Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5260 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. II, 04/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 04/03/2011), n.5260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16593-2005 proposto da:

T.A.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. PALUMBO 3, presso lo studio dell’avvocato

DI MAIO ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato APREA

AMELIA;

– ricorrente –

contro

SACEN SRL in persona del legale rappresentante B.F. P.I.

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 3,

presso lo studio dell’avvocato PARLATO GUIDO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

G.P., G.L., G.S., GU.

L., B.L., G.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1506/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. PICCIALLI LUIGI;

udito l’Avvocato Aprea Amelia difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 26.6.99 la società Sacen s.r.l. citò al giudizio del Tribunale di Napoli T.A.M., al fine di sentir dichiarare la nullità, per difetto di un elemento essenziale, dei contratti preliminari contenuti in due scritture private senza data, con i quali aveva promesso in vendita e consegnato alla convenuta, per prezzi non determinati, salvo che nelle parti relative all’accollo dei rispettivi mutui fondiari, due appartamenti in Formia, dei quali chiedeva la restituzione.

La domanda, nella contumacia della T., all’esito dell’istruttoria documentale ed orale, venne accolta dall’adito Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza del 24.5.05, dichiarante la nullità dei contratti suddetti, con condanna della convenuta al rilascio degli immobili ed al pagamento delle spese di giudizio.

Avverso la suddetta sentenza la T. propose appello, nel quale, premesso di non essersi costituita in primo grado per infedeltà dell’avvocato cui aveva conferito mandato, articolata a tal fine una prova testimoniale, chiedeva di essere rimessa in termini per lo svolgimento delle attività difensive dirette a dimostrare l’infondatezza della domanda attrice, al riguardo sostenendo la validità dei due contratti preliminari, rappresentando ed esaurendo gli importi di L. 19.400.000 ciascuno, dei rispettivi mutui fondiari accollati, gli effettivi prezzi di acquisto. Costituitasi l’appellata, resisteva all’appello.

Successivamente intervennero volontariamente nel giudizio B.L., Lu., B., L., S. e G.P., in qualità di vedova e figli dell’ing. G. C., ed assumendo che quest’ultimo, avendo contratto una relazione extraconiugale con la T., aveva pagato con proprio danaro e quale effettivo acquirente i prezzi dei due appartamenti, a parte gli importi dei mutui, alla promittente venditrice Sacem s.r.l., aderivano all’appello, al fine di far valere sui due immobili le proprie ragioni di eredi legittimari, per la cui lesione avevano proposto un separato giudizio.

La Corte di Napoli, disattesa l’istanza di inibitoria, con sentenza del 16.4-6.5.2004, dichiarava inammissibile l’intervento, rigettava l’appello e compensava interamente le spese del grado. Tali in sintesi e per quel che ancora rileva in questa sede, le ragioni della suddetta decisione:

a) la richiesta di rimessione in termini non meritava accoglimento, sia perchè la dedotta infedeltà del legale, accadimento esterno al processo, non configurava un impedimento alla costituzione, sia perchè l’appellante non aveva dimostrato o dedotto le specifiche decadenze in cui sarebbe incorsa;

b) l’appellante, inoltre, pur potendo produrre “qualunque documento anche in appello”, nessuna prova aveva offerto al fine di dimostrare l’infondatezza della domanda;

c) correttamente era stata dal primo giudice dichiarata la nullità dei due contratti per difetto di un elemento essenziale, non risultando negli stessi indicati il prezzo complessivo, nè l’eventuale acconto versato, mentre l’importo di L. 19.400.000 dell’accollato mutuo, che sarebbe stato contratto con un istituto di credito neppure indicato, costituendo una “somma…simbolica, svincolata dall’effettivo valore commerciale del bene”, rappresentava soltanto una parte del corrispettivo.

Avverso la suddetta sentenza la T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Ha resistito la società Sacen s.r.l. con controricorso.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede, ancorchè intimati, gli intervenuti B. – G..

