Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5305 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 27/02/2020), n.5305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2097-2019 proposto da:

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CASTRIGNANO’ COSIMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 5570/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 09/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Lecce Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto n. 2747/18, ha respinto il ricorso proposto da C.I., cittadino della Nigeria, avverso il diniego, deciso dalla competente commissione territoriale, di protezione internazionale, ritenendo che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a fuggire dal proprio paese, a seguito degli attacchi terroristici di Boko Aram avvenuti nel 2014) risultava del tutto generica ed intrinsecamente contraddittoria (tanto da fare dubitare anche della provenienza dal Borno State, non essendo stata descritta una situazione socio-politica della regione conforme a quella reale, quale risultante dalle fonti consultate), sicchè non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria ed umanitaria, essendo quest’ultima domanda pure priva di idonea allegazione.

In particolare, il Tribunale, in via preliminare, pur avendo tenuto udienza di comparizione delle parti, ha respinto l’istanza del ricorrente di fissazione di ulteriore udienza per l’audizione del richiedente, in quanto, pur non essendo disponibile la videoregistrazione dell’audizione dell’interessato dinanzi alla Commissione, vi era in atti il verbale di trascrizione della stessa, redatto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, e comunque non vi era necessità di richiedere ulteriori chiarimenti.

Avverso il suddetto decreto, C.I. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione),

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. c), in relazione all’art. 24 comma 2 Cost., non avendo il Tribunale disposto mezzi istruttori, in particolare l’ascolto del richiedente, in mancanza della videoregistrazione; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione dell’art. 50-bis c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 738 c.p.c., denunciandosi che l’udienza espletata era stata tenuta dal giudice relatore e non dal Collegio, con il conseguente snaturarsi del rito camerale; con il terzo motivo, si denuncia poi sia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7, sia il difetto di motivazione, in relazione alla mancanza sempre di istruttoria officiosa in ordine all’accertamento della situazione del Paese di provenienza, ai fini della richiesta di protezione sussidiaria.

2. L’odierno ricorso è inammissibile per evidente violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la struttura del ricorso, sotto il titolo “fatti della causa”, espone, in poche righe, i fatti del processo di primo grado, senza che si possa evincere alcunchè sia con riguardo ai fatti giuridici costitutivi della domanda ivi proposta, sia sul contestato contenuto della decisione adottata dal Tribunale di Lecce, riferendo il ricorrente, sul punto, genericamente che venne rigettato il ricorso, senza nulla spiegare, anche solo sommariamente, quanto alle ragioni di tali statuizione.

Invero, l’esposizione sommaria dei fatti prescritta, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo considerata dalla norma come uno specifico requisito di contenuto – forma del ricorso stesso, deve consistere in una esposizione che garantisca alla Suprema Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa decisione impugnata (Cass., SU, n. 11653 del 2006; Cass. n. 5640 del 2018, in motivazione). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (cfr. Cass., SU., n. 2602 del 2003).

Orbene, la sopra descritta esposizione del fatto non rispetta tali necessari contenuti, perchè non indica i fatti storici che hanno occasionato la controversia, nè individua le ragioni giuridiche sulla base delle quali la domanda dell’odierno ricorrente era stata introdotta in primo grado, nè espone, pur sinteticamente, le argomentazioni giustificative del decreto impugnato.

L’esposizione del fatto è, pertanto, del tutto inidonea al raggiungimento dello scopo suo proprio, donde la inammissibilità del ricorso, ricordandosi, peraltro, che, secondo la Corte EDU, il diritto di accedere al giudice di ultima istanza non è assoluto e, sulle condizioni di ricevibilità dei ricorsi, gli Stati hanno un sicuro margine di apprezzamento, potendo prevedere restrizioni a seconda del ruolo svolto dai vari organi giurisdizionali e dell’insieme delle regole che governano il processo (cfr. Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia; Cass., SU. n. 30996 del 2017, p. 2.3; cfr. Cass. 23015/2019).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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