Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5303 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. I, 25/02/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 25/02/2021), n.5303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10602/2019 proposto da:

A.T., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Cannata, giusta

procura speciale in calce al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli n. 2393/2019 del 14 marzo

2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto del 14 marzo 2019, il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso proposto da A.T., cittadino nato in (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il proprio paese per sfuggire allo zio, che si era opposto a che gli eredi del padre, morto nel (OMISSIS), entrassero nel possesso legittimo dei terreni da lui lasciati, e all’oppressione dell’Imam; di avere viaggiato in tredici paesi e di temere le ritorsioni dello zio nell’ipotesi di rientro in Patria.

3. Il Tribunale, dopo avere evidenziato che il ricorrente non era comparso di persona all’udienza di comparizione, non ha ritenuto credibile la motivazione soggettiva dell’espatrio, essendo evidente che il richiedente era partito dal suo paese di origine in cerca di migliori opportunità lavorative e di vita; che il ricorrente non aveva narrato episodi credibili di violenza o di discriminazione ai suoi danni e che, pur avendo riferito di essere stato tenuto in schiavitù dallo zio, non aveva spiegato per quale motivo non avesse richiesto tutela alle Autorità locali; che non sussistevano nemmeno i presupposti della protezione sussidiaria non avendo dedotto alcuna situazione di pericolo effettivo e concreto in caso di rientro in Patria e che i disordini determinati dalle rivendicazioni dei militari ivoriani all’esito del cambio di governo erano cessati alla fine del (OMISSIS); per quanto concerna la protezione umanitaria, la giovane età del richiedente, le sue condizioni di salute e la vita precedente deponevano contro il riconoscimento della protezione anche di tipo umanitario.

4. A.T. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il Tribunale valutato la credibilità del ricorrente sulla base di riscontri oggettivi relativi alla situazione generale in Costa d’Avorio provenienti dalle allegazioni di parte, pur avendo l’obbligo di accertare le condizioni generali del paese di provenienza.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 La valutazione della domanda di protezione internazionale deve avvenire, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine al momento dell’adozione della decisione. Il successivo comma 5, della norma stabilisce che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere ritenga che le dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone (lett. c).

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede, poi, l’obbligo di esaminare ciascuna domanda alla luce delle informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo.

Queste norme dunque, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente asilo consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pongono a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass., 10 giugno 2020, n. 11175; Cass. 10 aprile 2015, n. 7333).

Una simile verifica officiosa deve essere compiuta con riguardo alla situazione del paese sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 28 giugno 2018, n. 17075).

1.3 Il Tribunale di Napoli si è uniformato ai principi sopra richiamati avendo esaminato la situazione generale esistente nel paese di origine in modo specifico e dando conto che lo stesso ricorrente non aveva evidenziato nè fatti persecutori, nè fondati motivi per ritenere che, nel caso di rientro in Costa d’Avorio, sarebbe stato esposto ad un rischio effettivo di patire il danno grave.

Ed infatti, pur avendo affermato di essere stato tenuto in schiavitù dallo zio non aveva spiegato per quale motivo non aveva richiesto la tutela delle Autorità locali.

I giudici di merito hanno affermato, inoltre, che il paese di provenienza del ricorrente non era interessato da problematiche di conflitti stabilizzati anche nelle grosse aree urbane, come quella di Abidjan, dove il ricorrente avrebbe potuto stabilirsi in caso di rimpatrio e che i disordini, determinati dalle rivendicazioni dei militari ivoriani all’esito del cambio di governo che avevano interessato la zona di provenienza del ricorrente, erano cessati alla fine del (OMISSIS) con un accordo tra governo e sindacato.

1.4 Il Tribunale ha, dunque, verificato la credibilità della vicenda narrata e posta a fondamento della domanda di protezione internazionale, con un apprezzamento di fatto, peraltro, insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso in esame neppure dedotto (Cass., 19 giugno 2020, n. 11925).

2. Con il secondo motivo (erroneamente numerato “3”), il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale dichiarato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e che la compromissione del diritto alla salute e del diritto all’alimentazione comportavano gravi situazioni di vulnerabilità giuridicamente rilevanti ai fini del riconoscimento dell’invocata protezione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

2.3 Orbene, come affermato da questa Corte il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente; tale elemento, come si è detto, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, il quale è, perciò, onerato quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass., 8 gennaio2019, n. 231; Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, con la conseguenza che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo, dato che, in ragione dell’indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare.

2.4 Sul punto, il Tribunale ha evidenziato l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva, diverse da quelle correlate a ragioni di natura economica, che il ricorrente richiama, ma che sono irrilevanti, occorrendo, appunto, che la soggettiva condizione di vulnerabilità sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

2.5 I giudici di merito, infatti, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, hanno evidenziato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del ricorrente, nè rilevavano, a tal fine, la giovane età e la vita precedente del richiedente e le sue condizioni di salute.

Il ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, richiamando genericamente un modello unilav relativo a un contratto di lavoro, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

 

 

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