La difesa della ricorrente ha depositato memoria illustrativa e note di replica alle conclusioni del P.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. per carenza di interesse ad agire della Sacen s.r.l, rilevabile di ufficio in qualsiasi stato e grado del processo e nella specie desumibile dalla circostanza che non solo prima, ma anche successivamente all’instaurazione della lite, la suddetta società avrebbe non solo accettatola addirittura preteso, rimettendole i relativi avvisi di pagamento, che la T. pagasse i ratei del mutuo fondiario, come comprovato dal possesso da parte della medesima delle relative quietanze, con ciò tenendo un comportamento inequivocabilmente incompatibile con la volontà di proporre la domanda di nullità del contratto. Il motivo è privo di fondamento.

L’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., che per costante definizione giurisprudenziale si identifica con l’idoneità della richiesta decisione al conseguimento di un risultato giuridicamente apprezzabile e non altrimenti conseguibile, se non con l’intervento del giudice (ex plurimis v. Cass. nn. 15355/10, 27151/09, 28405/08), e che costituisce una condizione di qualsiasi azione giudiziale, non solo di quella diretta alla dichiarazione di nullità (che l’art. 1421 c.c., nell’estendere anche ai soggetti non stipulanti il negozio, specificamente esige ai fini della relativa legittimazione), va ravvisato non sul piano fattuale, in relazione ai comportamenti tenuti dalla parte attrice prima e durante l’instaurazione della controversia, bensì con riguardo all’attitudine, sul piano giuridico, della pronuncia cui sia diretta l’azione a spiegare effetti positivi nella sfera patrimoniale dell’istante, sia incrementando la stessa, sia evitando pregiudizio, ancor più semplicemente, a rimuovere l’incertezza in ordine a situazioni giuridicamente rilevanti e controverse tra le parti.

Nel caso di specie la ricorrente denuncia comportamenti extragiudiziali, anteriori e successivi alla proposizione della lite che, a suo avviso, sarebbero poco coerenti o addirittura inconciliabili con la domanda diretta a far dichiarare nullo il contratto preliminare. Tali comportamenti, tuttavia, seppur astrattamente censurabili sul piano della lealtà e della buona fede, sono privi di rilevanza ai fini dell’art. 100 c.p.c., considerata l’attinenza ad impegni reciprocamente assunti dalle parti con la stipulazione del compromesso, comportanti da una parte la concessione del godimento anticipato degli immobili alla promissaria acquirente e, dall’altra, il pagamento dei ratei di mutuo dalla medesima accollati. L’aver continuato a tollerare o, addirittura, a sollecitare tali pagamenti e l’adempimento di altri oneri correlati alla detenzione dei beni, pur essendo sub indice la validità del negozio, non può considerarsi un comportamento inconciliabile con la volontà di sentir dichiarare la nullità di quest’ultimo, costituendo detti esborsi la contropartita della suddetta concessione di godimento anticipato, nel l’ambito di un assetto d’interessi provvisorio ed in un contesto nel quale la richiesta pronunzia d’invalidità, melius re perpensa proposta da una delle parti, non avrebbe potuto ex ante considerarsi certa.

Quel che rileva, invece, ai fini della sussistenza della condizione preliminare di cui all’art. 100 c.p.c. è la concreta attitudine della richiesta decisione a spiegare effetti favorevoli, patrimonialmente e giuricamente rilevanti, per la società attrice; e tali non possono non ravvisarsi nella richiesta caducazione dei contratti preliminari, che se rimasti in piedi avrebbero comportato l’obbligo di trasferire alla controparte la proprietà di beni tuttora appartenenti alla predetta, e nel conseguente recupero della detenzione degli stessi rinveniente il suo titolo, seppur provvisorio ed invalido, nel negozio medesimo.

Con il secondo motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., con connessa omissione di motivazione, si lamenta la mancata ed immotivata ammissione della prova testimoniale e dell’interrogatorio formale richiesti dalla difesa dell’appellante, “su capitoli di prova relativi al merito della causa, ossia, per dimostrare l’infondatezza della domanda attorea…”; si assume che tali mezzi di prova, anche a prescindere dalle ragioni addotte con la richiesta ex art. 294 c.p.c., il collegio in appello ben avrebbe potuto, nel particolare contesto processuale caratterizzato dall’incolpevole contumacia in primo grado e della necessità di garantire la difesa all’appellante, ammettere in quanto indispensabili ai fini della decisione.

