Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5250 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 26/02/2020), n.5250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29899-2014 proposto da:

V.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati CINZIA BURAGLIA, NICOLA

STANISCIA, MAURO LONGO, GINA TRALICCI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1253/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/12/2013 R.G.N. 3413/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 1253/2013, dichiarava inammissibile l’appello proposto da V.A., in qualità di erede di R.R., avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva dichiarato l’inammissibilità, per difetto di valida procura alle liti, del ricorso dalla stessa proposto nella suddetta qualità, volto ad ottenere la condanna dell’Inps al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici erogati in ritardo in favore del de cuius.

1.1. L’appellante aveva eccepito la violazione dell’art. 83 c.p.c. e art. 2697 c.c. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la nullità della procura apposta a margine del ricorso di primo grado, nonostante la presunzione di rilascio del mandato al difensore nel territorio dello Stato italiano ed essendo insufficiente, per superare tale presunzione, la mancata risposta all’interrogatorio formale, che poteva essere valutato dal giudice solo unitamente ad altri elementi probatori, elementi che spettava all’Inps fornire in giudizio.

1.2. Nel rigettare tale eccezione, la Corte di appello condivideva la soluzione del giudice di primo grado aggiungendo che l’appellante era altresì rimasta inottemperante all’ordinanza della stessa Corte che, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., aveva disposto l’esibizione del suo passaporto per verificare se, in epoca compatibile con il rilascio del mandato al difensore, la stessa avesse soggiornato in Italia. Poichè all’udienza fissata per tale esibizione il procuratore dell’appellante aveva chiesto un mero rinvio non adducendo alcuna spiegazione della mancata esibizione, doveva ritenersi anche per tale motivo avvalorata alla soluzione del giudice di primo grado.

1.3. Richiamava i precedenti della stessa Corte secondo cui il potere del difensore di autenticare la sottoscrizione non si estende oltre i limiti del territorio nazionale, per questo la firma della parte apposta in calce alla procura alle liti rilasciata all’estero non può essere autenticata dal difensore italiano della medesima parte, ma solo da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero ad attribuirle pubblica fede.

1.4. Pur tenuto conto dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui, ove il mandato ad litem venga apposto in calce o a margine dell’atto e la sottoscrizione sia autenticata dal difensore può presumersi il conferimento di tale procura in Italia anche nel caso in cui manchi – come nella specie – l’indicazione del luogo di rilascio di essa, tuttavia alla luce delle convergenti risultanze istruttorie, doveva ritenersi che la ricorrente non si fosse recata in Italia a conferire la procura alle liti e che di conseguenza la procura fosse stata rilasciata all’estero e che fosse priva dei requisiti formali occorrenti per ritenerne la validità.

1.5. La Corte di appello osservava che, secondo costante orientamento, ben può il giudice di merito ai sensi art. 232 c.p.c. fondare sui proprio convincimento sulla mancata risposta all’interrogatorio formale tempestivamente deferito, volto a dimostrare che il rilascio del mandato è avvenuto all’estero ove i dati emersi, analizzati non solo analiticamente ma nella loro convergenza globale, forniscano un adeguato riscontro al significativo comportamento della parte, sì da far ritenere superata la presunzione di cui sopra.

2. Il ricorso proposto da V.A. è affidato ad un unico motivo. Ha resistito l’Inps con controricorso.

3. Ha fatto seguito memoria difensiva di parte ricorrente ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. n. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197), con cui si evidenzia l’esistenza di un contrasto nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte e si chiede che sia rimessa alle sezioni unite la soluzione della questione se, in caso di difetto di legitimatio ad processum, il giudice anche in sede di legittimità ne debba disporre la sanatoria a prescindere dall’esistenza di una esplicita richiesta nei precedenti gradi di giudizio. Inoltre, si chiede che le sezioni unite si pronuncino anche sull’applicazione dell’art. 182 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 anche a giudizi instaurati prima ma pendenti all’atto della sua entrata in vigore.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 182 c.p.c. siccome novellato, il quale prevede che sussiste un obbligo del giudice di invitare le parti alla regolarizzazione del mandato alle liti ritenuto nullo ovvero il giudice istruttore deve fissare alla parte un termine perentorio per il rilascio della procura, permettendo per tale via la sanatoria del vizio sin dal momento dell’instaurazione del rapporto processuale. Viene citata la sentenza Cass. 20459 del 2013.

