Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5325 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 26/02/2021), n.5325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12158/2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Teofilo Folengo,

n. 49, lo studio dell’Avv. Giovanni Maria Facilla, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2081/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 5/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/11/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il cittadino (OMISSIS) C.A. ha impugnato dinnanzi la Corte di Appello di Catania l’ordinanza con la quale il Tribunale di Catania ha rigettato l’opposizione al provvedimento di diniego della protezione internazionale ed umanitaria emesso dalla competente C.T..

L’appellante ha chiesto in via principale il riconoscimento della protezione sussidiaria ed, in via gradata, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La Corte ha rigettato integralmente l’appello, ritenendo la domanda infondata con riferimento a tutte le forme di protezione invocate. Le motivazioni poste a base della decisione sono state le seguenti.

In via preliminare, la Corte di Appello ha evidenziato una discrasia tra la volontà espressa dal richiedente in sede di audizione dinnanzi la C.T., ove ha dichiarato di voler tornare in Senegal e di non avere più paura dello zio che aveva minacciato di denunciarlo, ed il successivo rilascio di una procura ad un legale, al fine di impugnare il provvedimento emesso dal Tribunale di Catania.

In secondo luogo, la Corte ha respinto l’istanza di rinnovazione dell’audizione del richiedente, non ravvisando alcuna utilità nella ripetizione, posto che la parte si è espressa liberamente, fornendo un racconto dettagliato della sua storia, e la verbalizzazione si presenta completa.

In merito al diniego del riconoscimento della protezione sussidiaria, la vicenda personale del richiedente non ha evidenziato un rischio concreto ed attuale di subire atti persecutori o trattamenti inumani e degradanti. Il richiedente ha riferito di essere stato minacciato di denuncia da parte dello zio, perchè sospettato di aver rubato alcuni tessuti, ma la questione si sarebbe risolta considerato che la stessa parte, in sede di audizione, ha affermato di non avere più paura dello zio.

Le condizioni di violenza del Senegal, denunciate dal ricorrente, si sono svolte in zone lontane da quella di provenienza dello stesso (Casamance), la quale è stata interessata da una situazione di conflitto diversa da quella allegata, determinata dallo scontro tra movimenti separatisti e forza governative. Questo conflitto è cessato nel 2014 e da allora il clima socio-politico è divenuto più stabile.

Pertanto, è da escludere che, ad oggi, la regione del Casamance sia caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Da ultimo, la corte di Appello ha negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari atteso che la situazione della regione del Casamance, considerata nell’attualità, non è tale da doversi ritenere che la vita in loco scenda al di sotto del livello di salvaguardia della dignità umana, considerato anche che il richiedente ha una famiglia ed una competenza lavorativa come sarto. Non si ravvisano dunque condizioni di vulnerabilità dello stesso, il quale, al contrario, ha espresso la volontà di ritornare nel suo Paese di origine; ragione per cui un eventuale rimpatrio potrebbe soddisfare al meglio le sue reali esigenze.

Avverso il provvedimento della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione il cittadino straniero affidato a due motivi.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, poichè, in mancanza della videoregistrazione del colloquio con la C.T., la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’audizione del richiedente.

La censura è manifestamente infondata. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, l’art. 35 bis cit., nelle ipotesi in cui manchi la videoregistrazione del colloquio tenutosi dinnanzi la C.T., impone al giudice, nel giudizio di primo grado, l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione delle parti ma non anche quello di reiterare automaticamente l’audizione. Il principio sopra indicato, tuttavia, si applica soltanto alle domande introdotte dopo il 17 agosto 2017, essendo stato affermato dal D.L. n. 13 del 2017, unitamente all’eliminazione del grado d’appello. Per i giudizi anteriormente instaurati, con riferimento al grado d’appello, deve escludersi l’obbligo, in via generale, di disporre l’audizione ma non può escluderne la necessità in concreto, ove nell’atto di appello vengano dedotti fatti nuovi, siano necessari chiarimenti in ordine a lacune ed incongruenze che il giudice d’appello può rilevare anche d’ufficio, sia formulata un’istanza nella quale siano precisati i fatti sui quali si intende sentire la parte ed, infine, salvo che la domanda non sia inammissibile e manifestamente infondata prima facie (Cass., Sez. I, n. 21585/2020; Cass., Sez. I, n. 25439/2020). Nel caso di specie, la difesa ha motivato la richiesta di rinnovazione dell’audizione in forza della mera mancanza della videoregistrazione, ovvero di una modalità di svolgere l’audizione davanti la Commissione territoriale non applicabile nel giudizio in questione, senza specificare i motivi di rilevanza, ai fini decisori, della reiterazione dell’audizione in sede di merito. Per contro la Corte d’Appello ha fornito adeguata motivazione in merito al rigetto dell’istanza di nuova audizione. Precisamente, la ripetizione dell’ascolto è stata ritenuta superflua ed irrilevante in considerazione delle dichiarazioni dettagliate fornite dal ricorrente alla C.T. e della loro completa verbalizzazione.

Il secondo motivo di ricorso censura l’erronea e parziale valutazione dei fatti dichiarati dal ricorrente, i quali, ove letti ed interpretati correttamente dal giudice del merito, avrebbero escluso qualsiasi dubbio circa la sussistenza, per il ricorrente, di un pericolo concreto di subire violenze e minacce in caso di rimpatrio. Inoltre, la Corte di Appello ha ritenuto non credibile il racconto del ricorrente senza dare a quest’ultimo la possibilità di meglio argomentare, mediante l’audizione, le ragioni poste a base della domanda di protezione ed omettendo di applicare il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, che prevede un’attenuazione dell’onere probatorio a favore del richiedente asilo.

Il motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità. La difesa si è limitata a prospettare una diversa lettura ed efficacia concludente delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente, senza fornire elementi concreti per superare i dubbi di credibilità espressi dalla Corte di Appello, inerenti alla constatata divergenza tra quanto affermato dalla parte dinnanzi alla C.T. e quanto riportato nei motivi di appello. Come ritenuto da questa Corte, una censura siffatta attiene al merito e non è ammissibile in sede di legittimità (Cass., Sez. I, n. 3340/2019).

Ciò determina il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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