Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5273 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 04/03/2011), n.5273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Banca Cassa di Risparmio di Genova e Imperia s.p.a. CA.RI.GE.,

elettivamente domiciliata in Roma, via Brofferio 6, presso lo studio

dell’avvocato ROSSI ADRIANO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 2534/08 della Commissione tributaria

centrale, emessa l’11 marzo 2008, depositata il 19 marzo 2008, R.G.

32191/06;

udito l’Avvocato Adriano Rossi per la ricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 novembre 2010 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

rilevato che in data 5 ottobre 2010 è stata depositata relazione che

qui si riporta:

Il relatore cons. Giacinto Bisogni, letti gli atti depositati.

Fatto

OSSERVA

1. La controversia ha per oggetto l’impugnazione, da parte della Cassa di risparmio di Genova e Imperia (ora CARIGE s.p.a.), del silenzio rigetto della istanza di rimborso dell’ILOR versata in eccesso nell’anno 1985. La ricorrente deduceva che sull’imputazione a riserva (secondo lo Statuto “massa di rispetto”) di L. 19.491.124.000 doveva applicarsi l’esenzione pari al 50% dell’ILOR in base al disposto del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21. L’amministrazione finanziaria costituendosi in giudizio davanti alla Commissione tributaria di primo grado di Genova contestava l’applicabilità nella specie dell’art. 21 citato e eccepiva la tardivita, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, di una parte della richiesta di rimborso;

2. La C.T. adita accoglieva il ricorso e la C.T. di secondo grado confermava tale decisione;

3. La C.T.C. accoglieva invece il ricorso della Agenzia delle Entrate rilevando che l’accantonamento era destinato comunque a riserve disponibili, riteneva assorbita la questione relativa alla tardività parziale della richiesta di rimborso;

4. Ricorre per cassazione la CA.RI.GE. s.p.a. con due motivi di impugnazione: a) violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, artt. 25 e 26, in relazione all’art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4, b) violazione del T.U. n. 967 del 1929, art. 35, sulle Casse di Risparmio e del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21. La ricorrente pone alla Corte di cassazione i seguenti quesiti di diritto: a) se la decisione impugnata nell’accogliere il primo motivo di ricorso dell’ufficio che chiedeva di accertare che l’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21, non era applicabile perchè l’accantonamento degli utili di esercizio, eccedenti il minimo legale e statutario, era destinato a capitale e non a riserva, abbia violato i limiti dell’impugnativa dell’ufficio medesimo, avendo ritenuto che l’utile accantonato era in realtà assegnato a riserva facoltativa e perciò disponibile; b) se l’accantonamento dell’utile (eccedente quello obbligatorio previsto dal T.U. n. 967 del 1929, art. 35, sulle Casse di risparmio), in quanto destinato a patrimonio, essendo sottratto alla disponibilità da parte degli organi di gestione delle Casse suddette, abbia diritto di fruire dell’agevolazione prevista in via generale dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21;

5. Si difende con controricorso l’Agenzia delle Entrate che, oltre a ritenere infondato il primo motivo del ricorso, contesta la tesi avversaria sull’indisponibilità dell’accantonamento rilevando che la facoltatività di esso lo sottrae comunque all’agevolazione di cui all’art. 21. L’Agenzia ribadisce comunque la propria eccezione di tardivita, costituente il secondo motivo di ricorso alla C.T.C., per l’ipotesi di accoglimento del ricorso avversario;

Ritiene che:

1. il primo motivo di ricorso sia palesemente infondato in quanto l’Amministrazione finanziaria, sin dal primo grado di giudizio, ha contestato l’assimilabilità dell’accantonamento per cui si controverte all’ipotesi agevolativa di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21;

2. il secondo motivo è anch’esso infondato perchè le riserve soggette all’applicazione della agevolazione, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21, sono quelle obbligatorie (cfr. Cass. civ. 25058/06);

3. sussistono i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso;

ritenuto che tale relazione appare pienamente condivisibile e, specificamente, quanto al secondo motivo di ricorso, perchè l’articolo 21,alla luce della giurisprudenza di questa Corte, non si applica agli accantonamenti discrezionali mancando in tale ipotesi la condizione, ricavabile dalla lettera e dalla ratio della norma agevolativa, della indisponibilità degli utili da parte dell’assemblea ordinaria (Cass., sez. trib., 21 dicembre 2004, n. 23719; n. 19226 del 24 settembre 2004; n. 13572 dell’11 giugno 2007;

n. 11084 del 7 maggio 2008; n. 16380 del 17 giugno 2008). Il presupposto implicito (ma chiarissimo) che giustifica la forte agevolazione di cui si tratta (per di più riservata alle sole banche) è che l’accantonamento sia presidiato dall’indisponibilità.

Solo questa condizione garantisce la finalità di rafforzamento del patrimonio. Ed è indisponibile soltanto quella quota di utili che sia obbligatorio accantonare e che non si possa distribuire senza una decisione dell’assemblea straordinaria che preliminarmente modifichi lo statuto. Gli accantonamenti statutari obbligatori e quelli deliberati in eccedenza alle previsioni obbligatorie statutarie, sulla base di una scelta discrezionale dell’assemblea, hanno entrambi la funzione di potenziare il capitale sociale e tale funzione coincide con la ratio della norma agevolativa di cui al citato articolo 21, ma non può non rilevarsi la diversità di effetti giuridici derivante dalla obbligatorietà o facoltativita degli accantonamenti. La obbligatorietà comporta non solo una scelta non discrezionale nella destinazione degli utili a una funzione di garanzia del ceto creditorio e dei risparmiatori ma determina anche logicamente la indisponibilità degli utili da parte dell’assemblea ordinaria. Al contrario gli accantonamenti che siano stati stabiliti discrezionalmente dall’assemblea ordinaria in eccedenza alla quota legale e statutaria rendono indisponibili gli utili che ne hanno costituito l’oggetto solo fino a una contraria manifestazione di volontà dell’assemblea ordinaria. Ci si trova pertanto di fronte a statuizioni diverse per la loro fonte, per la loro funzione e per la loro efficacia. Il legislatore ha voluto sicuramente incentivare il rafforzamento del capitale sociale agevolando la formazione e l’accrescimento delle riserve ma ha anche fissato un limite alle ipotesi agevolative coincidente con la indisponibilità dell’accantonamento, condizione che non si realizza se gli accantonamenti sono deliberati da maggioranze variabili come quelle ordinarie che si possono di volta in volta formare nell’assemblea dei soci. Questo punto di equilibrio fra ragioni di politica economica e ragioni specifiche dell’imposizione consiste quindi nella incentivazione della formazione di elevate riserve statutarie in un settore specifico quale quello bancario in cui la solidità dei capitale delle imprese acquista sicuramente un valore aggiuntivo rispetto ad altri settori dell’economia. Questa soluzione interpretativa appare alla Corte quella più conforme sia alla lettera (anche alla luce dell’espressione comunque indisponibili contenuta nella norma abrogatrice della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 21, art. 3, comma 102) che alla ragione ispiratrice dell’esenzione;

Il ricorso deve essere pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.900 di cui 100 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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