Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5323 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5323 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 29205-2010 proposto da:
CEVA LOGISTICS ITALIA S.R.L.,(già CEVA AUTOMOTIVE
LOGISTICS ITALIA S.R.L., prima CEVA IN-BOUND
LOGISTICS S.R.L. e prima ancora TNT ARVIL – joint
venture TNT Arcese Bonzano S.p.A.), P. IVA
13017100150, in persona del legale rappresentante pro
2013
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tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO
LUIGI, rappresentata e difesa dagli avvocati TOSI
PAOLO, UBERTI ANDREA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 07/03/2014

contro

SCELSI MARIA C.F. SCLMRA53E59G273K, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato PELLERITO GIUSEPPE, BENEDETTO

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 561/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 07/06/2010 R.G.N. 519/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
CURZIO;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO per delega TOSI
PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

PELLERITO, CHIODO SILVIO, giusta delega in atti;

1. L’impresa ricorrente, che ha modificato più volte la sua denominazione, si
occupa di servizi di logistica in ambito FIAT. Nel 1998 acquistò da FIAT Auto
spa il ramo d’azienda relativo ai c.d. servizi logistici comuni del comprensorio
di Torino, consistenti nel rifornimento interno dei materiali, nonché nelle
attività di imballaggio e preparazione alla spedizione di componenti per
vetture. In seguito, operò ulteriori acquisizioni di rami d’azienda, relativi ad
attività di confezionamento ed imballaggio di parti d’auto per stabilimenti
all’estero e di pezzi di ricambio per le autovetture FIAT.
2. Nel 2000 tutte le attività svolte in favore della FIAT vennero accorpate e
concentrate in Mirafiori, in particolare nella c.d. officina 81, in cui operavano
lavoratori in parte addetti al confezionamento manuale, in parte al
confezionamento meccanizzato, in altra parte impiegati in attività di carrellisti
e magazzinieri.
3. A partire dalla metà del 2000, a causa della flessione della produzione FIAT, si
ridusse anche l’attività di logistica e la società ricorrente, dopo aver fatto
ricorso nel 2001-2002 alla CIG ed alla mobilità collegata al raggiungimento
del trattamento pensionistico, nel dicembre 2002, richiese la CIGS a zero ore
per un anno per 665 lavoratori impiegati negli stabilimenti piemontesi di
Verrone, Mirafiori e Rivalta.
4. Con atto del dicembre 2002, la società comunicò alle organizzazioni sindacali
la richiesta di intervento di CIGS ai sensi dell’art. 1, commi 7 e 8, della 1. 223
del 1991, nonché dell’art. 2 del dpr 218 del 2000, precisando che i lavoratori
interessati alla sospensione “saranno individuati sulla base di esigenze
tecniche, organizzative e produttive e per tali soggetti non potrà essere prevista
la rotazione, sia per le caratteristiche delle attività che vengono a cessare, sia
per la specificità delle risorse che dovranno essere sospese in quanto queste
ultime non consentono l’utilizzo di mano d’opera con una metodologia di
impiego polivalente”.
5. Seguì l’esame congiunto con le OOSS, conclusosi negativamente. Nel relativo
verbale del 20 dicembre 2002 la società ribadì che “verrà fatto ricorso alla
CIGS per crisi aziendale per mesi 12 a decorrere dal 2 gennaio 2003 per
massimo 665 lavoratori sospesi a zero ore settimanali, individuati in base alle
esigenze tecnico-organizzative e produttive aziendali”. Per quanto riguarda la
rotazione l’azienda “si dichiara disponibile a realizzarla nel numero di
lavoratori di cui l’organizzazione aziendale lo consente, con modalità che
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Udienza 5 dicembre 2013

