Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5299 del 05/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 05/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 05/03/2010), n.5299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26072/2008 proposto da:

COMUNE DI CORCIANO (PG), in persona del Sindaco legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA CRISTINA 8,

presso lo studio dell’avvocato GOBBI GOFFREDO, rappresentato e difeso

dall’avvocato STAFFICCI Alberto, giusta Delib. Giunta 18 settembre

2008, n. 147 e giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ALTOM S.R.L., in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA N. 39/F, presso lo studio

dell’avvocato CARLONI SILVIO, rappresentata e difesa dall’avvocato DI

FIORE Stefano, giusta procura speciale in calce alla pagina 6 del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di PERUGIA, del 25/6/07, depositata il 27/08/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Il Comune di Cordano propone ricorso per cassazione nei confronti della Altom s.r.l. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartelle di pagamento TARSU, la C.T.R. Umbria confermava la sentenza di primo grado (che aveva accolto solo parzialmente il ricorso della società).

2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione di norme di diritto) è inammissibile innanzitutto per inidonea formulazione dei quesiti di diritto che lo concludono, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il motivo che (come nella specie) si concluda con un quesito assolutamente generico in quanto privo di ogni specifità in relazione alla corrispondente “ratio decidendi” della sentenza impugnata e la cui formulazione sia del tutto inidonea ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito medesimo ai fini della decisione del motivo ed a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v. tra molte altre Cass. n. 7197 del 2009 e n. 8463 del 2009, nonchè SU n. 7257 del 2007 e SU n. 7433 del 2009).

E’ peraltro appena il caso di evidenziare che quelli in esame, nonostante vengano così denominati in ricorso, non risultano configurabili come “quesiti di diritto” nei sensi di cui alla norma citata, trattandosi di mere affermazioni formulate come principi di diritto piuttosto che come quesiti, laddove, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. tra le altre SU n. 7257 del 2007), l’esposizione dei singoli motivi deve concludersi con un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito stesso (cosa ovviamente impossibile nell’ipotesi in cui, come nella specie, i “quesiti” siano in realtà delle semplici affermazioni).

Anche il secondo motivo (col quale si deduce vizio di motivazione) risulta inammissibile, posto che non è ammissibile una censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, come nella specie, non attenga alla motivazione in fatto bensì sostanzialmente alla motivazione in diritto della sentenza (ossia, non alla valutazione delle prove ed all’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito, bensì alla – in ipotesi – non corretta applicazione del principio dell’onere della prova).

3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2010

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