Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5320 del 07/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5320 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 4831-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

P

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3348

contro

VAGNONI CRISTIAN C.F. VGNCST78S03A462D, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso
lo studio dell’avvocato COLUCCI ANGELO, che lo

Data pubblicazione: 07/03/2014

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO
MONALDI, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza definitiva n. 256/2012 della CORTE
D’APPELLO di ANCONA, depositata il 02/03/2012 R.G.N.

avverso la sentenza non definitiva n. 749/2011 della
CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/10/2011
R.G.N. 1196/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/11/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato COLUCCI ANGELO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

1196/2007;

4831.13

Udienza 21 novembre 2013

Pres. F. Roselli
Est. V. Di Cerbo

SENTENZA
La Corte

1.

Con sentenza parziale depositata in data 6 ottobre 2011 la Corte d’appello di Ancona ha
confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità del
termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Cristian
Vagnoni e per l’effetto aveva dichiarato la sussistenza, tra le parti, di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato. Con sentenza definitiva, depositata il 2
marzo 2012 la stessa Corte ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento, a favore
del lavoratore sopra indicato, di una somma pari a otto mensilità della retribuzione
mensile di fatto, oltre rivalutazione e interessi legali maturati, a titolo di risarcimento del
danno ex art. 32 della legge n. 183 del 2010.

2.

Per la cassazione delle suddette sentenze Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso (art.
361 cod. proc. civ.) illustrato da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Come si evince dalla sentenza impugnata Cristian Vagnoni è stato assunto con contratto
a tempo determinato stipulato, in data 21 dicembre 2000, ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l.
26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, per

esigenze eccezionali conseguenti alla fase di …;
5.

La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del
termine, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato in data successiva
al 30 aprile 1998. Sotto altro profilo ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto
per mutuo consenso sollevata da Poste Italiane s.p.a.

6.

Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372,
primo e secondo comma, cod. civ. e vizio di motivazione) la statuizione della sentenza
impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

7.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr.,
in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale
ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la
conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale
conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative
– una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine
ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di
tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
3

Rilevato che

8.

Per quanto riguarda la statuizione sulla illegittimità del termine, questa viene censurata
con il secondo motivo, col quale la società ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. nonché vizio di motivazione deducendo
l’erronea interpretazione, da parte della Corte territoriale, di norme collettive dalla
stessa richiamate nella motivazione della sentenza impugnata.

9.

La censura è infondata e deve essere pertanto rigettata.

10. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di
“delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4
agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel
caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con
accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14
aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa
Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni
a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
ed alla conseguente
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che
deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art.
1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28
novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979,
Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti
principi.

4

in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la
Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del
contratto non fosse sufficiente, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di
valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto
per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto
resiste alle censure mosse in ricorso.

12. La censura è fondata.
13. Va premesso che, come già precisato da questa Corte di legittimità (Cass. 29 febbraio
2012 n. 3056), l’indennità di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce
dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303
del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il
termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato art. 32
(che richiama i criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966), a prescindere
dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno
effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità forfetizzata
e
onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo c.d. intermedio
(e cioè dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto). In senso
conforme a quanto già affermato dalla Corte costituzionale e da questa Corte di
legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 2012 che, all’art. 1, comma 13, con
norma di interpretazione autentica ha così disposto: La disposizione di cui al comma 5
dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 si interpreta nel senso che l’indennità ivi
prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la
pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del
rapporto di lavoro.
14. Sulla base di tali premesse e, in applicazione dei principi generali in materia di sindacato
di legittimità, con particolare riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., deve affermarsi,
coerentemente con quanto più volte affermato da questa Corte in tema di indennità di
cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio
2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la determinazione tra il minimo e il
massimo della misura dell’indennità de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in
sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
15. Nel caso in esame la Corte territoriale nel fare un mero riferimento ai criteri di cui all’art.
32, comma quinto, del “collegato lavoro” è incorso nel vizio di totale assenza di
motivazione con riferimento alla liquidazione dell’indennità.
16. La sentenza deve essere pertanto cassata limitatamente al motivo accolto, con rinvio ad
altro giudice, indicato in dispositivo, che prowederà in applicazione dei principi sopra
enunciati. Lo stesso giudice provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di
cassazione (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

5

11. Con il terzo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 8 della
legge n. 604 del 1966 nonché vizio di motivazione) la statuizione concernente le
conseguenze economiche della declaratoria dell’illegittimità del termine. Deduce
l’omessa motivazione in ordine all’applicazione dei criteri di cui all’art. 8 sopra citato
nella determinazione dell’indennità prevista dall’art. 32, comma quinto, della legge n.
183 del 2010. Inoltre la Corte territoriale, nel liquidare la suddetta indennità, aveva
erroneamente escluso l’applicabilità al caso di specie, della disposizione di cui al sesto
comma del citato art. 32 che prevede un limite massimo di sei mesi in presenza di
contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le
organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che
prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con
contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie.

P.Q. M .
La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa in relazione al motivo accolto
e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 novembre 2013.

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