Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5324 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 27/02/2020), n.5324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MAZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1687-2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO,

38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 9337/2018 del TRIBUNALE di TORINO

depositato il 29/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 29 novembre 2018 il Tribunale di Torino respingeva il ricorso proposto dal cittadino nigeriano A.A. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 14 e s.s. o alla protezione umanitaria previsto dall’art. 5, comma 6, D.Lgs. n.286/1998;

il Tribunale, dopo aver rilevato la non credibilità del racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio paese per sfuggire al pericolo che lo zio gli riservasse la stessa sorte già occorsa al padre, ucciso a causa di proprietà contese che non aveva inteso cedere al fratello): i) riteneva che non potesse essere concessa la protezione sussidiaria richiesta, tenuto conto dell’allegazione in termini del tutto generici della situazione attuale esistente nel paese di origine e dato che il migrante aveva ammesso di non essere mai stato esposto a una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona; li) disattendeva pure la richiesta di concessione della protezione umanitaria, in considerazione della non credibilità del racconto del migrante, delle sue buone condizioni di salute e della situazione socio-politica esistente in Nigeria, che non era di gravità tale da porre la totalità degli abitanti in condizioni di vulnerabilità;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso Anthony A. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno;

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, in quanto il Tribunale non avrebbe concesso la protezione sussidiaria a cui invece il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni socio-politiche e dei rischi derivanti da conflitto armato esistenti in Nigeria;

3.2 il motivo è inammissibile;

questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass. 17069/2018); in questa prospettiva il Tribunale, laddove ha rilevato che “i riferimenti alla situazione attuale contenuti nel ricorso sono del tutto generici, in quanto relativi anche a regioni geograficamente molto distanti da quella di provenienza del ricorrente”, ha inteso sostenere che il ricorrente non aveva assolto il proprio onere di allegare, in maniera specifica e con riferimento alla zona da cui proveniva, l’esistenza di fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che esponessero i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c);

il collegio di merito non ha compiuto quindi alcun accertamento, ma si è limitato a constatare il mancato assolvimento dell’onere di allegazione della situazione da valutare ai fini del riconoscimento della protezione richiesta;

la doglianza in esame non coglie nè critica una simile ratio decidendi, limitandosi a predicare – sul piano dell’apprezzamento delle prove fornite piuttosto che su quello dell’applicazione del principio dispositivo a cui si è riferito il Tribunale – una mancata valutazione delle condizioni esistenti in Nigeria;

il motivo risulta così inammissibile, dato che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 19989/2017);

4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erronea applicazione degli art. 5 T.U.I., comma 6, e art. 19 T.U.I., in quanto non poteva essere negato il permesso di soggiorno in presenza di seri motivi di carattere umanitario ed a chi potesse essere perseguitato o correre gravi rischi, anche per la compromissione dei diritti inalienabili alla salute e all’alimentazione, in caso di rimpatrio nel paese di origine;

4.2 il motivo è inammissibile;

4.2.1 il Tribunale, nel negare la protezione umanitaria richiesta, ha escluso ogni rilevanza a tal riguardo della situazione personale rappresentata, stante la non credibilità del migrante, a cui conseguiva l’esclusione di ogni rischio di persecuzione o danno grave in caso di rimpatrio, e le sue buone condizioni di salute;

allo stesso modo non assumevano rilievo, agli occhi del collegio di merito, la situazione socio-politica e le personali difficoltà del richiedente asilo;

a fronte di questa valutazione la critica rivolta all’errata valutazione degli elementi istruttori offerti adduce deduzioni astratte e di principio,

che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda;

4.2.2 parimenti inammissibile risulta poi il profilo di censura che lamenta la mancata valutazione della possibile compromissione del diritto alla salute e all’alimentazione, trattandosi di allegazione non pertinente;

in vero la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente;

non è quindi ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero parametri di benessere, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di estrema difficoltà economica e sociale, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass. 3681/2019);

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a

norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 27 febbraio 2020

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