Il motivo non merita accoglimento, per un duplice ordine di considerazioni: a) perchè censura una valutazione, quella relativa all’ammissione di mezzi di prova richiesti solo in grado di appello, che costituendo ex art. 345 c.p., comma 3 esercizio di facoltà discrezionale ed eccezionale riservata al giudice di merito (in punto di valutazione dell’indispensabilità della relativa assunzione, in funzione integrativa delle già acquisite risultanze istruttorie: v.

Cass. S.U. n. 8203/05), non è sindacabile, in caso di mancato esercizio, in sede di legittimità; b) per irrilevanza delle circostanze di fatto (attinenti all’anticipata immissione della T. nel godimento degli immobili ed ai comportamenti tenuti dalle parti prima del giudizio, segnatamente con riferimento ai pagamenti delle rate di mutuo), che si sarebbe voluto provare, alle stregua delle considerazioni svolte nell’esame del precedente motivo e tenuto conto che tali circostanze, attenendo soltanto all’adempimento dell’obbligazione relativa al saldo della parte di prezzo rappresentata dall’accollo del residuo mutuo, risultavano irrilevanti ai fini della dimostrazione, che avrebbe dovuto essere documentacene l’intero corrispettivo di vendita fosse rappresentato da tale somma.

Con il terzo motivo si lamenta il mancato accoglimento, in violazione e falsa applicazione degli artt. 184 bis, 294 e 345 c.p.c. e con erronea ed insufficiente motivazione, della richiesta di rimessione in termini, ai fini dell’ammissione dei mezzi di prova, finalizzati a dimostrare “il convincimento e la buona fede dei contraenti nel dare esecuzione ai contratti preliminari di vendita, così come stipulati in ordine alla pattuizione sul prezzo…”, ad integrazione della documentazione prodotta. Si ribadisce che il comportamento del legale, che non aveva dato esecuzione al mandato difensivo, pur costituendo un accadimento esterno al processo de quo, avrebbe comunque integrato un fatto non imputabile alla deducente e si lamenta anche la mancata considerazione, da parte della Corte d’Appello, della subordinate istanze di sospensione ex art. 295 c.p.c. del presente procedimento, in attesa delle definizione di quelli civile e penale, pendenti presso gli uffici giudiziari di S.M. Capua Vetere, a seguito dell’azione per danni e della denuncia per infedele patrocinio proposte a carico del suddetto professionista.

Il mezzo d’impugnazione deve essere disatteso, non solo per la già evidenziata irrilevanza, ai fini della questione essenziale del giudizio (la determinazione contrattuale del prezzo della futura vendita), delle istanze istruttorie (quelle menzionate nel secondo motivo, le sole indicate in ricorso) che la ricorrente assume avrebbe voluto proporre e la cui ammissione lamenta essere stata pregiudicata dall’incolpevole dichiarazione di contumacia, ma anche e soprattutto per l’impropria invocazione dell’istituto della rimessione in termini. L’art. 184 bis c.p.c., introdotto dalla L. n. 353 del 1990 (e poi abrogato dalla L. n. 69 del 2009), ancorchè astrattamente applicabile ratione temporis al presente giudizio, non era in concreto invocabile, configurando l’istituto un rimedio di natura endoprocessuale diretto a rimuovere gli effetti sfavorevoli, per le parti già costituite nel processo (come si desume dalla collocazione della disposizione nella Sez. 2, Tit. 1, Capo 2, Libro 2, cod. civ., intitolata “Della trattazione della causa”), che fossero incorse in decadenze dal compimento di attività, determinate da eventi alle medesime non imputabili.

