Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5255 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. II, 04/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 04/03/2011), n.5255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15399-2005 proposto da:

P.E. (OMISSIS), P.R.

(OMISSIS), P.L. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo studio

dell’avvocato MACRI’ ANGELO FRANCESCO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ROMEO VINCENZO;

– ricorrenti –

contro

PO.RI. (OMISSIS), PO.CA.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G AVEZZANA

6, presso lo studio dell’avvocato LUPIS MARIO, rappresentati e difesi

dall’avvocato LUPIS ANTONELLA;

– controricorrenti –

e contro

PO.GI. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2005 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 18/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato ANGELO FRANCESCO MACRI’ con delega dell’avvocato

VINCENZO ROMEO difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 19-6-1990 P.R., P.L. ed P.E. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Locri Po.Gi. esponendo:

– gli istanti erano comproprietari, in parti uguali e “pro indiviso”, per successione legittima di P.A.nonchè, a seguito di donazione della propria madre R.G., di un fabbricato rurale della superficie di circa mq. 400, composto di un vano a piano terra sito in località (OMISSIS) con relativo terreno circostante; tale immobile era divenuto di proprietà dei danti causa degli attori mediante atto di vendita per notaio Giusti del 25-8-1959 nel quale il venditore Po.

F. si era riservato la facoltà di riscattare quanto alienato decorsi quattro anni dalla stipulazione della vendita;

– il venditore non si era mai avvalso di tale facoltà, cosicchè gli attori avevano sempre esercitato i poteri inerenti al loro diritto di proprietà senza limitazioni o turbative da parte di alcuno;

– tuttavia un erede del proprietario originario, ovvero Po.

G., si trovava in possesso della chiave della porta di ingresso principale del fabbricato pur senza mai essere entrato all’interno dell’immobile;

– poichè il mero possesso della chiave disgiunto da qualsiasi relazione con la cosa non poteva conferire al Po. alcun diritto nè autorizzarlo a compiere molestie nei confronti dei legittimi proprietari e possessori dell’immobile, gli attori chiedevano la condanna del convenuto alla restituzione della suddetta chiave e l’ordine allo stesso di cessare ogni turbativa e molestia.

Si costituiva in giudizio il convenuto contestando il possesso del bene da parte degli attori, posto che l’immobile era rimasto sempre nella disponibilità di Po.Fr. anche dopo la stipula della predetta vendita; aggiungeva che alla morte di quest’ultimo egli era succeduto nel possesso del bene, possesso che aveva sempre esercitato unitamente al passaggio su di una striscia di terreno che consentiva di accedervi; chiedeva quindi il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi il suo acquisto per usucapione del diritto di proprietà sul fabbricato e della servitù di passaggio sulla stradella.

All’udienza del 18-10-1993 intervenivano volontariamente nel processo Po.Ca. e Po.Ri., le quali assumevano che il proprio nonno p.c. con testamento pubblico del 7- 11-1935 aveva istituito eredi universali dei suoi beni i nipoti Ra., c., Ca. Gi. e Po.Ri., figli di Po.Fr.; alla morte del predetto p. c. il figlio Fr., senza mai impugnare il testamento, si era arbitrariamente immesso nel possesso , dei beni lasciati in eredità dal padre ai propri figli, alcuni dei quali erano minorenni;

gli eredi allora avevano esercitato nei suoi confronti l’azione di petizione ereditaria, conclusasi favorevolmente con sentenza definitiva del Tribunale di Locri n, 33/1961; pertanto l’atto di vendita del 25-8-1959 stipulato da Po.Fr. con P.A. e R.G. doveva ritenersi nullo, non essendo egli il proprietario del beni oggetto della vendita, per cui gli attori non potevano considerarsi attuali titolari di tali beni;

esse chiedevano quindi la declaratoria di nullità del contratto suddetto ed il riconoscimento del loro diritto di proprietà sui beni medesimi; chiedevano inoltre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi.

Il Tribunale adito con sentenza del 19-10-1995 rigettava la domanda proposta dalle predette interventrici nei riguardi degli attori, dichiarati proprietari del fabbricato per cui è causa, e condannava Po.Gi. alla consegna ai P. della chiave dell’immobile nonchè alla cessazione di ogni molestia al possesso di esso.

Avverso tale decisione proponevano separati appelli da un lato Po.Gi. e dall’altro Ca. e Po.Ri.;

R., L. ed P.E. resistevano ad entrambi i gravami.

