Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5271 del 04/03/2010

Cassazione civile sez. I, 04/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 04/03/2010), n.5271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 28029/2007 proposto da:

C.C., C.M.L., C.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE PINTURICCHIO 21, presso lo

studio dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto N. 53324/05 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di ROMA

del 6/03/06, depositato il 05/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Rossana Tebaidi, (delega avvocato Ferdinando Emilio

Abbate), difensore dei ricorrenti che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. MARCO PIVETTI che conferma

la relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “Con decreto depositato il 5 settembre 2006, la Corte di appello di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere a C.C. e ad altri due ricorrenti (trascritti nell’epigrafe del provvedimento) la somma di Euro 7.000,00 ciascuno a titolo di equa riparazione in conseguenza della durata – ritenuta non ragionevole in misura di anni sette – di un giudizio svoltosi davanti al T.a.r. del Lazio.

Non si difende la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Osserva:

Il decreto è censurato con due motivi. Si critica, anzitutto, la determinazione in quattro anni del giudizio presupposto. Si censura, quindi, la liquidazione delle spese. Palesemente infondato è il primo motivo.

La corte territoriale ha giustificato la determinazione in quattro anni della durata ragionevole del giudizio presupposto facendo riferimento, tra l’altro, all’incidente di costituzionalità. Ciò in linea con la giurisprudenza di questa Corte per la quale, se, ai fini del giudizio di ragionevolezza della durata complessiva del processo richiesto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, deve essere computato anche il tempo impiegato per la risoluzione dell’incidente di costituzionalità, tuttavia, nell’ambito della valutazione del criterio della complessità del caso di cui alla norma citata, è lecito tenere conto del fatto che nel corso del processo presupposto sia sorta necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale di una norma ostativa all’accoglimento della domanda (cfr. Cass. nn. 789/2006, 13957/2006, 18718/2006, 22453/2006, 23099/2007, 23632/2007).

Inammissibile appare la censura sulle spese.

Secondo principi più volte enunciati da questa Corte, il superamento da parte del giudice dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio in iudicando, sicchè per l’ammissibilità della censura è necessario, giusta il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, che il ricorrente specifichi analiticamente i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità senza dover espletare un’inammissibile indagine sugli atti di causa (cfr., e plurimis, Cass. nn. 14744/2007, 3651/2007, 20904/2005, 2626/2004, 18242/2003, 15172/2003, 5581/2003, 13417/2001, 6864/2000). Incombe, pertanto, sul ricorrente l’onere di riportare in ricorso la nota relativa alle spese e specificare, con opportuna comparazione delle voci di tabella degli onorar e dei diritti di procuratore con il quantum a tali titoli liquidato, l’asserito errore commesso dal giudice nell’applicazione della tariffa professionale.

Nel caso in esame, il ricorrente ha omesso di riportare in ricorso la nota specifica relativa alle spese presentata ai sensi dell’art. 75 disp. att. c.p.c..

In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. 2. – Il Collegio ritiene di condividere il contenuto della relazione e le argomentazioni sulle quali essa si fonda e che conducono al rigetto del primo motivo di ricorso. Invero, il Collegio intende dare continuità al costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale “ai fini della determinazione della giusta durata del processo, il giudizio di legittimità costituzionale non rileva in via autonoma, atteso che la relativa decisione riguarda una questione pregiudiziale attinente al merito della controversia; pertanto il superamento del termine di ragionevole durata deve essere riferito al processo nel quale sia sorta la questione di costituzionalità senza che possa detrarsi automaticamente l’intero periodo connesso alla sua risoluzione. Tuttavia, nell’ambito della valutazione del criterio della complessità del caso di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va tenuto conto della circostanza che nel corso del processo sia sorta la necessità di sollevare la questione al fine di apprezzare la ragionevolezza in concreto della durata del processo” (Sez. 1^, Sentenza n. 23632 del 15/11/2007, oltre alle altre richiamate nella motivazione). A tale principio si è correttamente attenuta la Corte di merito.

Per contro, è fondato il secondo motivo di ricorso, stante la pluralità di ricorrenti e l’avvenuta riunione soltanto in sede di decisione. Talchè il decreto impugnato deve essere cassato limitatamente al capo concernente le spese e, pronunciando nel merito ex art. 384 c.p.c., la Corte può procedere alla liquidazione di esse secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati per cause similari, ponendole a carico dell’Amministrazione. Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 2/3, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente. Spese distratte.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alle parti ricorrenti le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 1.163,00 per diritti e Euro 580,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 965,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2010

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