Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5307 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. I, 25/02/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 25/02/2021), n.5307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16051/2019 proposto da:

R.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico Zampelli,

che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale posta in calce

al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di NAPOLI, n. 3341/2019, pubblicato

in data 8 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto dell’8 aprile 2019, il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso proposto da R.M., cittadino nato in (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere un figlio e di avere lasciato il proprio paese per ragioni economiche, auspicando di guadagnare maggiormente all’estero, e che non vi erano motivi di particolari timori o pericoli in caso di rientro in Patria.

3. Il Tribunale, dopo avere ricondotto l’azione esercitata dal ricorrente nell’alveo normativo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ha rigettato le doglianze relative ai vizi di legittimità del procedimento amministrativo, poichè il processo in corso era un giudizio sul rapporto, ovvero sulla spettanza o meno del bene della vita richiesto dal ricorrente e non ha accolto l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato per omessa traduzione nella lingua ghanese parlata dal ricorrente, rilevando che l’atto era stato tradotto nelle lingue veicolari e che, nonostante l’omessa traduzione, il richiedente aveva tempestivamente proposto l’impugnazione avverso il provvedimento di diniego.

4. Il Tribunale, nel merito, ha ritenuto le dichiarazioni del ricorrente del tutto estranee ai presupposti previsti dalla legge per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; ha precisato che il Ghana era un paese caratterizzato da una democrazia stabile e dall’alternanza politica, come riscontrato dalle richiamate ed indicate fonti alle pagine 3 e 4 del provvedimento impugnato, e ha rigettato la domanda di protezione umanitaria nella mancanza di elementi di vulnerabilità e dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. R.M. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

6. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, art. 47 della Carta di Nizza, art. 46 della Direttiva 2013/32/UE, art. 4, artt. 6 e 13 CEDU, essendo stato il colloquio del richiedente verbalizzato in modo riassuntivo ed essendo stato messo a disposizione dell’autorità giudiziaria tale verbale, piuttosto che la copia informatica del file contenente la videoregistrazione e del verbale di trascrizione, come previsto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, lett. c), (decreto “Minniti”), che aveva modificato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14; che l’audizione ulteriore ad opera del giudice risultava indispensabile al fine di valutare il racconto e la credibilità del richiedente, fornendo al giudice l’opportunità per integrare, conoscere, verificare e sentire personalmente quanto riferito dal ricorrente davanti alla Commissione territoriale, oltre che consentire di sottoporre alla regola del contraddittorio le C.O.I. acquisite d’ufficio.

1.1 La censura non coglie nel segno: il Tribunale non ha contestato l’attendibilità del racconto del richiedente, ma ha escluso che le dichiarazioni del ricorrente potessero assumere rilievo ai fini del riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale.

1.2 Invero, in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2091; Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

Più precisamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass., 14 marzo 2017 n. 6496; Cass., 31 agosto 2015, n. 17330).

1.3 In ogni caso va data continuità all’orientamento formatosi sul testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, per cui il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito e il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (Cass., 17 luglio 2020, n. 15318).

Difatti nel giudizio davanti all’autorità giudiziaria, ove sia mancata la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale (Cass., 20 gennaio 2020, n. 1088; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973).

In proposito, questa Corte ha ripetutamente affermato che nessuna violazione processuale è ravvisabile, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass., 29 maggio 2019, n. 14600).

In tal caso, quindi, nell’omessa audizione personale del richiedente non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, poichè l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto. Vi è semmai il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire, situazione giuridica soggettiva quest’ultima, tuttavia, cui si collega il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (Cass., 7 febbraio 2018, n. 3003).

Questa Corte, di recente, ha affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).

Ancor più di recente è stato ribadito che l’audizione non è un obbligo, ma una facoltà che ha come presupposto imprescindibile l’esplicitazione dei motivi della decisione assunta al riguardo, a fronte della quale non si pone il diritto potestativo del ricorrente, come sarebbe se al fondo di essa fosse riscontrabile un incombente processuale automatico, necessariamente insito nella fissazione dell’udienza e tale da impedire al giudice di rigettare altrimenti la domanda e che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass., 11 novembre 2020, n. 25312).

