Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5282 del 18/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2022, (ud. 10/01/2022, dep. 18/02/2022), n.5282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15087/2015 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Donatella Iacona e

dall’Avv. Valentina Pistone, con domicilio eletto in Milano, via

Morosini, n. 12, presso lo studio di quest’ultima;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 6008/12/14 depositata il 18 novembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio

2022 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a M.D. un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale, rilevato che, negli anni dal 2002 al 2009, il contribuente aveva effettuato numerose compravendite e ristrutturazioni di fabbricati e qualificata tale attività come esercizio di impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 accertò il maggior reddito d’impresa, oltre ai maggiori corrispettivi e al maggior valore della produzione netta, derivanti dalla vendita, nell’anno 2005, di tre appartamenti in (OMISSIS) (due in un complesso in via (OMISSIS), e uno in un complesso in via (OMISSIS)), con le conseguenti maggiori IRPEF, IVA e IRAP, e con le corrrelative sanzioni;

M.D. impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano (hinc anche: “CTP”), che rigettò il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, M.D. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc anche: “CTR”), che rigettò l’impugnazione del contribuente con la motivazione che: a) “in via preliminare, il Collegio rileva che parte ricorrente ha riproposto complessivamente le medesime eccezioni già esaminate dai giudici di prime cure. Sotto tale profilo l’appello si appalesa inammissibile alla luce del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in quanto privo dei motivi d’impugnazione, ovvero per difetto di specificità. Parte appellante, infatti, riporta le doglianze già avanzate nel procedimento di primo grado, senza nulla aggiungere, e senza alcun riferimento e contestazione delle motivazioni addotte in sentenza”; b) “(n)el merito, la Commissione, condividendo le conclusioni dei giudici di prime cure, ritiene che all’appellante debba essere riconosciuta l’esercizio dell’attività d’impresa, ex art. 55 del T.U.I.R., in quanto nell’arco temporale 2002/2010 ha posto in essere una serie notevole di compravendite immobiliari (n. 29) che agevolmente lasciano presumere organizzazione, competenza, investimento di mezzi e capitali che lasciano presumere con certezza lo svolgimento dell’attività tipica di cui all’art. 55 T.U.I.R., con professionalità, continuità ed abitualità. A queste considerazioni ed a favore delle tesi dell’Ufficio, occorre aggiungere che il soggetto in questione nell’anno 1997 era titolare di Partita Iva (successivamente chiusa) con codice attività “Compravendita di beni immobili effettuata su beni propri”, aveva successivamente affermato di non ritenere “(…) di dover contestare la propria natura di imprenditore erroneamente trascurata (…)”, confermando, di fatto, la natura imprenditoriale della propria attività”; c) “(s)ulla base delle suesposte valutazioni, l’appello va rigettato”; d) “(r)estano assorbite le ulteriori domande giudiziali”;

avverso tale sentenza – depositata in segreteria il 18 novembre 2014 – ricorre per cassazione M.D., che affida il proprio ricorso, notificato il 18 maggio 2015, a quattro motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 26 maggio 2015; con lo stesso atto, l’Agenzia delle entrate ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a un unico motivo;

M.D. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) e d), del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 55 e 56 e degli artt. 53 e 97 Cost., per non avere la CTR – con l'”implicitamente aderi(re) alle valutazioni svolte dalla Commissione Tributaria Provinciale in punto di non ritenere proprio compito il dover rideterminare il reddito in accertamento tenendo conto dei costi connessi ai ricavi accertati” e col dichiarare assorbito il correlativo motivo d’appello – ritenuto che, nel caso di accertamento induttivo cosiddetto “puro”, occorre tenere conto anche delle componenti negative, anche determinate induttivamente (componenti costituite, come dedotto sin dal primo grado di giudizio, dai costi di ristrutturazione degli appartamenti siti in via (OMISSIS) – quali risultanti, in particolare, dalla “relazione tecnica di stima” prodotta nel giudizio di primo grado e pari a Euro 147.457,86 – e dagli interessi passivi sui mutui accesi per l’acquisto degli stessi appartamenti);

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) e d), e dell’art. 112 c.p.c., atteso che, posto che “(l)a medesima censura sopra evidenziata (con il primo motivo) può essere altresì apprezzata sotto il diverso profilo di un errore sull’attività processuale”, e rammentato che “(c)on l’atto d’appello il ricorrente ha (…) espressamente indicato il calcolo in base al quale si debbano individuare “costi di costruzione di competenza dell’anno 2005 (…) pari ad Euro 147.547,86”, “la sentenza impugnata manca completamente nel considerare la domanda e le specifiche eccezioni sottoposte al giudicante in appello in merito alla quantificazione del reddito oggetto di accertamento”;

