Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5312 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5312 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

ORDINANZA
sul ricorso 11654-2015 proposto da:
INGENIAN SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
ANTONIO) PIERO SEBASTIAN° MANCONI;

– ricorrente contro
\RAS GIOVANNA ADRIANA, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato AGOSTINO
GIORDO;

– controricorrente nonché contro
CAPPAI LIDIA MARCELLA, CAPPAI NIARIA LUISA LIDIA;

Data pubblicazione: 06/03/2018

- intimate avverso la sentenza n. 49/2015 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il
03/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Cesare CAPPA’ proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso
in favore della INGENIAN s.r.l. a titolo di corrispettivo dei lavori appaltati
con contratto stipulato il 1°.6.2005; il Tribunale di Sassari, nella resistenza
dell’opposta, accoglieva in parte l’opposizione, condannando l’opponente al
pagamento di una minor somma di denaro.
In virtù di rituale impugnazione proposta da Giovanna Adriana Taras (quale
erede di Cappai Cesare), cui avevano aderito, intervenendo volontariamente,
Lidia Marcella Cappai e Maria Luisa Lidia Cappai (altre eredi del C:appai), la
Corte di Appello di Cagliari, in accoglimento parziale dell’appello, condannava
le appellanti al pagamento, in favore della società appellata, della somma di
euro 4.428,41.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la Ingeman s.r.l. sulla base di
quattro motivi, cui resiste con controricorso Giovanna Adriana Taras, mentre
le intimate Cappai, Lidia Marcella e Maria Luisa Lidia, non hanno svolto
attività difensiva
Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità
nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5),
c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle
parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

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partecipata del 09/06/2017 dal Consigliere Dott. MILENA

Atteso che:
il primo motivo di ricorso (col quale la Ingeman deduce la omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 1667 c.c., per

aver la Corte di appello rigettato la sua eccezione di mancata tempestiva
denuncia dei vizi in ordine al primo contratto, nonostante il committente non
successivamente stipulato anche un secondo contratto per le “finiture”) è
inammissibile, prima che infondato.
La censura, infatti, sottopone alla Corte — nella sostanza — profili relativi al
merito della valutazione delle prove, insindacabili in sede di legittimità, quando
— come nel caso di specie — risulti che i giudici di merito hanno esposto in
modo ordinato e coerente le ragioni poste a fondamento del convincimento.
La corte territoriale ha escluso che il dies a quo del termine decadenziale
potesse essere individuato nel mero fatto del trasferimento del possesso
dell’immobile realizzato al “grezzo” al committente, in considerazione della

mancata ultimazione delle opere e della necessità di disporre di un compiuto
accertamento tecnico per poter verificare l’esistenza e le cause dei vizi
riscontrati, anche per la impossibilità di percepire i difetti relativi al grezzo al
momento della stipula del secondo contratto d’appalto.
A fronte di siffatto logico e chiaro ordito motivazionale deve escludersi tanto
la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”,
quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra

affermazioni inconciliabili”, figure queste — manifestazione di violazione di
legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della
motivazione — che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di
legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c. operata dall’art. 54 del d.l. 22

giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che
l’omesso esame di elementi istruttori — ai sensi del nuovo testo del n. 5 dell’art.

360 c.p.c. — non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo
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avesse mai contestato, ma anzi avesse pagato, i vari SAL emessi e

qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014).
Nessuna di tali situazioni è, infatti, ravvisabile nella specie, tant’è che parte
ricorrente si limita a supportare i motivi di doglianza mediante considerazioni
con la propria diversa lettura e valutazione degli atti di causa.
Col solo effetto di evidenziare come il ricorso miri ad ottenere un
inammissibile sindacato di merito ad opera di questa Corte di legittimità;
sindacato, peraltro, escluso anche in base al previgente testo dell’art. 360, n. 5
c.p.c., che consentiva di censurare non la motivazione che non fosse la
migliore possibile in base ai fatti emersi nel giudizio di merito, ma solo quella
non sorretta da motivazione logica e sufficiente, escluso ogni giudizio di
valenza con ipotesi alternative che, del pari e in ipotesi, potessero essere
ugualmente consentite dagli atti;

