura Generale sono state (implicitamente)

disattese dalla Suprema Corte, omettendo per altro qualunque

motivazione al riguardo (v. ex multis Cass. n. 23865/2015 e

3349/2016);

2.2. da accertamenti eseguiti dall’Ufficio statistico della

Cassazione emerge che, nel periodo 2006 2015, si registrano soltanto

sei condanne aggravate alle spese ex art. 385, comma 4, a fronte

delle migliaia di ricorsi dichiarati inammissibili o manifestamente

infondati soprattutto dalla Sesta Sezione (deputata per l’appunto al

c.d. filtro);

2.3. in sede penale la condanna all’ammenda è adottata normalmente

nei casi previsti (art. 616 c.p.p., e Corte Costituzionale sent.

186/2000);

2.4. la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima

la previsione del novellato art. 96 c.p.c., (sent. 152/2016),

sicchè a fortiori deve ritenersi immune da qualunque illegittimità

costituzionale anche il più rigoroso precetto dell’art. 385 c.p.c.,

comma 4;

2.5. anche nella common law è sanzionato l’abuso del processo,

essendo prescritto che ogni atto non deve essere mai strumentale a

scopi impropri, come ad esempio per molestare o provocare inutili

ritardi o aumento inutile dei costi del contenzioso(any improper

purpose, such as to harass or to cause unnecessary increase in the

cost of litigation (Rule 11 b) 1) delle Federal Rules of civil

Procedure));

2.6. la doverosa applicazione della condanna aggravata, potrebbe

indurre molti Avvocati a desistere da un ricorso frettolosamente o

incautamente proposto (anche per evitare la duplicazione del

contributo unificato), così contribuendo efficacemente alla

riduzione del contenzioso pendente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Il Tribunale di Sanremo, con sentenza 22.11.2012, ha accolto l’appello proposto da O.D.M.G. nei confronti di R.B.A. e della sas Immobiliare via Nuvoloni di Va.Fa. & C. contro la sentenza 205/09 del locale Giudice di Pace e, riformandola, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 18/08 emesso dal Giudice di Pace in data 29.1.2008 (per Euro 734,20 a titolo di spese condominiali oltre interessi e spese legali), dichiarando il R.B. tenuto alla restituzione in favore della Immobiliare via Nuvoloni di Va.Fa. & C. sas della somma di Euro 1.422,21.

Il Tribunale ha motivato la sua decisione osservando, per quanto ancora interessa:

– che le eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dal R.B. erano infondate sia perchè si trattava di sentenza appellabile (in quanto, seppur pronunciata secondo equità, era stata emessa in ipotesi di violazione dei principi regolatori della materia condominiale e quindi in una delle ipotesi espressamente previste dall’art. 339 c.p.c., comma 3), sia perchè risultava soddisfatto il requisito di specificità dei motivi di impugnazione richiesto dall’art. 342 c.p.c.;

– che il titolo posto a base del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del R.B. era rappresentato da una delibera condominiale affetta da nullità radicale se non addirittura da inesistenza, perchè – vertendosi in ipotesi di condominio cd. minimo (in quanto composto solo dal R.B. e dalla O.d.M.) occorreva necessariamente l’unanimità della decisione mentre nel caso di specie la delibera era stata adottata da uno solo dei partecipanti (il R.B., stante l’assenza dell’altra);

– che era da considerarsi nuova, e dunque inammissibile, la richiesta, avanzata dall’appellato, di poter ripetere le somme anticipate in via di urgenza;

– che, di conseguenza, andava evidenziato, a titolo di mero accertamento, l’obbligo del R. di restituire le somme ricevute dopo la sentenza di primo grado, precisandosi che la restituzione andava disposta in favore della società immobiliare per avere questa in precedenza rimborsato, in adempimento di specifici obblighi contrattuali, la O.d.M. (che aveva a sua volta provveduto al pagamento degli importi in favore del R. in esecuzione della pronuncia di primo grado).

2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione il R.B. con cinque motivi a cui resistono con controricorso la O.d.M. e la società Immobiliare.

Il ricorrente e l’ O.d.M. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Col primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, e art. 113 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale ritenuto ammissibile l’appello formulato alla O.d.M. benchè si trattasse di sentenza pronunciata secondo equità e, dunque, non appellabile.

Il motivo è infondato.

L’art. 339 c.p.c., comma 3, indica i casi di appellabilità per le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità e tra questi elenca espressamente il caso di violazione “dei principi regolatori della materia”.

I giudici di merito hanno accertato che con l’appello si era evidenziato proprio la violazione dei principi regolatori della materia condominiale ed in particolare della formazione della volontà del condominio e quindi la censura non coglie nel segno.

2 Col secondo motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., dolendosi del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata per difetto di specificità dei motivi.