con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “(n)ullità ed illegittimità della sentenza (…) per omesso esame (circa) in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti oggetto di discussione tra le parti – Violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 112 c.p.c.”, atteso che, posto che “l’oggetto dell’appello consisteva nell’individuare quale fosse la corretta applicazione del criterio induttivo per quantificare il (maggior) reddito prodotto dall’attività di accertamento” – “questione (…) decisiv(a) in quanto se fosse stata esaminat(a) (…) avrebbe necessariamente portato a una rideterminazione del reddito accertato, in considerazione dei costi dell’attività” – la CTR “nulla dice sulla motivazione (al riguardo) del giudice di prime cure né nulla aggiunge alla stessa per confutare quanto ulteriormente dedotto. La sentenza impugnata, infatti, nemmeno menziona il conto economico per l’anno 2005 elaborato dal ricorrente nell’atto d’appello ed il fatto che il costo richiesto in deduzione risponda a uno scomputo percentuale dei costi completamente allineato a quello normalmente riconosciuto da Agenzia delle Entrate e dagli stessi studi di settore”, con la conseguenza che la stessa sentenza “e’ quindi irrimediabilmente carente nell’esame dei motivi d’appello e manchevole nella selezione e valutazione del materiale probatorio a sostegno dello stesso”;

con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la “(n)ullità della sentenza (…) per omessa, contraddittoria, illogica e insufficiente motivazione in ordine alle modalità di accertamento del reddito, al mancato riconoscimento dei costi dell’attività ed alla valutazione delle prove che li attestano, fatti controversi e decisivi per il giudizio – Violazione dell’art. 111 Cost., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36”, in quanto: a) “la sentenza impugnata, non contenendo alcun motivo, in fatto e in diritto, a giustificazione di come sia stato effettuato l’accertamento del reddito non consente di capire se vi sia stata una valutazione in merito al tipo e all’onerosità dell’attività imprenditoriale imputata e perché non siano accoglibili le conseguenti contestazioni in diritto svolte dal ricorrente, risultando così del tutto inesistente”; b) “emerge immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata che non può essere esaustivo, ed è in sé contraddittorio, ritenere il motivo d’appello assorbito nella conferma della sussistenza dell’attività d’impresa senza spiegare come tale circostanza dirima l’entità del reddito prodotto dall’impresa libero individuale”, tenuto conto anche che “e’ inconciliabile considerare che l’attività d’impresa ha una tale consistenza (effettuazione di ventinove compravendite immobiliari) e non ritenere, di conseguenza, necessario conteggiarne i costi”; c) “pur a voler far proprio quel poco di motivazione contenuta nella sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (…), sebbene questa non sia neppure propriamente richiamata dalla Commissione Tributaria Regionale, i motivi risulterebbero comunque (..) insufficienti e contraddittori”;

con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 21 e 57 e dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello – formulata dalla stessa Agenzia nelle controdeduzioni del giudizio di appello – sotto il profilo che, mentre con il ricorso introduttivo l’avviso di accertamento era stato censurato contestando unicamente la qualificazione come esercizio di impresa dell’attività di compravendita e ristrutturazione di fabbricati, solo tardivamente, con la memoria depositata nel giudizio di primo grado e, poi, in modo più circostanziato, con il ricorso in appello, il contribuente aveva chiesto la riquantificazione del reddito accertato in funzione dei costi (di Euro 147.547,87) sostenuti per la ristrutturazione degli appartamenti siti in via (OMISSIS);

il ricorso principale è inammissibile perché il ricorrente ha impugnato una sola delle due autonome rationes decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata;

questa si fonda su due rationes dedidendi, ciascuna idonea, di per sé sola, a sorreggerla sul piano logico e giuridico: a) l’inammissibilità dell’appello per la mancanza dei motivi specifici dell’impugnazione (“l’appello si appalesa inammissibile alla luce del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53”), in particolare, perché l’appellante “riporta le doglianze già avanzate nel procedimento di primo grado, senza nulla aggiungere, e senza alcun riferimento e contestazione delle motivazioni addotte in sentenza”; b) l’infondatezza dell’appello nel merito;

con i quattro motivi di ricorso, il ricorrente principale rivolge le proprie doglianze esclusivamente alla parte della sentenza impugnata relativa al merito della ripresa a tassazione, senza censurare la ratio decidendi dell’inammissibilità dell’appello per la mancanza dei motivi specifici dell’impugnazione;

da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso, atteso che l’accoglimento delle predette doglianze non potrebbe comunque condurre, stante la definitività della ratio decidendi dell’inammissibilità dell’appello, alla cassazione della sentenza impugnata (in tale senso, tra le molte, Cass., 27/12/2016, n. 27015, 13/10/2017, n. 24076, 06/07/2020, n. 13880);

l’esame del ricorso incidentale condizionato resta assorbito;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate come indicato in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2022

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