Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5323 del 26/02/2021

Cassazione civile sez. I, 26/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 26/02/2021), n.5323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9471/2019 proposto da:

B.Z., elettivamente domiciliato in Napoli, Via G. Porzio,

Centro Direzionale, is. G1, sc. C, presso lo studio dell’Avv.

Clementina di Rosa, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi, n. 12, Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1973/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 20/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/11/2020 da Dott. ACIERNO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Sig. B.Z., nato a (OMISSIS), ha impugnato dinnanzi la Corte di Appello di Catania l’ordinanza con la quale il Tribunale di Catania ha rigettato l’opposizione al provvedimento di diniego della protezione internazionale ed umanitaria emesso dalla C.T. di Siracusa.

L’appellante ha chiesto in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ed, in via gradata, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La Corte ha rigettato integralmente l’appello, ritenendo la domanda infondata con riferimento a tutte le forme di protezione invocate. Le motivazioni poste a base della decisione sono le seguenti:

Con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato, le ragioni determinanti la fuga dal Senegal, addotte dal richiedente, non integrano il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiosi, razziali o di appartenenza ad un gruppo sociale. Nel (OMISSIS), il Sig. B. è stato esposto a reclutamento forzoso da parte di alcuni ribelli provenienti dalla limitrofa regione del Casamance, ma non in quanto appartenente ad un gruppo avversato dai ribelli, bensì perchè indistintamente ritenuto utile alla ribellione, al pari di altre persone.

In merito al diniego della protezione sussidiaria, il racconto del richiedente si ritiene coerente e compatibile con le informazioni generali che si hanno sul paese di Provenienza. Dalle COI consultate (pag. 3-4) risulta che il Senegal, fino al 2014, è stato interessato da un grave conflitto, sostenuto dal (OMISSIS) che ne chiedeva l’indipendenza, i cui effetti negativi sono stati avvertiti anche nelle regioni limitrofe, vittime di razzie dirette anche al reclutamento forzato. Tuttavia, nel 2014 il conflitto è cessato in virtù di un accordo del leader dell'(OMISSIS) e, nel biennio 2015-2016, non si sono registrati attacchi da parte dei ribelli. Per queste ragioni deve escludersi che il ricorrente, in caso di rimpatrio, possa correre un rischio concreto ed attuale di subire un danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ovvero che il Paese di provenienza del ricorrente sia ad oggi caratterizzato da una situazione di violenza indiscriminata inquadrabile nell’ipotesi normativa di cui dell’art. 14 cit., lett. c).

Riguardo al mancato rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la situazione attuale della zona di provenienza del ricorrente non è tale da doversi ritenere che la vita in loco scenda al di sotto del livello di salvaguardia della dignità umana. Inoltre, il Sig. B., prima di lasciare il Senegal, lavorava regolarmente nei campi ed ha moglie e due figli con i quali ha mantenuto contatti. Egli, a prescindere dalle vere motivazioni determinanti l’espatrio, desidera oggi rimanere in Italia per ragioni economiche, come si evince chiaramente dalle dichiarazioni rilasciate in sede di audizione (“se voi italiani mi date i documenti ed un lavoro, lo rimango qui e non torno più”). Sebbene, da una valutazione comparativa tra la situazione di integrazione raggiunta in Italia dal ricorrente e quella alla quale sarebbe esposto in caso di rimpatrio, risulti che nel Paese accogliente egli possa avere una chance di vita migliore, quest’ultima non costituisce ragion sufficiente per riconoscere la protezione umanitaria, in assenza di motivi umanitari che impongano allo Stato ospitante di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali della persona.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Ha depositato controricorso il Ministero dell’Interno.

Il ricorso principale si articola in quattro motivi.

1. Nel primo si censura la violazione della normativa che soprintende al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14), posto che la Corte di Appello non ha debitamente tenuto conto della vicenda persecutoria personale narrata in sede di audizione e dell’attuale quadro socio-politico del Paese di provenienza. Il ricorrente ha subito vessazioni e maltrattanti fisici e morali, non può quindi negarsi che, in caso di rimpatrio, egli possa subire ulteriori minacce e violenze, anche perchè il sistema giudiziario del Senegal non rispetta i diritti umani fondamentali. Inoltre, le COI più aggiornate ed autorevoli, allegate nel presente ricorso (pag. 11-15), riferiscono di decessi, torture, detenzioni arbitrarie e maltrattamenti in carcere. Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Appello avrebbe dovuto necessariamente riconoscere al ricorrente adeguata tutela per mezzo della concessione delle forme di protezioni suindicate.