Nel rigettare, pertanto, il corrispondente motivo di gravame, la corte di merito si è correttamente attenuta alla suesposta definizione dell’istituto, già desumibile dalla giurisprudenza di questa Corte (v., in particolare, Cass. n. 10094/97, per quanto attiene alla decadenza dalla tempestiva instaurazione del giudizio, in cui si evidenzia l’attinenza alle parti costituite e l’irrilevanza di “situazioni esterne allo svolgimento del giudiziose le conformi Cass. nn. 8999/99, 9178/00), considerato che nel caso di specie il fatto dedotto avrebbe costituito non un ostacolo al rituale e tempestivo compimento di un’attività processuale da una parte che, in quanto costituita, sarebbe stata, in mancanza dello stesso, abilitata a compierla, bensì, più radicalmente, un evento esterno, impeditivo proprio di quella costituzione, integrante la condizione essenziale per l’attiva partecipazione al processo. Configurando la dedotta infedeltà del difensore una circostanza esclusivamente attinente alla patologia del rapporto interno intercorrente tra la parte sostanziale ed il professionista incaricato ex art. 83 c.p.c., la stessa poteva assumere rilevanza soltanto ai fini di un’azione di responsabilità contro quest’ultimo, ma non anche spiegare, sul versante esterno, effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace o, addirittura, comportare la revoca, in grado di appello, di tale dichiarazione.

Tali considerazioni comportano anche l’infondatezza del profilo di censura, deducente la mancata sospensione del giudizio di appello ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione di quello di responsabilità contro il professionista, in altra sede pendente, ed a fortiori, di quello correlato alla proposta denuncia penale, non essendo configurabile un rapporto di dipendenza logico – giuridica tra le questioni dedotte nei rispettivi processi.

Con il quarto motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 1470 c.c., art. 1418 c.c., comma 2, artt. 1325, 1370, 1362, 1366, 1367 e 1370 c.c.; con connesse omissioni ed insufficienze di motivazione, si censura l’affermazione secondo cui il prezzo convenuto in ciascun preliminare di vendita sarebbe solo parte del corrispettivo, sostenendosi invece che gli importi indicati rappresenterebbero ciascuno l’intero prezzo, con conseguente validità dei contratti. A tale conclusione la corte avrebbe dovuto pervenire sulla base di una corretta e complessiva interpretazione dei contratti, che tenesse conto non solo dell’elemento letterale, ma anche della effettiva intenzione dei contraenti, desumibile anche dal comportamento successivo, dei principi di buona fede e di conservazione del negozio, della circostanza che i preliminari fossero stati redatti su modelli predisposti dalla SACEN s.p.a, con conseguente interpretazione contro l’autore della clausola dubbia.

Quanto alla contenuta misura dei prezzi, giudici di merito non avrebbero tenuto conto che la relativa agevolazione era dovuta, oltre alla mancanza della licenza di abitabilità degli immobili, anche dei particolari rapporti di collaborazione professionale e stretta amicizia tra l’avv. G.C., che aveva assistito la T. nelle trattative, ed il legale rappresentante della suddetta società, a conoscenza del rapporto more uxorio, nell’ambito del quale erano nate due figlie riconosciute, tra il suddetto professionista e la T..

Il mezzo d’impugnazione va respinto, per l’inammissibilità dei profili di censura relativi alla mancata valutazione di circostanze di fatto, che non hanno formato, nè avrebbero potuto formare (tenuto conto della condizione contumaciale della convenuta in primo grado) oggetto di prova, e per l’infondatezza di quelli deducenti malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale e connesse carenze e vizi della motivazione, in cui sarebbero incorsi i giudici di merito nell’interpretazione dei contratti preliminari.