— il secondo motivo di ricorso (col quale è denunciata la omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 1667 c.c., per non aver la

Corte di appello riconosciuto il compenso per le opere eseguite extra
contratto e per aver calcolato l’importo dei costi necessari per eliminare i vizi e

delle opere non realizzate sulla base dei prezzi indicati dal c.tu., nonostante
l’appalto fosse previsto “a corpo” e non “a misura”) è

parimenti

inammissibile, in quanto non si confronta con le argomentazioni del giudice
distrettuale per giustificare il disconoscimento delle opere extracontrattuali.
Invero il giudice distrettuale ha rilevato che le opere extra contratto, tutte
indicate nell’undicesimo SAL, erano state oggetto di specifica contestazione da

parte del committente, il quale affermava trattarsi di lavori coincidenti nella
quasi totalità con quelli previsti nel secondo contratto (con il quale era stata
pattuita la c.d. ultimazione dell’opera), e ciò nonostante nessuna prova era
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di puro fatto, raffrontando la soluzione data dalla sentenza alla controversia

stata offerta dall’appaltatore circa la separata pattuizione delle stesse ovvero la

loro natura accessoria rispetto a quelle concordate, si da poterle considerare
completamento necessario di queste ultime.
Nè il rilievo concernente la previsione nel contratto di appalto del prezzo “a
corpo” assume incidenza avendo del tutto omesso la ricorrente di trascrivere,

— anche il terzo motivo di ricorso (col quale è dedotta la omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione, in relazione agli artt 1667 c.c. e 441 c.p.c., per
aver la Corte di appello fondato la sua decisione su una c.t.u. errata,
utilizzando il criterio “a misura” per alcune parti della sua relazione e quello “a
corpo” per altre ed essendo incorsa in

una serie di inesattezze) è

inammissibile.
A parte il rilevare la inconferenza del richiamo all’art. 441 c.p.c., il motivo si
espone alla medesima censura esposta nell’analisi del primo motivo.
Le critiche di parte tendono, infatti, al riesame degli elementi di giudizio già
valutati dal consulente tecnico e si risolvono in mere argomentazioni
difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto
dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. n. 282 del 2009; Cass. n. 1815 del 2015).
Inoltre, in violazione del principio di specificità, la ricorrente omette di
trascrivere, almeno nei suoi passaggi salienti, la relazione peritale d’ufficio,
vieppiù se si considera che la corte territoriale ha affermato (cfr. pag. 12 della
sentenza) che “Le valutazioni espresse dal c.t.-u. in contraddittorio con le parti

risultano congruamente motivate sia con riferimento agli accordi contrattuali
che alla stima dei prezzi, non contestati dai consulenti di parte, i quali hanno
limitato le osservazioni all’identificazione delle opere in base al progetto”.
Del resto per inficiare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale
motivazione la parte avrebbe dovuto allegare le critiche mosse alla consulenza
tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della
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almeno quanto al passaggio pertinente al prezzario, il regolamento negoziale;

decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera
disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato
peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un
sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 10222 del

— il quarto ed ultimo motivo di ricorso (col quale si deduce la omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omessa pronuncia, per aver la
Corte d’appello omesso di considerare che tutte le somme indicate, anche dal

c.t.u., erano al netto dell’IVA) è manifestamente infondato, in quanto la corte
di merito ha espressamente rilevato (cfr. pag. 12 della sentenza) che tutti gli
importi erano al netto dell’IVA, procedendo su tale base omogenea alla
compensazione impropria tra gli opposti controcrediti;
Inammissibile è, da ultimo, l’apodittico rilievo concernente le spese di lite, se
solo si considera che la corte locale ha giustificato la compensazione integrale

delle spese del doppio grado di giudizio sulla base dell’«andamento
complessivo del giudizio».

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30
maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.

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2009);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di
legittimità che liquida in complessivi €. 2.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi,

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
giugno 2017.

oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

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