Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5271 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. II, 04/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 04/03/2011), n.5271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 357, presso lo studio dell’avvocato DI SIMONE

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO ROSA;

– ricorrente –

e contro

C.M. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 393/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 393/05 depos. in data 24.03.05 con la quale la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato l’appello da essa formulato nei confronti della precedente decisione n. 2490/02 del tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso dalla medesima avanzato per la reintegrazione de possesso del proprio immobile sito in (OMISSIS), occupato dal convenuto C.M. al quale la stessa odierna ricorrente lo aveva promesso in vendita con contratto preliminare del 28.7.97. La corte, confermando la sentenza del primo giudice, aveva ritenuto che la permanenza nella detenzione dell’immobile del promissario acquirente nonostante la mancata stipula del contratto definitivo, non poteva costituire spoglio del relativo possesso, non sussistendovi i presupposti dell’impossessamento del bene in modo violento o clandestino.

Il ricorso per cassazione si articola in un unico motivo; l’intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo del ricorso, l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c. in relaz. all’art. 703 c.p.c. Deduce che, avendo concluso un preliminare di vendita con il C., lo aveva spontaneamente e volontariamente immesso nella “disponibilità dell’immobile” prima della stipula del contratto definivo, “confidando nel solerte esaurimento delle posizione soggettive con la stipula del rogito notarile entro e non oltre la data indicata nel preliminare stesso ciò a dire il 31.12.1998”.

Aggiunge però che “ciò non avvenne a causa di una serie di contestazioni del sig. C.” ed il fatto che costui non si era presentato per la stipula del definitivo “ha fatto venire meno il titolo che questi vantava, ossia la detenzione – uso gratuito temporaneo che da quel momento non doveva nè poteva più ritenersi tollerata della legittima proprietaria”. Ne consegue che il rifiuto del promissario acquirente alla richiesta di riconsegnare l’immobile oggetto del preliminare, integrerebbe ex se spoglio violento tutelabile con l’azione di reintegra di cui all’art. 1168 c.c. Secondo il Collegio, la doglianza è infondata, perchè non sussistono i presupposti per la proposizione dell’azione di cui all’art. 1168 c.c. Invero il rifiuto di consegna da parte del promissario acquirente dell’immobile la cui detenzione gli è stata spontaneamente consentita dalla stessa promittente venditrice, evidentemente non può costituire “ex se” uno spoglio violento “del possesso, perchè presupposto dell’azione di reintegrazione di cui all’art. 1168 c.c. è la violenza (o la clandestinità) dello spoglio (vi aut clam) che nella fattispecie non è configurabile . La violenza è infatti una modalità dello spoglio, che caratterizza l’azione de qua (esiste anche uno spoglio semplice, oggetto della diversa tutela di cui all’art. 1170 c.c., u.c. a cui però l’esponente non ha fatto ricorso) e non v’è dubbio che la nozione di violenza nella materia possessoria deve ricondursi a quella generale del diritto comune e cioè quella fisica e quella morale che si sostanzia in una minaccia, ingiusta, notevole e oggettivamente temibile che abbia comportato la privazione del possesso.

Pertanto quando come nella fattispecie il possesso (o la detenzione) è stato dismesso volontariamente con ciò stesso viene meno il presupposto della tutela possessoria per colui che pretende di essere reintegrato nella precedente situazione di fatto ai sensi dell’art. 1168 c.c.; trattasi infatti di una specifica azione che risponde all’esigenza di garantire a chi possiede una sollecita tutela giudiziaria, ispirata come è noto ai principi romanistici ne cives ad arma ruant e spoliatus ante omnia restituendus. A tali principi, com’è noto, si ispiravano i c.d. interdetti possessori propri del diritto romano ma trasfusi anche nel diritto vigente (intredicta retinendae possessionis, diretti a vietare atti di turbativa della possessio e interdicta recuperandae possessionis, diretti a reintegrare nella disponibilità della cosa il possessore che ne era stato spogliato). Poste tali premesse e ricordata la ratio che sottende la tutela del possesso nel nostro ordinamento, il mero rifiuto di restituzione della res proveniente da un detentore che ne abbia ricevuto la detenzione con l’esplicito consenso del possessore in forza di un sottostante rapporto obbligatorio, non può costituire di per sè uno spoglio violento o clandestino, a meno che non comporti un’interversione della causa del potere di fatto sulla cosa (interversione del possesso ex art. 1141 c.c. ipotesi peraltro neppure adombrata e comunque non ravvisabile nella fattispecie: v.

Cass. n. 2392 del 29/01/2009).

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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