Ragioni della decisione

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verranno concordate con le RSU, compatibilmente con le esigenze tecnico
produttive”.
6. Il 19 giugno 2003 società e la rappresentanza sindacale unitaria (RSU)
sottoscrissero un accordo in cui le parti si diedero atto che “pur non risolvendo
totalmente il problema della rotazione fra i lavoratori interessati alla CIGS”
avevano operato “un primo approccio alla gestione dei dipendenti in oggetto”.
L’accordo individua diverse mansioni e stabilisce che la rotazione verrà
realizzata su 54 postazioni lavorative (30 carrellisti e 24 suddivise tra altre 11
mansioni, con numero variabile da 1 a 3) ed avverrà con cadenza massima di
due mesi. Fu costituita una commissione paritetica per verificare e concordare
le modalità concrete di rotazione.
7. Il 5 dicembre 2003 la società comunicò alla RSU una seconda richiesta di
CIGS, sempre conseguente alle problematiche di FIAT, in quanto la debolezza
della domanda aveva assunto carattere strutturale rendendo necessario un
intervento di riorganizzazione produttiva. La richiesta era di sospensione dal 3
gennaio 2004 per 24 mesi di un numero massimo di 1148 dipendenti. Nella
richiesta si dichiarava che i lavoratori sarebbero stati individuati “sulla base di
esigenze tecniche, organizzative e produttive e per tali soggetti sarà prevista la
rotazione sulla base dei criteri già individuati nell’intesa aziendale del 19
giugno 2003”.
8. Il 19 e 23 dicembre si tenne l’esame congiunto con le OOSS e le parti
concordarono sul ricorso alla CIGS per riorganizzazione aziendale per 24 mesi
a decorrere dal 3 gennaio 2004, per un numero non superiore a 665 dipendenti,
prevedendo la possibilità di raggiungere punte sino a 1148 addetti. Per quanto
attiene alla rotazione le parti confermarono il contenuto dell’accordo del 19
giugno 2003. L’esame congiunto venne rinnovato nel gennaio 2004,
confermando gli accordi del 19 dicembre e del 19 giugno 2003.
9. A seguito del ricorso di parte lavoratrice e della decisione del Tribunale di
Torino, la Corte d’appello di Torino, con la sentenza impugnata, ha dichiarato
l’illegittimità della sospensione per CIGS ed ha condannato la società al
pagamento delle differenze tra il trattamento di cassa integrazione e la
retribuzione spettante, oltre rivalutazione ed interessi.
10.La società chiede l’annullamento della sentenza. Parte intimata si è difesa con
controricorso.
11.1 cinque motivi di ricorso possono essere raggruppati in base alle diverse
questioni poste dalla società.
12.La prima censura è di violazione o falsa applicazione del combinato disposto di
cui agli articoli 20 legge 15/3/1997, n. 59, 1, legge n. 223 del 1991 e 2, d.p.r. n.
218 del 2000. Violazione o falsa applicazione dell’articolo 15 preleggi in
relazione al rapporto tra il d.p.r. n. 218 del 2000 e l’art. 1 della legge n. 223.