La Corte di Appello di Reggio Calabria con sentenza del 18-1-2005 ha rigettato le domande proposte dai P. nei confronti di Po.Gi. ed ha dichiarato Po.Ca. e Ri.

comproprietarie, nei limiti delle loro quote ereditarie, quali successori di p.c., del fabbricato e del terreno per cui è causa.

Per la cassazione di tale sentenza P.R., P.L. ed P.E. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui P.C. e P.R. hanno resistito con controricorso depositando successivamente una memoria;

Po.Gi. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell’art. 534 c.c., commi 2 e 3 in relazione agli artt. 2648 e 2729 c.c. nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che la vendita del 25-8-1959 non era idonea a trasferire agli acquirenti la proprietà dell’immobile per cui è causa in quanto il venditore Po.Fr. non era successore del proprietario p.c. che con testamento pubblico del 7-11-1935 aveva istituito eredi universali i nipoti, tanto che con sentenza del Tribunale di Locri del 1962 era stata accolta la domanda di petizione ereditaria proposta da Po.

R., c. e Ca. nei confronti del loro genitore Po.Fr. che alla morte del padre, avvenuta nel (OMISSIS), senza impugnare il testamento, si era immesso nel possesso dei beni lasciati ai propri figli.

I ricorrenti rilevano che, essendo stato pubblicato il suddetto testamento solo il (OMISSIS), ovvero in epoca successiva alla vendita, evidentemente Po.Fr. non avrebbe potuto impugnare il testamento stesso di cui non si conosceva l’esistenza all’epoca di apertura della successione, cioè nel (OMISSIS); essi poi aggiungono che i loro danti causa avevano acquistato l’immobile in questione con atto regolarmente registrato e trascritto dall’unico figlio del “de cuius” che si era immesso nel possesso dei beni ereditari disponendone “uti dominus” in base alla successione legittima, registrata il 27-2-1952 e trascritta nei registri immobiliari il 17-4-1952, che lo vedeva unico erede legittimo di p.c., cosicchè non poteva dubitarsi della buona fede con la quale i propri danti causa avevano acquistato il bene dall’erede apparente.

I ricorrenti quindi assumono erroneo il diverso convincimento espresso dal giudice di appello in ordine al fatto che gli esponenti non avevano provato la buona fede degli acquirenti; neppure poteva ritenersi fondata l’ulteriore argomentazione della Corte territoriale secondo cui non risultava che Po.Fr. avesse trascritto la propria accettazione dell’eredità, non potendo ritenersi equipollente la denuncia di successione, avente finalità fiscali, considerato che quest’ultimo si era immesso nel possesso dei beni ereditari gestendoli “uti dominus” (fatto che, tenuto conto che il Po. era l’unico erede legittimo, costituiva accettazione tacita dell’eredità), e che, atteso che il suddetto testamento era stato rinvenuto e pubblicato soltanto nel (OMISSIS), la denuncia di successione di cui Po.Fr. aveva curato la registrazione e la trascrizione integrava una accettazione tacita dell’eredità.

La censura è fondata.

La Corte territoriale ha ritenuto che il contratto di compravendita con patto di riscatto stipulato da Po.Fr. il 25-8- 1959 non fosse titolo idoneo a trasferire agli acquirenti P. A. e R.G., danti causa degli appellati, la proprietà dell’immobile per cui è causa, non essendo il suddetto venditore successore del proprietario, ovvero p.c., il quale con testamento pubblico del (OMISSIS) aveva istituito eredi i nipoti, figli di Fr., ovvero Ra., c. e Po.Ca., nonchè Gi. e Po.Ri., come riconosciuto dalla sentenza del Tribunale di Locri del 5-7-1951 passata in giudicato, che aveva accolto la domanda di petizione ereditaria proposta da Ra., c. e Po.Ca.

nei confronti di Po.Fr. che, alla morte del padre, avvenuta il (OMISSIS), senza impugnare il testamento, si era arbitrariamente immesso nel possesso dei beni lasciati ai propri figli, all’epoca minorenni.

