Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5315 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5315 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

ORDINANZA
sul ricorso 12054-2015 proposto da:
VIOLA CRISTINA, VIOLA PIERO, elettivamente domiciliati in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORFE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANDREA LO
CASTRO;
– ricorrenti Contro

MONTALBANO VINCENZO,elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZA
BONAVIRI;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 287/2015 della COR1E D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 17/02/2015;

Data pubblicazione: 06/03/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del

09/06/2017

dal Consigliere Dott.

MILENA

FALAS CHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

evocava, dinanzi al Tribunale di Catania, Piero e Cristina Viola, chiedendo che
fosse riconosciuto il suo diritto a recedere dal contratto preliminare concluso
con gli stessi per loro grave inadempimento, con condanna a corrispondergli il
doppio della caparra versata; in via subordinata, domandava la risoluzione del
contratto per inadempimento, con condanna dei convenuti a pagare il doppio
della caparra e a risarcire i danni subiti.
Il giudice adito, nel contraddittorio dei convenuti che contestavano la
fondatezza della pretesa, con sentenza n. 29522/2008, accoglieva la domanda
attorea.
In virtù di rituale appello interposto dai Viola, la Corte di Appello di Catania,
con sentenza n. 287/2015, rigettava il gravame.
Per la cassazione della sentenza della corte territoriale ricorrono i Viola sulla
base di sei motivi, cui resiste l’intimato con controricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità
nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5),
c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle
parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:
il primo ed il secondo motivo (con i quali i ricorrenti lamentano la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 1385, 1453 e 1455 c.c., nonché la
contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza, per avere la corte
territoriale ritenuto sussistere l’inadempimento grave dei prominenti venditori,
Ric. 2015 n. 12054 sez. M2 – ud. 09-06-2017
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Con atto di citazione notificato il 15 giugno 2002 Vincenzo Montalbano

nonostante il promissario acquirente avesse inviato la comunicazione
manifestando la volontà di recedere dal contratto preliminare solo a distanza
di un mese dalla scadenza del termine previsto per la stipula dell’atto pubblico,
anche alla luce delle prove testimoniali raccolte), da valutare unitariamente per
la connessione argomentativa che li avvince, sono inammissibili.

valutazione delle prove testimoniali assunte nei gradi di merito in ordine alla
“ragionevole certezza del mancato assolvimento dell’obbligo di lasciare il bene
immobile promesso in vendita libero da persone e cose”, censure precluse in
sede di legittimità anche alla luce del testo attuale dell’art. 360, n. 5, c.p.c.,
come modificato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134.
La corte territoriale, infatti, ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che la
condotta dei Viola, denunciata dall’attore, integrasse i requisiti del grave
inadempimento, in particolare, la circostanza che non risultava si fossero
concretamente adoperati per il rilascio dell’immobile da parte del locatario in
tempo per la stipula dell’atto pubblico in una data ragionevolmente prossima a
quella concordata, considerando che peraltro non sarebbe potuto facilmente
cessare il rapporto di locazione sì da poterne pretendere lo sgombero. Dette
argomentazioni non risultano avere formato oggetto di specifiche critiche;

il terzo motivo (con il quale è dedotta la violazione e la falsa

applicazione dell’art. 1478 c.c., nonchè la contraddittorietà ed insufficienza
della motivazione, per avere la corte distrettuale ritenuto i ricorrenti
inadempienti anche rispetto all’obbligazione principale per essersi obbligati
alla vendita di un bene parzialmente altrui, sebbene sprovvisti di mandato
scritto) è anch’esso inammissibile, non cogliendo la ratio della decisione.
La corte territoriale, nel respingere il secondo motivo di appello, si è limitata
ad argomentare in ordine all’eccezione di nullità del contratto avanzata dagli
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Con dette censure i ricorrenti, nella sostanza, deducono una nuova e diversa

appellanti, senza trarre alcuna conseguenza dalla circostanza sul piano del
mancato acquisto delle quote dei coeredi ad opera degli attuali resistenti. In
altri termini, ha ritenuto che non potesse scaturire la nullità del contratto dalla
carenza di potere rappresentativo, dal momento che sino alla data fissata per la
stipula del definitivo ben avrebbero potuto ottenere dagli altri comproprietari

il quarto motivo (con il quale è contestata la violazione dell’art. 1385
c.c., oltre ad omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto

controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice del gravame
disposto la restituzione dell’intera caparra versata, nonostante una parte
costituisse un acconto sul prezzo) è parimenti inammissibile.

La Corte di appello ha rilevato che con i due motivi di gravame gli appellanti
avevano contestato la erroneità della decisione di primo grado che aveva
valutato come grave il loro inadempimento, nonché la nullità del contratto
preliminare per difetto di potere rappresentativo, mentre nulla risulta dedotto
riguardo alla questione dell’entità della caparra confirmatoria, con la
conseguenza che deve ritenersi non devoluta al giudice di appello.
Invero a fronte di tali statuizioni, i ricorrenti avevano l’onere, per il principio
di specificità del ricorso per cassazione, di trascrivere per esteso i motivi di
appello proposti, onde consentire a questa Corte – alla quale, nel caso di
denuncia di vizi di motivazione, è precluso l’accesso diretto agli atti del
giudizio di merito – di rilevare l’eventuale errore commesso dal giudice del
gravame. In difetto di tali indicazioni, la censura mossa si risolve in mera
petizione di principio, inidonea a scalfire la correttezza, sotto il profilo logico e
giuridico, delle valutazioni espresse dal giudice del gravame nell’individuare il
tema di indagine sottoposto al suo esame in forza dei motivi di impugnazione
proposti dagli appellanti.

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la procura speciale a vendere;

La sostanziale doglianza di omessa pronuncia lamentata è inammissibile, in
quanto dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso si evince
che con i motivi di appello gli odierni ricorrenti non hanno censurato la
sentenza di primo grado nella parte in cui ha disposto la restituzione del
doppio della caparra. In altri termini, il vizio di omessa pronuncia non può

riferito alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente, quando
non abbia costituito oggetto di motivo di appello (Cass. n. 11738 del 2016);

il quinto motivo (con cui sono lamentate la violazione e falsa

applicazione degli artt. 1350 e 1351 c.c., nonché la contraddittorietà ed
insufficienza della motivazione, dovendo il giudice del gravame rilevare
d’ufficio la nullità del contratto preliminare per quanto esposto con

riferimento al terzo motivo) è manifestamente infondato, in quanto la corte
territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la vendita
di cosa parzialmente altrui non è nulla in ragione della mera parziale altruità
della res promessa (Cass. 11 marzo 2004 n. 4965);

il sesto motivo, concernente la disciplina delle spese di lite, è da

considerare superato dalle considerazioni che precedono, avendole il giudice
del merito governate alla luce del principio di soccombenza.
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30
Ric. 2015 n. 12054 sez. M2 – ud. 09-06-2017
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essere utilmente dedotto come mezzo di ricorso per cassazione, neppure se

maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali di
legittimità che liquida in complessivi € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi,
oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
giugno 2017.

P.Q.M.

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