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13.Secondo la società ricorrente, la legge n. 59 del 1997, che regolò la
delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, avrebbe
inciso anche nella materia in esame in quanto il d.p.r. n. 218 del 2000
(“Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per la
concessione del trattamento di CIGS e di integrazione salariale a seguito della
stipula di contratti di solidarietà, ai sensi dell’art. 20 della legge n. 59 del 1997,
allegato 1 n. 90 e 91”), avrebbe delegificato la legislazione sulla Cassa
integrazione guadagni. Per effetto di tale operazione, il d.p.r. costituirebbe
ormai l’unico regolamento della materia con la conseguente sostituzione, per
abrogazione esplicita od implicita per incompatibilità, di tutte le altre
disposizioni anche di fonte legale.
14.In questo diverso contesto normativo, tanto la comunicazione datoriale di
avvio della procedura quanto l’esame congiunto dovevano intendersi
disciplinati esclusivamente dal d.p.r., con esclusione di ogni possibilità di
integrazione con la legge n. 223, con conseguente venir meno del diritto delle
organizzazioni sindacali, e di riflesso dei lavoratori, ad essere informati sin
dalla comunicazione di avvio della procedura circa i criteri di selezione dei
lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione.
15 .La tesi della società contrasta con l’orientamento consolidato di questa Corte,
espresso in una lunga teoria di sentenze, a cominciare da Cass. 28 novembre
2008, n. 28464, che, affrontando per prima il problema, all’esito di una
analitica ricognizione del quadro normativo, affermò il seguente principio: la
disciplina del d.p.r. n. 218 del 2000 non ha alcuna efficacia abrogativa della
legge n. 223 del 1991 e, quindi, degli oneri di comunicazione di cui all’art. 1.
Più specificamente non incide in alcun modo sulle disposizioni di cui al
combinato disposto degli artt. 5 della legge 164 del 1975 e 1, comma 7, della
legge 223 del 1991 riguardante l’obbligo datoriale di comunicare in avvio della
procedura per l’integrazione salariale alle organizzazioni sindacali i criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché le modalità di rotazione. Il
d.p.r. tende a semplificare la fase propriamente amministrativa, di rilevanza
pubblica, del procedimento di concessione della integrazione salariale, senza in
alcun punto ridurre i diritti dei lavoratori e le prerogative delle organizzazioni
sindacali ad essi funzionali.
16.Tale ricostruzione è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza
successiva (cfr., tra le tante, Cass. 18 febbraio 2011, n. 4053) e costituisce
ormai un principio consolidato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., come ha
rilevato la Sesta sezione civile in una serie di ordinanze emesse in camera di
consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c. (cfr. per tutte, Cass. VI civile-lavoro, 12
dicembre 2011, n. 26587: “In tema di procedimento per la concessione della
CIGS devono escludersi incompatibilità tra la normativa regolamentare

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introdotta con il d.p.r. 10 giugno 2000, n. 218, e le disposizioni della legge 23
luglio 1991 n. 223: la disciplina regolamentare, che si limita a imporre
all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione
salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni
sindacali, attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione
dell’integrazione stessa, e nulla dice sul contenuto concreto della
comunicazione, né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta e,
pertanto, non ha in alcun modo inciso sugli obblighi di rilevanza collettiva di
cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata. Né la normativa
regolamentare ha spostato l’informazione circa i criteri di scelta e le modalità
della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio
della procedura di integrazione salariale a quello, immediatamente successivo,
dell’esame congiunto, atteso che, così opinando, il contenuto della norma di cui
all’art. 2 del d.p.r. n. 218, citato, risulterebbe del tutto estraneo all’ esigenza di
semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come
conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la
compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, delineando un
sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato rispetto alla finalità
perseguita. (Principio affermato ai sensi dell’art. 360-bis, comma 1, c.p.c.)”.
17.11 ricorso per cassazione in esame non offre elementi per mutare orientamento.
18.Un secondo gruppo di censure attiene alla necessità della specificazione dei
criteri in sede di comunicazione di avvio della procedura ai sensi dell’art. 1,
comma 7, 1. 223/1991, dell’art. 5, comma 4,5, 6 1. n. 164/75, 2697 e dell’art. 2
d.p.r. 218/2000 in relazione al contenuto della lettera di apertura della
procedura.
19.Anche su tale necessità la giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo
costante. La norma guida (art. 1, comma 7, della legge 223 del 1991) è molto
chiara nello stabilire che “devono” formare “oggetto della comunicazione” i
“criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità della
rotazione prevista dal comma 8”.
20.Le Sezioni unite hanno escluso la fondatezza di interpretazioni riduttive di tale
disposizione, sottolineando, con la sentenza n. 302 del 2000, che, in caso di
intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un
programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale
implicante una temporanea eccedenza di personale, il provvedimento di
sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, sia
che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario,
ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame
congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di
individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, in base al combinato

