Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5298 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 5298 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BOGHETICH ELENA

ORDINANZA

sul ricorso 17795-2014 proposto da:
MONTAGNA EMANUELA, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR
presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
VINCENZO DI PALMA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
2017
4765

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio

dell’avvocato

ARTURO

MARESCA,

che

la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 06/03/2018

avverso

la

sentenza

n.

6023/2013

della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2013 R.G.N.

8541/2009.

n. 17795/2014 R.G.

RILEVATO
che con sentenza depositata il 17.7.2013 la Corte d’Appello di Roma confermava la
pronuncia di prime cure che aveva dichiarato legittimo il contratto di lavoro a termine
stipulato tra Emanuela Montagna e Poste Italiane spa, relativo al periodo 19.7 31.10.2006 e stipulato ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001

che la Corte distrettuale, per quel che qui rileva, a sostegno del decisum, rimarcava avendo riguardo alla ricostruzione teleologica nonché al tenore lessicale dell’art. 2,
comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 – la natura aggiuntiva (nel senso di tipizzata e
speciale) di tale tipologia di contratti a termine, in quanto contratti acausali previsti
per il settore dei servizi postali, legittimi in quanto rispettosi dei determinati limiti
temporali e quantitativi ivi previsti, in assenza di specifiche contestazioni sui dati
numerici riportati sui prospetti depositati dalla società;
che avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la lavoratrice ha proposto
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e la società intimata ha resistito con
controricorso, illustrato da memoria;
CONSIDERATO
che con i primi tre motivi la ricorrente denuncia plurime violazioni di legge (direttiva
comunitaria 99/70/CE, art. 1, comma 3, Regolamento CE n. 1/03 del 16.12.2002, art.
2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001) avendo, la Corte distrettuale, trascurato
che la disciplina speciale prevista per il settore delle poste viola il principio di parità di
trattamento tra lavoratori e la clausola di non regresso applicabile in occasione del
recepimento della normativa comunitaria, che il contratto individuale doveva indicare
specificamente il numero di lavoratori a tempo determinato da poter assumere nel
rispetto del limite percentuale dettato dal legislatore, che la deroga al principio della
causalità del contratto a termine può ritenersi operante esclusivamente per le attività
concernenti il servizio postale;
che con il quarto ed il quinto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione dell’art.
2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 nonché vizio di motivazione, avendo, la
Corte distrettuale, riferito il limite percentuale del 15% a tutto l’organico aziendale (e
non all’organico adibito ad attività finanziarie);

1

presso l’ufficio postale Napoli 78;

n. 17795/2014 R.G.

che il primo ed il terzo motivo del ricorso, che possono essere trattati congiuntamente
in quanto strettamente connessi, non sono fondati avendo questa Corte di legittimità
recentemente affermato che le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese
concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati
dal comma 1-bis dell’art. 2 del decreto legislativo n. 368 del 2001, non necessitano
anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo ai sensi del primo comma dell’art. 1 del medesimo decreto legislativo (S.U.

2001 – emerge che l’apposizione del termine è consentita in generale dall’indicazione
delle causale di cui all’art. 1, mentre negli specifici settori del trasporto aereo, dei
servizi aeroportuali e dei servizi postali l’apposizione del termine è consentita senza
necessità di specificare nel contratto le ragioni organizzative, produttive, tecniche o
sostitutive ma in presenza di specifiche restrizioni ossia di una serie di delimitazioni
temporali e quantitative e la valutazione in ordine alla sussistenza della
giustificazione è stata fatta ex ante dal legislatore;
che la ricostruzione esegetica che propone la sommatoria dei requisiti previsti dall’art.
1, comma 1, con i limiti dettati dall’art. 2 D.Lgs. n. 368 del 2001 – invece che
l’alternatività – contrasta con le ragioni testuali, teleologiche e sistematiche indicate,
ed è già stata respinta sia dalla Corte di Cassazione

(ex multis,

sentenza n.

