Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5303 del 27/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 27/02/2020), n.5303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1772-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSIA BERTICELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 11883/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 22/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto n. 6909/2018, ha respinto, a seguito di udienza di comparizione delle parti, la richiesta di protezione internazionale di S.M., cittadino del (OMISSIS), a seguito del provvedimento di diniego della protezione internazionale ad opera della competente Commissione territoriale, rilevando che la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il (OMISSIS), dopo la morte dei genitori, in quanto era scoppiata la guerra ed era stato cacciato dalla madrassa che frequentava, non potendo pagare la retta, ed era stato catturato dai ribelli, che lo avevano picchiato e fatto prigioniero) non risultava credibile, per genericità ed intrinseca contraddittorietà (non avendo saputo descrivere la zona di ultima provenienza, (OMISSIS), o dettagli del rapimento e della carcerazione subita o delle modalità della fuga), anche in ordine alla provenienza dalla zona di (OMISSIS) (dovendosi ritenere che egli invece provenisse dalla citta natale di (OMISSIS)), cosicchè non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione umanitaria e sussidiaria; in particolare, in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la regione di provenienza del richiedente (il (OMISSIS) e la capitale (OMISSIS)) non era interessata secondo le diverse fonti consultate (Report Refworld 2018) da una situazione di violenza generalizzata, mentre in relazione alla richiesta di protezione umanitaria non era state dedotte ulteriori cause di vulnerabilità, rispetto a quelle già esaminate, e non era sufficiente il solo processo di integrazione avviato in Italia.

Avverso il suddetto decreto, S.M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva),

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo, plurimo, motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale ritenuto non necessario disporre una nuova audizione del richiedente, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale sopravvalutato, al fine del vaglio di credibilità, alcune lacune nel racconto del richiedente, sia la violazione e mancata applicazione del principio del c.d. onere probatorio attenuato, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sempre in relazione alla operata valutazione della credibilità del racconto; con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale escluso la ricorrenza dei presupposti della protezione sussidiaria, ritenendo la zona di provenienza non interessata da situazione di violenza indiscriminata, “citando solo due fonti”; infine con il terzo motivo, si lamenta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del “D.Lgs. n. 25 del 2009, art. 5, comma 6”, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale omesso, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, la necessaria valutazione comparativa della situazione del richiedete in Italia (ove egli sta frequentando le scuole) e quella che il medesimo troverebbe nel Paese d’origine (lasciato all’età di sedici anni, dove egli non ha più i genitori, entrambi morti).

2. La prima, plurima, censura è infondata.

In ordine alla doglianza sula mancata audizione del richiedente, questa Corte, nella recente pronuncia n. 17717/2018, dopo avere affermato che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve ineluttabilmente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del già richiamato principio del contraddittorio, ha chiarito che ciò non implica “automaticamente… che si debba anche necessariamente dar corso all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49)”, a fronte di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”. Il che comporta che l’audizione personale del richiedente non sia necessaria quando la Commissione territoriale (la procedura di primo grado, secondo la Corte di Giustizia UE) abbia respinto la richiesta di protezione per manifesta infondatezza ed il giudice abbia ritenuto non necessario richiedere chiarimenti al cittadino straniero.

Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

In relazione alle censure sulla ritenuta non credibilità, in materia di protezione internazionale, questa Corte ha da tempo chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c). L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340; in tema, cfr. anche Cass. 27503/2018).

3. Il secondo motivo è inammissibile. In relazione alla mancata attivazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, il Tribunale ha ritenuto del tutto generico ed inattendibile il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine, il (OMISSIS), in relazione alla zona ritenuta di provenienza, la citta natale di (OMISSIS), non la zona di Goa, nel Nord del Paese.

Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Vengono qui richiamati i principi di diritto sul tema già espressi da questa Corte (Cass. 27593/2018; Cass. 27503/2018; Cass.29358/2018; Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, limitandosi a fare una generica indicazione a risultanze dei Rapporti di Osservatori Internazionali. Nella specie, il Tribunale ha comunque fatto riferimento ad informative assunte sulla situazione sociopolitica del (OMISSIS) e della zona di (OMISSIS) ed il ricorrente non dice che si trattava di informazioni non aggiornate e superate (in quanto anche il sito del Ministero degli Esteri, indicato a pag. 14, descrive una situazione di rischio ma non di violenza indiscriminata, essendo i conflitti concentrati nelle regioni settentrionali).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.

4. Il terzo motivo è inammissibile, essendo prospettate generiche considerazioni circa i presupposti della protezione umanitaria e circa l’obbligo del giudice di attivare il dovere di cooperazione istruttoria e di effettuare una valutazione comparativa tra la situazione del richiedente nel Paese di origine e quella in Italia.

Nella specie, il Tribunale ha congruamente motivato circa l’assenza di una situazione di vulnerabilità soggettiva meritevole di tutela attraverso il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nè vengono dedotte condizioni di vulnerabilità e di inserimento nel territorio italiano non esaminate in sede di merito.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità (cfr. Cass. 4455/2018) in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

5.Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuti, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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