Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5308 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. I, 25/02/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 25/02/2021), n.5308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2025/2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO FAA’

DI BRUNO, 15, presso lo studio dell’avvocato MARTA DI TULLIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il

06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/02/2021 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Trieste, con decreto n. 3191/2018, depositato in data 6/12/2018, ha respinto la richiesta di S.M., cittadino del (OMISSIS), di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici hanno rilevato che: la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il paese d’origine per il timore di essere arrestato, avendo aiutato un collega giornalista, durante uno scontro tra privati e le forze di polizia) non era credibile, perchè contrastava con il rapporto di polizia allegato e perchè comunque il reato contestatogli era giustificato, avendo egli ostacolato l’azione della polizia e la raccolta delle prove, cosicchè difettavano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; ai fini della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Punjab non era interessato da conflitti armati interni o violenza indiscriminata (come da report EASO 2017); non ricorrevano i presupposti per la protezione umanitaria, stante la non credibilità soggettiva del richiedente e non rilevando le buone prospettive di integrazione in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, comunicata il 6/12/2018, S.M. propone ricorso per cassazione, notificato il 4/1/2019, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).

Il PG ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, per difetto di valida procura speciale alle liti, essendo la procura in oggetto priva della certificazione della data di rilascio apposta a mano, o per il rinvio a N.R. in attesa della pronuncia delle Sezioni unite sulla questione rimessa con ordinanza interlocutoria 28208/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 3, comma 3, lett. a) e b), per non avere il Tribunale proceduto ad una vantazione della situazione generale del Paese d’origine, sulla base di informazioni precise ed aggiornate; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione al mancato rispetto, nella valutazione della credibilità, dei criteri di legge ed alla mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi; infine, con il terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 4, in relazione alla mancata valutazione della situazione oggettiva di violenza indiscriminata esistente nel Paese d’origine.

2. La prima e la terza censura, connesse, sono inammissibili.

Il Tribunale ha esaminato sia le dichiarazioni rese dal richiedente, sia la situazione del Paese d’origine.

Quanto alla verifica officiosa sulla situazione del Pakistan in punto di sicurezza, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso Indicato, consultando fonti internazionali.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale” (in termini anche Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.

In tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi dedurre l’astratta violazione di legge, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile (Cass. 22210/20).

La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie vantazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

3. La seconda censura è parimenti inammissibile.

Quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i alteri di procedirnentalizzazione legale della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, del documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento; globale della congerie istruttoria raccolta, cosicchè anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti; nel caso di specie il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi Sopra enunciati, ha ritenuto che i molteplici aspetti di genericità e contraddittorietà delle dichiarazioni del migrante pregiudicassero raccoglimento della domanda di protezione internazionale presentata e, in questo modo, ha attribuito alla inverosimiglianza del racconto carattere determinante.

Inoltre, si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione Internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la vantazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche è circostanziate” (cfr. anche (Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018).

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Anche di recente (Cass. 11925/2020), si è comunque affermato che “la vantazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa fa veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Nella specie, tutti gli aspetti significativi della vicenda narrata dal richiedente sono stati esaminati e si è proceduto quindi ad un approfondimento istruttorio, confermandosi il giudizio di inattendibilità (a fronte di un racconto intriso di contraddizioni) già espresso in primo grado.

La vantazione di non credibilità del racconto ha comportato la non necessità di verifica officiosa della protezione offerta dalle autorità statali nel Paese d’origine, ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle “spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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