Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5302 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 27/02/2020), n.5302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36356-2018 proposto da:

H.I.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DEBORAH BERTON;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA PROCURA GENERALE DELLA CORTE

D’APPELLO DI TRIESTE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 3729/2017 del TRIBUNALE di TRIESTE,

depositato il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Trieste, con decreto n. cronol. 2920/2018, ha respinto la richiesta di H.I., cittadino della Nigeria, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di rinnovo del permesso umanitario D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5 comma 6.

In particolare, i giudici hanno rilevato, a seguito di udienza, che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, in quanto appartenente ad una comunità nomade del deserto del Niger sottoposta a persecuzioni) presentava diverse lacune ed incongruenze e risultava generica e poco credibile (al contrario, vi era prova di una condanna penale per rissa e tentato omicidio, per anni quattro e mesi sei di reclusione, pena espiata, e di altra condanna per furto negli anni dal 2012 al 2014), cosicchè non risultavano atti persecutori a suo danno, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, ai fini della tutela D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la situazione della zona di provenienza del richiedente, in Nigeria, non risultava interessata da violenza indiscriminata o conflitto armato interno, secondo gli ultimi Report ECOI; non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero; doveva essere revocata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, trattandosi di domanda manifestatamente infondata.

Avverso il suddetto decreto, H.I. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva),

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, “la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, rappresentato dalla omessa valutazione della sussistenza effettiva della pericolosità sociale del richiedente, posta a base del provvedimento impugnato della Commissione territoriale di Gorizia, di revoca del permesso per ragioni umanitarie già concesso, a fronte delle sopravvenute condanne penali a carico del richiedente; con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 3, artt. 4,5,12 e 16, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il Tribunale tenuto conto, anche ai fini della richiesta di protezione umanitaria, del grave contesto della Libia, Paese nel quale egli, facente parte di una popolazione nomade del Niger, aveva vissuto sedici anni, nè vagliato la situazione in Niger, complicata e molto pericolosa; infine, con il terzo motivo, si impugna la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170.

2. I primi due motivi sono inammissibili.

Deduce il ricorrente di avere impugnato, dinanzi al Tribunale di Trieste, il diniego da parte della Commissione territoriale di Gorizia dell’istanza di rinnovo della protezione umanitaria, a fronte di due precedenti penali, ritenuti sintomatici di pericolosità sociale, e lamenta che il Tribunale non abbia compiuto alcun vaglio sulla effettiva sussistenza della pericolosità sociale.

Ora, sebbene il Tribunale non chiarisca l’oggetto della domanda del richiedente la protezione internazionale, nei termini indicati dal ricorrente (che prospetta di avere richiesto, in giudizio, soltanto la protezione umanitaria, impugnando il rigetto, da parte della commissione territoriale, dell’istanza di rinnovo della protezione per ragioni umanitarie, a seguito della revoca da parte del Questore del permesso già rilasciatogli), i giudici hanno vagliato una domanda di protezione internazionale, comunque più ampia, nelle forme del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria, sotto tutti i profili.

Il diniego della protezione per ragioni umanitaria è stato inoltre motivato non soltanto sulla base delle condanne penali, con pena espiata, riportate in Italia (prese in esame dal Tribunale), ma con riferimento, a fronte della ritenuta non credibilità del racconto, perchè non circostanziato e documentato e del tutto generico (soprattutto con riferimento all’appartenenza a comunità nomade del Niger, non avendo il richiedente saputo indicare quale fosse la popolazione nomade perseguitata di cui egli assumeva di fare parte e quali fossero le persecuzioni perpetrate ai suoi danni), alla insussistenza delle necessarie condizioni di vulnerabilità.

In materia di protezione internazionale, questa Corte ha da tempo chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340; in tema, cfr. anche Cass. 27503/2018).

Con riferimento specifico al lungo periodo trascorso in Libia (sedici anni), Paese di transito prima dell’arrivo in Italia, di cui il decreto non fa, in effetti, menzione, a parte ogni rilievo sulla mancata specificazione nel presente ricorso per cassazione della sede di merito nella quale tale doglianza sarebbe stata articolata, il motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, non chiarisce perchè tale fatto, di cui si lamenta, nel corpo del secondo motivo, l’omesso esame, sarebbe decisivo, neppure essendo dedotti particolari traumi riportati in conseguenza della suddetta esperienza, non transitoria, di vita.

3. Il terzo motivo è inammissibile. Questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 3028/2018; Cass. 29228/2017) che “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione stesso D.P.R., ex art. 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal citato D.P.R., art. 113” (conf. Cass. 32028/2018).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020

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