Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5260 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. I, 04/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 04/03/2010), n.5260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26374/2007 proposto da:

C.P. quale unico erede di C.C., elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.A.D. 53302/05 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13.3.06, depositato il 18/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. MARCO PIVETTI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” C.P. chiede, per diciotto motivi, la cassazione del decreto, emesso il 18 settembre 2006, con cui la Corte d’appello di Roma gli ha riconosciuto la somma Euro 1.250,00, a titolo di equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza della durata, ritenuta irragionevole nella misura di due anni e sei mesi circa, di un giudizio, avente a oggetto la liquidazione di interessi e rivalutazione su indennità di disoccupazione involontaria corrisposta in ritardo, iniziato nel settembre 1994 davanti al giudice del lavoro di Napoli; definito in primo grado con sentenza di rigetto del 1 dicembre 1995, in appello (dall’11 febbraio 2002) in data 20 maggio 1999 e in cassazione con pronuncia del 9 dicembre 2003; e pendente in sede di rinvio alla data di presentazione del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 2 (30 giugno 2005).

Si difende il Ministero della giustizia.

Osserva:

I diciotto motivi di ricorso deducono diversi profili di violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, nonchè vizi di motivazione.

Con il secondo motivo, pregiudiziale dal punto di vista logico, si contesta la determinazione della durata ragionevole del processo, affermandosi che, alla stregua della disciplina delle controversie previdenziali, dovrebbe essere fissata in due anni per il primo grado e in un anno e sei mesi per il giudizio di secondo grado e per il giudizio di cassazione.

Il motivo è palesemente inammissibile non avendo il ricorrente formulato specifiche censure alla ratio sulla quale si basa la determinazione della durata ragionevole effettuata dal giudice del merito, peraltro in assoluta corrispondenza con i parametri cronologici dettati dalla giurisprudenza sovranazionale e nazionale, e non valendo d’altra parte il richiamo operato dal ricorrente all’astratta scansione temporale del processo previdenziale, che dovrebbe giustificare una durata inferiore, in quanto la valutazione rimessa al giudice del merito deve tenere conto della fattispecie concreta.

Con il primo motivo e coi motivi dal terzo al dodicecimo, il C. critica la quantificazione dell’equa riparazione del danno non patrimoniale, deducendo che la corte territoriale: ha immotivatamente disapplicato i parametri indicati dalla corte di Strasburgo (da Euro 1000,00 a Euro 1.500,00 per anno di durata della causa e non per il solo periodo eccedente la durata ragionevole); non ha tenuto in debita considerazione la natura previdenziale del credito; ha ridotto la liquidazione solo in ragione della modestia della controversia e per di più senza tenere conto delle condizioni soggettive di esso ricorrente; ha omesso di statuire sul bonus di Euro 2.000,00 richiesto in ragione della suddetta natura del credito vantato.

I motivi si appalesano manifestamente fondati nei limiti appresso precisati.

Questa Corte ha già precisato che in materia di equa riparazione il giudice nazionale deve fare riferimento all’interpretazione della CEDU da parte della Corte di Strasburgo, potendosene discostare solo in presenza di particolari circostanze (Cass. Sez. Un. n. 1340/2004).

Consegue che il giudice di merito, per potersi ragionevolmente e motivatamente discostare dai parametri indennitari dettati dalla Corte EDU (oscillanti mediamente tra i mille ed i millecinquecento euro per anno), dovrà procedere a un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti, da un lato, dalla natura e dall’entità della pretesa avanzata in giudizio (la c.d. posta in gioco) e, dall’altro, dalle condizioni socio-economiche della parte, posto che solo da tale comparazione è in grado di fornire la prova, sia pure presuntiva, dell’effettiva entità dello stress subito dal ricorrente, essendo ancorata a elementi concreti e non a formule generiche e meramente astratte. La comparazione degli indicati elementi, che dovrà essere effettuata sulla base delle allegazioni delle parti, costituisce valutazione di merito non sindacabile nel giudizio di legittimità se congruamente motivata.

Nella specie, la Corte d’appello di Roma, nel quantificare la riparazione dovuta, si è discostata sensibilmente (per oltre un terzo) dai parametri indennitari minimi indicati dalla Corte EDU facendo riferimento solo al modesto valore della causa.

Sono palesemente infondate alla luce della ferma giurisprudenza di questa Corte le censure riguardanti il criterio di calcolo dell’equo indennizzo utilizzato dal giudice del merito e il mancato riconoscimento del bonus.

Infatti, come è stato più volte affermato, il principio del dovere del giudice nazionale di rispettare le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare tenendo conto dei criteri di determinazione della riparazione utilizzati, trova un limite nel dovere di applicare la norma di cui L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale può essere indennizzato solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole. Nè tale criterio di calcolo, divergente da quello utilizzato dalla corte europea che prende in considerazione il danno relativo all’intera durata del processo influisce sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, par. 1, della convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2) (Corte europea dei diritti dell’uomo, 2 dicembre 2004, Provvedi; Cass. nn. 8714/2006, 8658/2005, 8603/2005).

Quanto alla domanda di attribuzione di una somma forfettaria di Euro 2.000 in relazione alla natura previdenziale della controversia, non appare decisivo il richiamo alla sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo 10 novembre 2004, Zullo, perchè se la decisione richiamata ha ritenuto di riconoscere tale somma in caso di violazione del termine di durata ragionevole nei giudizi aventi particolare importanza, tra i quali ha annoverato le cause previdenziali, non ne deriva automaticamente che tutte le cause previdenziali debbano essere considerate di particolare importanza.

Spetta infatti al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, tale da giustificare l’attribuzione del bonus. Tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, in caso di diniego di detta attribuzione, una motivazione implicita.

I restanti motivi (dal dodicesimo al diciottesimo) rivolti alla liquidazione delle spese, rimangono assorbiti.

Ove si condividano i superiori rilievi, sussistono i presupposti per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c.”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso.

Peraltro, relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Ravvisandosi le condizioni per la decisione della causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dovendosi quantificare il periodo di eccessiva durata del processo in anni 2 e mesi 6, tenuto conto dei criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU, l’indennizzo va liquidato nella misura di Euro 1.875,00, con gli interessi dalla domanda.

Le spese del giudizio di merito vanno poste a carico della parte soccombente e vanno liquidate come in dispositivo, secondo le tariffe vigenti ed i conseguenti criteri di computo costantemente adottati da questa Corte per cause similari. Il limitato accoglimento del ricorso, per converso, giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimità nella misura di 2/3, da porre carico dell’Amministrazione per la parte rimanente.

Spese distratte.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 1.875,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50 per esborsi, Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario;

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore dell’avv. Marra antistatario.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2010

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