Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5323 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, (ud. 22/01/2019, dep. 27/02/2020), n.5323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MAZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31250-2018 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 908/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/4/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/1/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

1. il Tribunale di Catania, con ordinanza ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c. resa in data 30 novembre 2016, rigettava la domanda presentata da N.A. al fine da ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ex artt. 2 e 14 d. lgs. 251/2007 ovvero della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. la Corte d’appello di Catania, dopo aver confermato il giudizio di scarsa attendibilità del racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato dalla regione del Casamance in Senegal dopo essere stato rapito dai ribelli, avendo saputo che la polizia stava arrestando chi era stato visto in loro compagnia): i) escludeva che il ricorrente, in caso di rimpatrio, potesse subire gravi danni riconducibili alle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); li) osservava che nella regione del Casamance non vi era una situazione di violenza indiscriminata tale da giustificare la concessione della

protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c); riteneva che non potesse essere concessa neppure la protezione umanitaria, tenuto conto della situazione esistente nella zona di provenienza e non risultando che il migrante sarebbe andato incontro, in caso di rimpatrio, a una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale;

in forza di simili argomenti la Corte di merito rigettava, con sentenza depositata in data 19 aprile 2018, l’appello proposto da N.A.;

3. per la cassazione di tale statuizione ha proposto ricorso N.A. prospettando due motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto difese;

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”: la Corte distrettuale avrebbe omesso di valutare il sistema di violenza generalizzato esistente nel paese di origine del migrante, il fatto che l’organizzazione statuale fosse incapace di assicurare intervento e protezione, l’appartenenza del richiedente asilo a una categoria “debole” e la sua condizione di integrazione sociale in Italia;

4.2 il motivo è nel suo complesso inammissibile;

4.2.1 la Corte di merito, in realtà, ha esaminato la condizione della regione di origine del migrante, escludendo che ivi esistesse una situazione di violenza indiscriminata;

la prima parte della critica non si confronta con il contenuto della

decisione impugnata, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dalla corte distrettuale e si traduce in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito;

4.2.2 la doglianza individua poi ulteriori fatti storici che il collegio di appello avrebbe omesso di esaminare, ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultavano esistenti nonchè il come e il quando gli stessi fossero stati oggetto di discussione processuale tra le parti (Cass., Sez. U., 8053/2014);

il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato;

5.1 il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14: la Corte d’appello non avrebbe concesso la protezione sussidiaria benchè il migrante ne avesse diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del suo paese di origine, dove esisteva un grado di violenza indiscriminata così elevato da far ritenere che egli, ove fosse rimpatriato, avrebbe subito una minaccia grave e individuale alla sua vita e alla sua persona; inoltre il migrante sarebbe stato soggetto anche al rischio di essere lasciato alle mercè di un sistema giudiziario che non era garante dei diritti dei cittadini;

5.2 il motivo è inammissibile;

5.2.1 in vero ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri ufficiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

la Corte di merito si è ispirata a simili criteri, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione esistente a quel momento nella regione del Casamance in Senegal;

la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal collegio d’appello malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

5.2.2 in merito agli ulteriori rischi per l’incolumità del migrante la corte territoriale ha escluso – oltre all’attendibilità del migrante e quindi, implicitamente, ai rischi riconnessi alla vicenda narrata – anche che un eventuale rimpatrio avrebbe posto il richiedente asilo nelle condizioni di correre il rischio di subire una condanna a morte, di essere sottoposto a tortura o ad altra forma di pena o trattamento inumano o degradante;

la doglianza, predicando i rischi di soggezione a un sistema giudiziario privo di garanzie, intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa e si traduce in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito;

6. il terzo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che la Corte d’appello abbia omesso di valutare l’applicabilità al ricorrente della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 5 T.U.I., comma 6, e art. 19 T.U.I. e D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1; nel caso di specie, ove erano rimaste accertate le possibilità che il ricorrente, in caso di rimpatrio, potesse essere ingiustamente processato, condannato e incarcerato e comunque tornasse a vivere in un contesto in cui sussistevano gravissime condizioni sociali, politiche ed economiche derivanti anche da atti terroristici diffusi e conflitto armato, risultavano necessariamente soddisfatti i presupposti per il riconoscimento almeno della protezione umanitaria;

6.2 il motivo è inammissibile;

la Corte d’appello ha accertato, in fatto, l’inesistenza di ragioni di carattere umanitario tali da consentire il riconoscimento della forma di protezione residuale in questione;

a fronte di questo accertamento il mezzo non solo allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 24155/2017, Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016), ma si limita anche a deduzioni astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e intendono nella sostanza sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda presentata;

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 27 febbraio 2020

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