1.4 E’ infondata anche la censura sulla mancanza di contraddittorio sulle informazioni riguardanti il paese di origine acquisite d’ufficio del giudice, poichè il ricorrente non deduce un concreto pregiudizio subito quale conseguenza di questa omissione e, in particolare, non specifica se avesse offerto COI di diverso contenuto che, ove valutate, avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del processo. E non indica quali diversi elementi caratterizzanti il contesto sociale del paese di provenienza il giudice avrebbe dovuto valutare, nè a quali fonti avrebbe dovuto fare riferimento.

Questa Corte, in proposito, di recente ha affermato che “qualora la parte non abbia offerto alcuna informazione precisa, pertinente e aggiornata sulle condizioni del paese di origine – e cioè informazioni idonee a supportare la valutazione di credibilità e la valutazione del rischio – la acquisizione d’ufficio delle COI costituisce attività integrativa che sana – purchè il racconto abbia i requisiti di cui si è detto – l’inerzia della parte, e quindi non diminuisce le garanzie processuali del soggetto, anzi le amplia, nè lede in alcun modo i suoi diritti. In virtù del dovere di cooperazione il giudice verifica, infatti, se sussista una possibilità, alla luce della COI come sopra assunte, di accoglimento dell’istanza di protezione, quale che sia poi in concreto l’esito della causa. Nessun vulnus concreto al diritto di difesa si può in questo caso prospettare se il giudice non sottopone preventivamente le COI assunte d’ufficio al contraddittorio, purchè renda palese nella motivazione a quali COI ha fatto riferimento, onde consentire, eventualmente, la critica in fase di impugnazione, nel merito o sulla legittimità della procedura di acquisizione. Diverso è il caso in cui la parte abbia esplicitamente indicato COI, aggiornate e pertinenti, specificamente riferite al rischio che è stato dedotto, indicandone la fonte, la data e prendendo posizione sulle condizioni del paese di origine, sulla loro incidenza nella posizione individuale del richiedente, e su come le COI indicate consentano di ritenere il racconto attendibile, nonchè concreto ed attuale il rischio dedotto. In tal caso, ove in ipotesi il giudice ritenga di utilizzare altre COI, di fonte diversa o più aggiornate, che depongono in senso opposto a quelle offerte dal richiedente, egli dovrà sottoporle preventivamente al contraddittorio, perchè diversamente si arrecherebbe, in concreto, un irredimibile vulnus al diritto di difesa censure” (Cass., 11 novembre 2019, n. 29056).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, del D.Lgs. n. 142 del 2015 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, per la mancanza di motivazione in ordine all’impossibilità di tradurre l’atto in lingua ghanese, l’unica dallo stesso compresa, con la conseguente nullità del provvedimento e la fondatezza della domanda di rimessione in termini.

2.1 Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

2.2 In primo luogo è inammissibile perchè secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., 21 agosto 2020, n. 17570; Cass., 5 agosto 2020, n. 16700; Cass., 29 novembre 2016, n. 24298; Cass., 28 febbraio 2012,

n. 3010; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038), mentre nel caso in esame, il ricorrente deduce la violazione dell’intero corpo normativo di tre decreti legislativi, omettendo di individuare le specifiche disposizioni normative che si assumono violate e di precisare le affermazioni in diritto della sentenza in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità), sinteticamente e genericamente richiamate nella intestazione del motivo.

2.3 In secondo luogo è inammissibile perchè il ricorrente da un lato non censura la specifica ratio decidendi del raggiungimento dello scopo dell’atto ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, posta a fondamento dai giudici di merito del rigetto dell’eccezione di nullità sollevata (pag. 3 del decreto impugnato) e dall’altro non indica in modo specifico quale sia stata la lesione arrecata dalla mancata traduzione all’esercizio del diritto di difesa.

2.4 Ed infatti, è giurisprudenza di questa Corte che l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla Commissione territoriale, così come quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’Autorità giudiziaria, è previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più incisiva possibilità di allegazione, con la conseguenza che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa ed in particolare, qualora deduca la mancata comprensione delle allegazioni rese in interrogatorio, deve precisare quale reale versione sarebbe stata offerta e quale rilievo avrebbe avuto (Cass., 24 aprile 2019, n. 11271; Cass., 11 luglio 2019, n. 18723).

3. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla deve disporsi sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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