Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5258 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 26/02/2020), n.5258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29755-2018 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati LUIGI PIERGIUSEPPE MURCIANO, LORENZO

TROMBELLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE

PROVINCIALE DI MONZA E BRIANZA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 909/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 05/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

B.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lombardia indicata in epigrafe che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha respinto il ricorso del contribuente contro l’avviso di accertamento per IRPEF per l’anno 2009 relativo ai redditi di partecipazione accertati a carico della società B. srl in relazione all’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Secondo la CTR la pretesa fiscale, nata dalla contestazione nei confronti della società B. srl della quale il B. era socio al 50 % insieme alla moglie Q.M.A., aveva preso le mosse dall’attività investigativa svolta nei confronti di alcune ditte individuali, da cui era nato il procedimento penale RG 2511/11 a carico del B.. Secondo la CTR la sentenza di primo grado che aveva escluso la possibilità del raddoppio dei termini nei confronti del socio in relazione all’autonomia della posizione di quest’ultimo rispetto a quella della società, non rilevando ai fini penali l’omessa dichiarazione di utili distribuiti, non era condivisibile. La CTR riteneva, infatti, che l’addebito fiscale dei soci conseguiva all’accertamento legittimamente effettuato nei confronti della società, svolgendo il B., peraltro, il ruolo di amministratore della società della quale deteneva il 50 %, sicchè non poteva tale posizione essere equiparata a quella di un terzo rispetto alla società. Peraltro, il pvc aveva contestato autonomamente al B. ipotesi delittuose commesse nell’esercizio della carica di amministratore derivanti da operazioni oggettivamente inesistenti con conseguenti dichiarazioni infedeli.

Il ricorrente ha dedotto la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. La CTR non avrebbe considerato che l’avviso di accertamento emesso a carico del B. risaliva a125 settembre 2015, non potendo pertanto operare il raddoppio dei termini di decadenza in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 1, risultando detto avviso emesso in epoca successiva al 2.9.2015 e antecedente all’I gennaio 2016. Il quadro normativo di riferimento, infatti, avrebbe imposto la presentazione di una denuncia, non potendo nemmeno operare la clausola di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, non contenendo il pvc la contestazione relativa alla commissione di reati fiscali a titolo personale, ma unicamente la realizzazione della condotta di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 quale legale rappresentante della società B..

La censura è infondata.

Ed invero come già chiarito da Cass.n. 17212/2018 in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 (Sez. 6-5, n. 11171 del 30/05/2016).

Peraltro i suddetti termini sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015 (Cass. n. 26037 del 16/12/2016; Cass.n. 16728/2016).

La stessa pronunzia appena ricordata ha aggiunto che con riguardo alla specifica posizione del socio di società a ristretta base sociale il raddoppio dei termini per l’accertamento consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale (Cass. n. 20043 del 07/10/2015).

Ora non può dubitarsi della correttezza della decisione impugnata che, rispetto all’accertamento notificato al B. nel settembre 2015, si riferiva al pvc notificato al medesimo-come ammesso a pag.5 del ricorso dallo stesso ricorrente, in data 18 novembre 2013.

Peraltro, nel caso di specie è stata la stessa CTR ad acclarare che nei confronti del contribuente B., amministratore e socio di società a ristretta base, era pienamente operante il raddoppio, avendo il pvc direttamente contestato al predetto socio l’ipotesi di dichiarazione infedele, puntualmente richiamando Cass.n. 20043/2015, poi ribadita da Cass.n. 17212/2018, cit.

Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato, risultando la sentenza impugnata pienamente conforme ai principi sopra ricordati.

Nulla sulle spese, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 26 febbraio 2020

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