Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5271 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 26/02/2020), n.5271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 513-2019 proposto da:

I.O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO NOVILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 3240/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositata l’11/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

Fatto

RITENUTO

CHE:

I.O.E., nato in Nigeria, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, impugnava dinanzi il Tribunale di Ancona, con esito sfavorevole, il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento di diniego della protezione internazionale in tutte le sue forme.

Il Tribunale, nel valutare le domande, ha evidenziato il comportamento tenuto dal ricorrente che già in precedenza aveva avanzato, vanamente, richiesta di permesso di soggiorno per motivi familiari; risiedeva in Italia da oltre nove anni, dopo essere giunto attraverso la frontiera di Fiumicino; nel mentre si trovava sul territorio italiano, in attesa del permesso di soggiorno, si era reso responsabile del reato di spaccio di stupefacenti; e nei cui confronti era stato anche emesso un decreto di espulsione confermato dal Giudice di Pace in data 22/1/2016.

Sulla scorta di ciò ha escluso la ricorrenza di circostanze che potessero fondare il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Il Tribunale, quindi, ha denegato anche la protezione sussidiaria D.Lgs. cit., ex art. 14, lett. c), perchè, a seguito della consultazione delle informazioni aggiornate sul Paese di origine (rapporto annuale 2017/2018 Africa Gambia Amnesty e sito www.refworld), ha escluso che in detto Paese vi fosse una situazione di violenza e di conflitto armato generalizzato.

Infine ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando che il ricorrente non aveva dedotto, nè tanto meno comprovato una specifica situazione di vulnerabilità soggettiva e che l’inclinazione a delinquere dimostrata non ridondava a suo favore.

Il richiedente propone ricorso articolato in un unico motivo; il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, e si insiste per il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che il ricorso non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 366 c.p.c., giacchè la doglianza prospettate in maniera del tutto assertiva ed astratta non si confronta affatto con la motivazione e l’iter logico/giuridico seguito nella statuizione impugnata.

Invero, il Tribunale – dopo avere ricordato che il richiedente nel proporre la sua domanda, con estremo ritardo rispetto al suo ingresso in Italia, aveva reiterato doglianze già scrutinate e respinte dalle corti nazionali e si era reso responsabile di gravi reati in Italia, venendo raggiunto anche da un provvedimento di espulsione confermato dal Giudice di pace in data 22/1/2016 – ha respinto la domanda di protezione sussidiaria avendo compiuto disamina delle condizioni socio/politiche della regione di provenienza sulla scorta di attendibili fonti internazionali ed ha escluso la ricorrenza di condizioni di elevata vulnerabilità.

Orbene, il motivo, quantunque prospetti una violazione di legge, non si confronta affatto con la statuizione impugnata, ma si limita ad invocare in modo generico l’applicazione delle norme ed a riprodurre precedenti giurisprudenziali senza illustrare -con riferimento alla concreta fattispecie – in cosa sia consistita la violazione attribuita al giudicante di merito (Cass. n. 5001 del 02/03/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016).

In realtà lo stesso appare inteso a promuovere una rivisitazione dell’apprezzamento di fatto operato dal decidente di merito, nell’auspicio che una nuova interpretazione dei dati salienti della vicenda possa condurre ad un esito conclusivo del giudizio più favorevole di quello fatto segnare dal Tribunale, senza nemmeno puntualmente contestare quanto accertato in fatto dal giudice del merito.

Il decreto impugnato ha comunque accertato, – dando conto delle fonti consultate, contrariamente a quanto assume il ricorrente che, peraltro, manca di indicare altre fonti e di precisare quando ed in che termini siano state sottoposte al giudice del merito, – l’insussistenza di condizioni di insicurezza nella zona di provenienza del richiedente, idonee ad integrare le fattispecie legali per il riconoscimento della protezione internazionale, con riguardo sia al pericolo di atti persecutori nei suoi confronti, sia alla violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sia implicitamente al rischio di subire la violazione dei diritti fondamentali. Si tratta, anche in tal caso, di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che impropriamente il ricorrente vorrebbe sovvertire.

Quanto alla richiesta di protezione umanitaria, risulta dirimente il difetto di qualsivoglia allegazione individualizzante in punto di vulnerabilità, senza che la insussistenza dei presupposti accertata dal Tribunale trovi una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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