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disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, e della L. 20 maggio
1975, n. 164, art. 5, commi 4 e 5.
21.L’orientamento si è consolidato del tempo, trovando conferma nella successiva
giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. 23 aprile 2004, n. 7720; Cass. 4
maggio 2009, n. 10236; Cass. 1 luglio 2009, n. 15393; Cass. 21 settembre
2011,n. 19235).
22.Da ultimo, Cass., 22 febbraio 2012, n. 7459, ha così sintetizzato i principi base
che regolano la materia:
a) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo
qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della
rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle
organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di
concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla
rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi, ed
ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente
corrispondere (Cass. 28 novembre 2008, n. 28464);
b) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad
operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della
corrispondenza della scelta ai criteri (Cass. 23 aprile 2004, n. 7720);
c) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di
integrazione salariale la cui genericità rende impossibile qualunque
valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori
da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 23
luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, (Cass. 9 giugno 2009, n. 13240);
d) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione
delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina
l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere
giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della
materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e
collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 19 agosto
2003,n. 12137; Cass. 18 maggio 2006, n. 11660);
23.La valutazione della rispondenza in concreto delle comunicazioni di avvio
della procedura di Cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai requisiti
su indicati, è una valutazione di merito in ordine al contenuto dell’atto
negoziale, che rimane estranea al giudizio di legittimità, quando, come nel caso
in esame, il giudice di merito abbia motivato la sua decisione in modo
sufficiente e privo di contraddizioni.
24.Un’ulteriore questione posta con i motivi di ricorso attiene al preteso effetto
sanante dell’esame congiunto rispetto alla comunicazione di avvio della
procedura, vuoi perché i criteri sarebbero stati adeguatamente specificati in tale

PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, che liquida in 4.000,00 euro per compensi professionali e
100,00 per spese, oltre accessori come per legge.

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atto, vuoi perché i verbali di esame congiunto avrebbero il valore di atti
amministrativi che certificano la regolarità della procedura. La seconda
affermazione non ha alcun fondamento normativo. A tal fine la società indica
l’art. 2 del d.p.r. 218 del 2000, ma dalla lettura di tale norma si evince che
all’esame congiunto partecipano funzionari delle direzioni provinciali o
regionale del lavoro, mentre non si evince alcuna efficacia certificatoria della
regolarità della comunicazione aziendale al sindacato in ordine alla adeguata
indicazione dei criteri di scelta o delle ragioni per le quali non si ricorre alla
rotazione.
25.Quanto alla possibilità di un effetto sanante di un accordo sindacale sui criteri
di scelta, essa è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza, che l’ha
ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma mai nelle ipotesi, come
quella in esame, in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in
grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte
adeguatamente informate. In questi casi la specificazione dei criteri in sede di
comunicazione non può essere omessa né può essere formulata in forma
generica (per approfondimenti si rinvia a Cass. 26587/2011 cit.; in generale
sull’esclusione del carattere sanante dell’accordo cfr. Cass. 9 giugno 2009, n.
13240 e Cass. 1 luglio 2009, n. 15393).
26.Peraltro, nel caso in esame, la Corte di merito ha escluso che i verbali di esame
congiunto mediante il richiamo dell’accordo del 19 giugno 2003 abbiano
individuato i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, rilevando che tale
atto non contiene una esposizione dei criteri di scelta, ma si limita a prevedere
una rotazione parziale dei lavoratori da collocare in CIGS. Parziale perché non
è estesa a tutti lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla crisi
aziendale, ma è limitata ad una parte di essi individuata in base a criteri non
specificati. Questa valutazione della Corte d’appello, essendo basata su di una
motivazione (più che) sufficiente e priva di contraddizioni, non può essere
rimessa in discussione in sede di legittimità, concernendo il merito della
decisione.
27.11 ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità
devono essere poste a carico della parte soccombente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4dicembre 2013.

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