3309/2006), sia dalla Corte di giustizia dell’ Unione europea (11 novembre 2010, Vino
c. Poste italiane .spa, C-20/10) sia dalla Corte costituzionale (sentenza n. 214 del
2009);
che nemmeno in presenza di reiterazione di più contratti a tempo determinato può
essere ‘ravvisata l’incompatibilità con l’accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70
CE in quanto la Corte di giustizia ha reiteratamente precisato (Grande sezione, 4 luglio
2006, in proc. C-212/04, Adeneler c. Ellenikos Organismos Galaktos) che quella
indicata dalla lett. a) del punto n. 1 della clausola 5 dell’accordo quadro

(“ragioni

obiettive per la giustificazione del rinnovo”) è una delle tre misure considerate idonee
a prevenire gli abusi, che non devono essere tutte presenti in quanto è sufficiente che
lo Stato membro ne adotti una; e con riferimento ai settori indicati nei commi 1 e 1bis dell’art. 2, il legislatore italiano – introducendo, con la legge n. 247 del 2007,
l’art. 5, comma 4-bis, del d. Igs. 368/2001, il limite massimo dei 36 mesi, da calcolare
“indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e
l’altro”

ed anche con riferimento aì contratti già stipulati – ha adottato la misura
2

n.11374/2016), posto che – dalla lettura sistematica del decreto legislativo n. 368 del

n. 17795/2014 R.G.

prevista dalla lett. b)

(“durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo

determinato successivi”), in aggiunta peraltro ad altre restrizioni specifiche.

che in ordine alla prospettata violazione della c.d. clausola di non regresso, la Corte di
giustizia ha escluso espressamente che la modifica apportata dall’introduzione del
comma 1 bis, possa “essere considerata collegata all’attuazione dell’accordo quadro”,
posto che “… l’adozione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art.2, comma 1 bis, mirava a

scopo di garantire … un funzionamento efficace delle diverse operazioni postali
rientranti nel servizio universale e, pertanto, perseguiva uno scopo distinto da quello
consistente nel garantire l’attuazione dell’accordo quadro nell’ordinamento nazionale”
(causa C-20110 Vino c. Poste Italiane S.p.A., cit., punti 32-49) e l’esiguità della platea
di lavoratori interessati – i dipendenti di aziende concessionarie di servizi postali imporrebbe di escludere la violazione del divieto di reformatio in peius anche se
l’introduzione della norma in questione fosse avvenuta in occasione o comunque
correlata all’attuazione della Direttiva, non concretandosi, quindi, in una riduzione del
“livello generale di tutela”, tale da riguardare “una porzione significativa dei lavoratori
impiegati a tempo determinato nello Stato membro”

(Corte di Giustizia, causa

Angelidaki, 23 aprile 2009, nei procedimenti riuniti da C-378/07 a C-380/07; cfr.
Cass. nn. 13221/2012, 16510/2015);

che, inoltre, la disposizione legislativa non richiede, tra i requisiti formali del contratto
individuale, l’indicazione del numero dei lavoratori a tempo determinato da assumere
nel corso dell’anno;

che il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili in quanto la censura relativa al
campo di applicazione della clausola di contingentamento (“percentuale non superiore
al 15 per cento dell’organico aziendale”) –

da riferire a un settore specifico

dell’organico aziendale – è questione non affrontata dalla sentenza impugnata, ne’
parte ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che termini la questione
stessa sia stata sollevata in primo grado ed eventualmente riproposta in grado di
appello;

che, inoltre, l’idoneità probatoria della documentazione prodotta dalla società in
ordine ai dati numerici concernenti l’organico complessivo aziendale è accertamento in
fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti
dall’art. 360 n. 5 c.p.c., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’art. 54 del
3

consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo

n. 17795/2014 R.G.

d.l. n. 83 del 2012 ossia nei ristretti limiti dell’anomalia motivazionale che si tramuta
in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza
della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass. S. U. n. 8053 del
2014);

che, in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 ma. • lo 2002 n. 115
art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma
17 (legge di stabilità 2013);
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite a
favore della società, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 novembre 2017.

soccombenza ex art. 91 cod.proc.civ.;

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