Richiamato e ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’interpretazione del contatto costituisce attività riservata al giudice di merito, che se esente da errori di applicazione delle regole contenute negli artt. 1362 c.c. vizi logici testualmente rilevabili, non è sindacabile nel giudizio di cassazione, sede nella quale il vaglio di legittimità va compiuto esclusivamente sull’apparato argomentativo, in sè consideratoceli decisione, e non anche in termini di raffronto comparativo con la diversa tesi interpretativa proposta dalla parte ricorrente, le censure al riguardo esposte vanno tutte disattese. Se è vero che, ai sensi dell’art. 1362 c.c., il giudice di merito, nell’accertamento della comune intenzione dei contraenti non deve limitarsi al senso letterale delle parole, ma deve anche valutarne il complessivo comportamento, anche successivo alla stipulazione, va tuttavia osservato che l’elemento letterale, quando sia obiettivamente inequivocabile, rappresenta comunque il mezzo più immediato e diretto per l’accertamento della volontà contrattuale.

Nel caso di specie, in cui la somma di L. 19.400.000 in entrambi i contratti preliminari era stata, chiaramente, indicata quale accollo del residuo mutuo gravante sugli immobili, mentre le altre parti del modulo prestampato, relative all’indicazione del prezzo complessivo ed al versamento di eventuali acconti, erano rimaste in bianco, nessun particolare approfondimento avrebbe richiesto l’indagine da parte dei giudici di merito. Questi ultimi, peraltro, non si sono soltanto attenuti al principio in claris non fit interpretatio, ma hanno anche corredato il relativo giudizio di indeterminatezza del prezzo con valutazioni logiche, essenzialmente e legittimamente ex art. 115 c.p.c., comma 2, basate su regole d’esperienza di obiettiva evidenza (circa la palese tenuità delle esposte somme in relazione ai ben più alti e notori valori correnti sul mercato immobiliare), confermative del dato letterale, secondo cui dette somme rappresentavano soltanto una parte di un complessivo prezzo, non altrimenti indicato o comunque ricavabile dal contenuto del contratto.

In siffatto contesto documentale, il richiamo all’art. 1362 c.c., comma 2 non risulta conferente, considerato che il comportamento delle parti successivo al contratto, che si lamenta non valutato ai fini dell’indagine sulla loro effettiva volontà, costituito dal l’immissione della promissaria acquirente nella detenzione degli immobili e nel contemporaneo pagamento da parte della medesima dei ratei di mutuo, altro non costituendo, come si è già avuto modo di osservare, che l’adempimento di pattuizioni contenute nei compromessi di vendita, nell’ambito del provvisorio assetto d’interessi convenuto in attesa delle stipulazioni definiti ve, nessun valore sintomatico avrebbe potuto assumere ai fini della pretesa esaustività dei corrispettivi indicati nelle due scritture. L’evidenziata adeguatezza, nel caso di specie, dell’accertamento compiuto ai sensi dell’art. 1362 c.c. rendeva, pertanto, inutile il ricorso agli altri criteri interpretativi sussidiari, che entrano in gioco soltanto nei casi in cui quello principale si riveli insufficiente, per l’ambiguità del tenore letterale della pattuizione e non deducibilità della comune intenzione delle parti dal relativo comportamento complessivo;in particolare non conferente risulta la doglianza relativa alla mancata osservanza dell’art. 1370 c.c., in un contesto nel quale i documenti non potevano considerarsi ambigui, nelle parte in cui indicavano le somme suddette quali accolli dei residui mutui fondiari rimanendo invece silenti in quelle relative alle altre componenti del prezzo, e dunque, nel suo complesso, indeterminati in ordine a tale requisito essenziale degli stipulandi contratti di compravendita.

Non palesando, per il resto, le generiche censure ex art. 360 c.p.c., n. 5, effettive carenze di valutazione di punti decisivi o illogicità argomentative della motivazione, che si palesa nel suo complesso adeguata e convincente, anche l’ultimo motivo va respinto e, con esso conclusivamente, il ricorso.

Sussistono, tuttavia, ragioni di evidente equità per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio, in considerazione della particolare natura della vicenda, rimasta non del tutto chiarita nei suoi sottostanti rapporti (v. intervento degli eredi G., dichiarato inammissibile dal primo giudice, con statuizione non impugnata), caratterizzata dalle vicissitudini subite dalla T. e da comune responsabilità delle parti nella stipulazione dei contratti nulli, all’origine alla controversia.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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