Il giudice di appello inoltre ha rilevato che la domanda spiegata dalle interventrici C. e P.R. era opponibile agli appellati in quanto non solo era necessario provare la buona fede degli acquirenti P.A. e R.G. (il cui onere incombeva si costoro), ma anche perchè, trattandosi di beni immobili, occorreva che l’erede apparente avesse trascritto il proprio acquisto a titolo di erede, ovvero la sua accettazione dell’eredità, e che l’acquisto del P. e della R. fosse stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale esperita contro l’erede apparente; in proposito la sentenza impugnata ha concluso che, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, non risultava che P.F. avesse trascritto la propria accettazione dell’eredità, non potendosi a tal fine ritenere equipollente la denuncia di successione, avente finalità fiscali.

Orbene sotto un primo profilo, attinente al requisito della buona fede, la cui sussistenza è necessaria ai fini della salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso contratta con l’erede apparente ai sensi dell’art. 534 c.c., comma 2 ed il cui onere probatorio è a carico dello stesso terzo, si rileva che la Corte territoriale non ha sostanzialmente esaminato gli elementi di fatto in proposito acquisiti (in particolare il possesso dell’immobile per cui è causa da parte di Po.Fr.

all’epoca dell’acquisto del bene da parte di P.A. e R.G., a distanza di otto anni dall’apertura della successione) e non si è pronunciata al riguardo su tale decisivo punto della controversia, concernente l’idoneità del comportamento dell’alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonchè l’esistenza di circostanze indicative dell’ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell’acquisto.

Deve inoltre osservarsi, quanto alla questione della anteriorità o meno della trascrizione dell’acquisto del fabbricato per cui è causa da parte di P.A. e R.G. dall’erede apparente, ovvero da Po.Fr., rispetto alla trascrizione della domanda giudiziale di petizione ereditaria introdotta da Ca. e Po.Ri. nei confronti dell’erede apparente (ulteriore requisito, quest’ultimo, necessario per la salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso con l’erede apparente, allorchè si verta, come nella specie, in tema di acquisto di un bene immobile), che il giudice di appello, pur avendo evidenziato la rilevanza di tale aspetto della controversia, non ha proceduto in proposito ad alcun accertamento in concreto, ritenendo evidentemente assorbente la mancata trascrizione da parte di Po.Fr. della propria accettazione dell’eredità paterna; peraltro sul punto deve osservarsi che la sentenza impugnata non ha esaminato a tal fine la circostanza, dedotta dai ricorrenti e non contestata dalle controricorrenti, che Po.Fr. aveva proceduto, oltre che alla denuncia della successione paterna, anche alla trascrizione della denuncia stessa nei Registri Immobiliari in data 17-4-1952, e che inoltre la configurabilità o meno di una accettazione tacita dell’eredità stessa avrebbe dovuto essere verificata alla luce del fatto già evidenziato che il Po. si era immesso nel possesso dei beni ereditari dall’epoca di apertura della successione.

Pertanto le evidenziate carenze dell”iter”argomentativo seguito dalla Corte territoriale impongono un nuovo esame di tali profili della controversia in sede di rinvio.

Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 2652 c.c., n. 6 e n. 7 e vizio di motivazione, assumono che il giudice di appello, nel ritenere inopponibile agli eredi testamentari l’atto di vendita del 25-8-1959 stipulato dai danti causa degli esponenti con Po.Fr., non ha tenuto conto del fatto che la domanda delle interventrici era stata proposta solo con l’atto di intervento del 18-10-1993; invero ai sensi dell’art. 2652 n. 6 c.c. non potevano essere pregiudicati i diritti degli odierni ricorrenti – terzi di buona fede – il cui titolo era stato trascritto anteriormente alla domanda di nullità che era stata proposta ben oltre cinque anni dopo la trascrizione dell’atto che si assumeva nullo; nello stesso senso era stato trascurato che la domanda con la quale era stato contestato il fondamento dell’acquisto di Po.

F. era basata sul successivo rinvenimento di un testamento registrato soltanto in data 14-11-1959, e che quindi tale domanda era stata proposta ben oltre cinque anni dopo la trascrizione, avvenuta il 17-4-1952, della denuncia di successione presentata da Po.

F. il 25-2-1952.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 1158 e 1159 c.c. e vizio di motivazione, assumono che la sentenza impugnata ha erroneamente omesso di esaminare l’eccezione di usucapione dell’immobile per cui è causa proposta dagli esponenti nel giudizio di primo grado e richiamata anche negli scritti difensivi della fase di gravame.

Entrambe le enunciate censure restano assorbite all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, a la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Messina.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Messina.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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