1.1. La censura non supera il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità.

In primis, si prende atto di come la difesa non abbia specificato se le COI allegate nel ricorso per Cassazione siano già state prodotte in sede di merito. Esse, comunque, non smentiscono le motivazioni poste a base del diniego delle forme di protezione richieste. Invero, dal loro contenuto non si evincono elementi in forza dei quali superare le conclusioni della Corte di Appello che, con riferimento allo status di rifugiato ed alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), ha ritenuto non attuale il rischio di subire persecuzioni o altre forme di trattamenti inumani e degradanti, atteso che le violenze derivanti da reclutamento forzoso sono cessate nel 2014. Del pari, le stesse COI rappresentano esclusivamente una situazione di conflitto a bassa intensità non caratterizzante l’intero Paese, escludendo, come evidenziato dalla pronuncia impugnata, una situazione di violenza indiscriminata rientrante nell’ipotesi normativa di cui dell’art. 14 cit., lett. c).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il ricorrente versa in una condizione di estrema vulnerabilità, determinata dalla sua giovane età, dall’assenza di legami sociali attuali (è orfano di entrambi i genitori), dalle molteplici criticità del Paese di origine, oltre che dalle violenze patite nei Paesi di transito. Da quanto dedotto, risulta evidente la sussistenza di seri motivi umanitari legittimanti la protezione umanitaria, atteso che un eventuale rimpatrio comporterebbe per lo stesso un grave pregiudizio.

2.2. La censura è inammissibile perchè del tutto generica. Il giudizio prognostico negativo di vulnerabilità è stato correttamente motivato dalla Corte di Appello, con riferimento tanto alla situazione socio-politica del Senegal, ove non si riscontra alcuna privazione dell’esercizio dei diritti fondamentali della persona, quanto alla vicenda personale del ricorrente, il quale richiede la protezione umanitaria per motivi esclusivamente economici. Per contro, la difesa si è limitata ad asserire genericamente l’esistenza di un causa di vulnerabilità, venendo meno al dovere di allegare, produrre o dedurre gli elementi e la documentazione necessari a motivarne la sussistenza, come richiesto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, n. 22528/2020).

3. Nel terzo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte di Appello omesso di svolgere un’esatta e compiuta disamina dell’attuale quadro socio-politico della zona di provenienza del ricorrente, pur dovendo verificare tramite le COI aggiornate e precise la sussistenza di presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o, quantomeno, di quella umanitaria.

3.3. La censura non supera il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità. La difesa lamenta genericamente il mancato esercizio dei poteri officiosi di cooperazione istruttoria dal parte del giudice del merito, senza tuttavia indicare le fonti che, secondo la sua prospettazione, avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio. Come affermato recentemente da questa Corte, in mancanza di tale allegazione, si paventa l’impossibilità, per la stessa, di valutare la teorica rilevanza e decisività della censura (Cass., Sez. I, 22769/2020).

4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la contraddittorietà, illogicità ed apparenza della motivazione per essersi la Corte di Appello limitata ad una valutazione superficiale, inadeguata ed incoerente, tanto della vicenda personale del ricorrente, quanto dell’attuale situazione socio-politica del Paese di origine; circostanze che dovevano essere doverosamente approfondite.

4.4. La censura non supera il vaglio di ammissibilità considerato che il giudice del merito ha debitamente verificato l’attuale situazione del Paese di origine del richiedente, per mezzo di COI aggiornate e precise (pag. 3-4 provvedimento impugnato), nonchè ha preso atto della vicenda subita del ricorrente, la quale, per altro, è stata ritenuta credibile. Tali elementi hanno formato oggetto di una valutazione comparativa tra la situazione di integrazione raggiunta dal richiedente in Italia e quella alla quale sarebbe esposto in caso di rimpatrio, tuttavia, non sono stati ritenuti sufficienti a legittimare la concessione di alcuna dalle forme di protezioni richieste. Conclusione, quest’ultima, correttamente giustificata, sotto il profilo logico e giuridico, dal provvedimento della Corte di Appello che non risulta dunque carente di motivazione adeguata sul punto. Contrariamente, la difesa ha meramente contestato l’apprezzamento degli elementi fattuali esposti in motivazione, ritenendo che avrebbero dovuto indurre il giudice del merito a concedere la protezione invocata, limitandosi quindi a chiedere a questa Corte di svolgere un riesame nel merito della vicenda, come tale, non consentito in sede di legittimità.

In conclusione la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, liquidate in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’Interno le spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Non sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

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