Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5256 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 26/02/2020), n.5256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29409-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

GF SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2273/17/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 12/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha impugnato con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la sentenza resa dalla CTR Campania indicate in epigrafe che, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stato annullato il diniego di sgravio parziale relativo a sanzioni ed interessi dopo che l’ufficio, in sede di autotutela, aveva riconosciuto il credito IVA per l’anno 2008 malgrado l’omessa dichiarazione. Secondo la CTR la questione agitata dall’ufficio circa il persistente obbligo della parte contribuente di corrispondere sanzioni ed interessi malgrado l’annullamento della pretesa fiscale avanzata per la prima volta in sede di appello era da considerare nuova, incorrendo nel divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1.

La parte intimata non si è costituita.

L’Agenzia prospetta con il primo motivo la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 57 comma 1, affermando che la questione relativa alle sanzioni e agli interessi non poteva considerarsi domanda nuova ma mera difesa.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30.

Il primo motivo è fondato e assorbe l’esame del secondo.

Ha infatti errato il giudice di appello nel ritenere nuova la questione relativa all’obbligo del contribuente di corrispondere sanzioni ed interessi in relazione alla mancata presentazione della dichiarazione ove avrebbe dovuto essere indicato il credito IVA riconosciuto poi dall’ufficio.

Tale questione non può infatti considerarsi per la prima volta posta in discussione dall’ufficio in sede di gravame, piuttosto costituendo l’oggetto del ricorso proposto dalla parte contribuente.

Si è già avuto modo di ritenere, infatti, che in tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale: esso, pertanto, non limita affatto la possibilità dell’Amministrazione di difendersi in tale giudizio, nè quella d’impugnare la sentenza che lo conclude, qualora la stessa abbia accolto una domanda avversaria per ragioni diverse da quelle poste dal giudice di primo grado a fondamento della propria decisione – cfr. Cass. n. 21889/2017-.

In questa stessa direzione, del resto, Cass. n. 12467/2019 ha affermato che nel processo tributario d’appello, l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento, in quanto il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice del gravame, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della “causa petendi”, da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessariamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto.

Se, dunque, nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili – cfr. Cass. n. 31224/2017 – risulta palese l’errore nel quale è incorso il giudice di appello, avendo considerato nuova la questione del debito per sanzioni ed interessi che la parte ricorrente aveva essa stessa contestato impugnando il provvedimento di sgravio parziale.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del primo motive di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il primo motive di ricorso, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Campania anche per la liquidazione giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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