Tale censura è inammissibile.

Come, infatti, più volte affermato da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (v. Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012 Rv. 621100; Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012 Rv. 623401; Sez. L, Sentenza n. 9734 del 21/05/2004 Rv. 580597).

Nel caso in esame, come appare evidente dalla lettura del motivo, il ricorrente si è sottratto a tale onere, avendo omesso di trascrivere i motivi di appello a suo dire privi di specificità e di conseguenza la censura perde ogni consistenza.

3 Col terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1136, 1139 e 1105 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudicante in grado di appello ritenuto nulla, se non inesistente la delibera 12.6.2007 del Condominio di (OMISSIS).

Secondo il ricorrente il Tribunale ha errato nel ritenere la delibera nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimità e quello di totalità, che non sono assimilabili: rileva in particolare che l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validità delle delibere del condominio minimo può validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi – verificatasi in concreto nel caso di specie – di decisione assunta dall’unico condominio comparso all’assemblea regolarmente convocata (il R.B., appunto). Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’art. 1136 c.c., In ogni caso, secondo la tesi del ricorrente, si tratterebbe al più di delibera annullabile perchè affetta da vizi attinenti alla regolare costituzione dell’assemblea o adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, con la conseguenza che in tale ipotesi, occorreva una tempestiva impugnazione della delibera nei termini di legge, nel caso di specie non proposta.

Il motivo è infondato.

Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, “a fortiori”, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562; v. anche Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5288 del 03/04/2012).

Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (v. Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000 – 01 ma evidentemente sempre con riferimento all’ipotesi di mancanza di accordo tra le parti).

Da tali principi discende dunque che nel condominio cd. minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorchè l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimità).

Ed è proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma: “nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decida validamente”. Si rivela così infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilità dell’art. 1136 c.c..

Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 c.c. (v. sez. unite cit. in motivazione).

Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benchè regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che i) ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 CC.

Ora, nel caso di specie, l’avvocato R.B. fu certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perchè si trattava di un “condominio minimo”, della impossibilità di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilità di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’art. 1105 c.c., lasciando poi che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore.

La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perchè – lo si ripete – mancava l’unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilità al condominio minimo di (OMISSIS) delle regole codicistiche.

Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 305 del 12/01/2016 Rv. 638022).

4 Col quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 345, 645 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto come domanda nuova la prospettazione delle spese come necessarie ed urgenti.

Il motivo è infondato.

Il procedimento monitorio per ottenere il pagamento della quota di spettanza della zia in relazione ai lavori di sistemazione della villa è stato azionato da R.B. in veste di “coammministratore” del bene comune sulla base ci una delibera condominiale di approvazione della relativa spesa. Nessun riferimento dunque in quella sede, neanche in via subordinata, ad una domanda di rimborso per spese urgenti in veste di condomino ai sensi dell’art. 1134 c.c..

La decisione del Tribunale è giuridicamente corretta perchè la domanda di rimborso ex art. 1134 c.c., contiene una causa petendi completamente diversa rispetto a quella di pagamento avanzata dall’amministratore (nel primo caso, urgenza delle spese per le cose comuni sostenute dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea nel quadro di una tipica attività gestoria; nel secondo caso, esistenza di una valida autorizzazione dell’assemblea condominiale).

5 Col quinto ed ultimo motivo si lamenta, infine, la violazione dell’art. 2033 c.c., per avere il Tribunale dichiarato l’esponente tenuto a restituire le somme alla Immobiliare via Nuvoloni sas piuttosto che alla O.d.M..

Tale motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.).

L’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939 – 01; Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 (Rv. 589392 – 01).

Nel caso in esame il ricorrente non ha spiegato quale sia in concreto l’interesse concreto a che le somme da sborsare vadano a favore dell’una piuttosto che dell’altra parte e quindi anche tale censura non coglie nel segno.

6 Il rigetto del ricorso (e quindi la conferma della revoca dell’ingiunzione di pagamento) assorbe logicamente la questione del frazionamento del credito unitario, richiamata nel controricorso e di cui pure si era doluta l’appellante.

7 La soccombenza del ricorrente comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

La richiesta di condanna aggravata avanzata in udienza dal Procuratore Generale non può trovare accoglimento.

Nel caso in esame, infatti, il ricorso non è stato ritenuto nè inammissibile, nè manifestamente infondato e non si ravvisano profili di colpa grave nel comportamento del ricorrente perchè il nucleo centrale della lite condominiale, sfociata in sede di legittimità, è costituito da una questione di diritto (la disciplina giuridica del condominio minimo) di elaborazione giurisprudenziale e di non semplice soluzione.

Non si ravvisano pertanto le condizioni per la rimessione della questione alle sezioni unite, pure in subordine domandata dalla parte pubblica.

Considerato, infine, che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2017

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