Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5308 del 18/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 18/02/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 18/02/2022), n.5308
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10836-2020 proposto da:
P.A., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI
CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dagli
avvocati GIOVANNI PUTIGNANO, FRANCESCO LIACI;
– ricorrente –
contro
INPS, – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE
BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MARIA PASSARELLI, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO STUMPO,
VINCENZO TRIOLO, MAURO SFERRAZZA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1373/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE,
depositata il 12/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 21/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA
CALA FIORE.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 1373 del 2020, ha rigettato l’impugnazione proposta da P.A. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dello stesso tesa all’accertamento della illegittimità della pretesa dell’INPS di ottenere, in ragione della mancata comunicazione dell’opzione per tale indennità, la restituzione di Euro 14.323,28 pari all’importo complessivo dell’indennità di mobilità erogatagli da ottobre 2011 a febbraio 2013, nonché la condanna dell’Istituto ad erogare Euro 5424,93 a titolo di arretrati per assegni per il nucleo familiare da gennaio 2016 a settembre 2017;
la Corte territoriale, precisato che grava sul pensionato, che si oppone giudizialmente alla richiesta di restituzione di somme percepite indebitamente, l’onere di provare il diritto alla prestazione ritenuta indebita, ha statuito che la documentazione presente agli atti non provasse l’effettiva ricezione da parte dell’INPS della dichiarazione di opzione e che ciò non si potesse desumere dal prospetto di liquidazione dell’assegno di invalidità IO, contenente la decurtazione per recupero quote di pensione e per quote incumulabili con attività lavorativa autonoma/dipendente, oppure dall’estratto contributivo; nessun significato utile ed univoco, inoltre, poteva attribuirsi alla mancata risposta dell’INPS in ordine alle ragioni delle citate ritenute che la Corte aveva espressamente richiesto;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione P.A. sulla base di un motivo relativo alla violazione degli artt. 116 c.p.c., 2727 e 2729 c.c. nella valutazione delle prove circa l’esistenza del diritto all’annullamento dell’indebito;
in particolare, ad avviso del ricorrente, la sentenza sarebbe illogica e contraddittoria, in quanto dopo aver sollevato l’assicurato da ogni onere probatorio richiedendo all’INPS di spiegare le ragioni dell’indebito, aveva ritenuto non assolto da parte del ricorrente il medesimo onere; inoltre, la sentenza sarebbe affetta da vizi logici derivanti dallo scorretto utilizzo dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, in specie, quanto alla valorizzazione degli elementi di fatto dai quali trarre la fonte della presunzione che sarebbero stati valutati senza operarne una sintesi;
INPS resiste con controricorso;
e’ stata notificata proposta del relatore unitamente al decreto di fissazione per l’adunanza odierna.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
il motivo di ricorso è inammissibile;
questa Corte di cassazione ha più volte affermato che l’esercizio negativo della facoltà del giudice di desumere argomenti di prova dal contegno processuale delle parti, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, non è censurabile in sede di legittimità, né per violazione di legge, né per vizio di motivazione, trattandosi di un potere discrezionale attinente alla valutazione di una prova atipica o innominata (Cass. 20673 del 2012), posto che il giudice in tal caso esercita un potere discrezionale sul materiale probatorio (così Cass. 13635/01);
come sottolineato da Cass. n. 5635b del 2002, l’art. 116 c.p.c. attribuisce al giudice un potere discrezionale, il cui esercizio va motivato, ma non già il mancato esercizio, come invece accade per le prove tipiche, trattandosi di prova atipica o innominata;
ne consegue che la Corte d’appello non è incorsa in alcuna violazione di legge né in vizio di motivazione nel non attribuire rilevanza alla mancata risposta dell’INPS alle informazioni richieste;
quanto poi alla affermata violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., il ricorrente non prospetta in modo adeguato tale vizio della sentenza, posto che si limita ad alludere ad un malgoverno delle regole di apprezzamento dei fatti concreti dai quali sarebbe originato il ragionamento presuntivo sfavorevole al ricorrente, relativo alla mancata prova dell’esercizio dell’opzione e della sua comunicazione, senza in concreto individuare quale sia l’errore commesso;
sotto tale profilo, invero, a partire da Cass. sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053-8054, si è chiarito che resta soggetta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la decisione del giudice di merito che non abbia formulato un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare v. Cass. 6 luglio 2018 n. 17720; inoltre, Cass. 5 luglio 2017, n. 16502, ha affermato che qualora il giudice di legittimità riscontri la fallacia della premessa, l’erroneità della concatenazione logica e la non verità della conclusione, la sentenza potrà essere censurata per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la sua motivazione è “soltanto apparente”;
il motivo, a prescindere dalla errata indicazione del tipo di vizio denunciato, risulta del tutto carente della indicazione di quale sia la premessa errata o la fallacia della concatenazione logica utilizzata dalla sentenza impugnata, giacché si limita a ricondurre la violazione denunciata alla sola mancata considerazione degli effetti della assenza di risposta all’ordinanza di chiarimenti che, come si è sopra chiarito, non assume i caratteri di presupposto logico necessario nel formarsi del libero apprezzamento del giudice;
il ricorso va quindi dichiarato inammissibile;
il ricorrente non è tenuto alla rifusione delle spese del giudizio in presenza di dichiarazione di esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022