E’ allegata al ricorso una procura speciale alle liti rilasciata in data 15 dicembre 2014, con sottoscrizione autenticata dal funzionario del Consolato Generale d’Italia a Buenos Aires, delegato alle funzioni notarili dal Console, e si sostiene che con essa si è ratificato il mandato conferito per il giudizio di appello e per il giudizio di primo grado precedenti.

Si deduce inoltre la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. laddove la Corte d’appello ha ritenuto di porre a fondamento del superamento della presunzione di rilascio in Italia del mandato alle liti la circostanza del mancato deposito del passaporto e della mancata risposta all’interpello, ribadendosi che l’orientamento giurisprudenziale della presunzione del rilascio del mandato in Italia opera indipendentemente dall’indicazione del luogo del rilascio e del fatto che la parte conferente sia residente all’estero.

Quanto alla mancata risposta all’interpello si denuncia l’illegittima inversione dell’onere della prova, in quanto la sola mancata risposta non può automaticamente ricollegarsi ad una confessione ma occorre che la stessa sia suffragata da altri elementi di prova.

Infine, si assume l’illegittimità della sentenza laddove ha considerato determinante la mancata produzione del passaporto, posto che l’Inps non aveva chiesto tale produzione in primo grado ma soprattutto nulla attesterebbe tale documento in ordine ai viaggi della ricorrente, in quanto trattandosi di cittadina argentina sul passaporto non vengono apposti i visti di ingresso in caso di soggiorno di durata massima non superiore a novanta giorni.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Rileva il Collegio che – quanto al dovere del giudice di promuovere la sanatoria della nullità della procura alle liti ai sensi dell’art. 182 c.p.c., nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009 e con riferimento a giudizi instaurati prima della sua entrata in vigore – l’affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio, assegnando un termine alla parte, che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa con effetti ex tunc e senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (cfr. Cass. Sez. U. n. 9217 del 2010), va inteso, nel senso che il principio della sanabilità della nullità non si estende anche al caso, diverso rispetto a quello esaminato dalle sezioni unite, del vizio della procura alle liti.

2.2. Si è chiarito infatti che il nuovo testo dell’art. 182 c.p.c., comma 2, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, che prevede tale obbligo per il giudice che rilevi la nullità della procura, non si applica retroattivamente poichè la norma non ha portata meramente interpretativa stante il suo tenore testuale fortemente innovativo (cfr. da ultimo Cass. 29/03/2019 n. 8933).

2.3. Già con sentenza n. 21811 del 2006 si precisò che il problema della validità della procura alla lite, sotto il profilo dello jus postulandi del procuratore (al quale si riferisce la disciplina dell’art. 125 c.p.c.), dovesse essere tenuto distinto da quello della capacità processuale, regolato invece dall’art. 182 c.p.c.. Il difetto di legittimazione processuale può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator e cioè del soggetto privo della capacità processuale di proporre la domanda.

2.4. Successivamente le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 13431 del 2014, affermarono che gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza potevano essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) e che tale principio non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’art. 125 c.p.c. il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto, purchè anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l’atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica.

2.5. Si tratta di principi più volte affermati anche da questa Sezione (cfr. Cass. n. 30245 del 2017 e 21666 del 2018) e da altre Sezioni della Corte (tra le varie Cass. n. 26465 del 2011 e nn. 21753 e 21754 del 2013) ai quali il Collegio intende dare continuità.

2.6. Va ribadito che la regola introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2 non costituisce uno strumento idoneo a scardinare il sistema processuale imponendo ingiustificabili regressioni nello sviluppo della dinamica del processo. Al contrario, essa impone una positiva collaborazione fra i soggetti del processo stesso in un’ottica antiformalistica della casistica di cui la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte si è fatta interprete in tema di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi, ispirandosi all’art. 6 p. 1 della Convenzione EDU, che tutela il “diritto a un tribunale” (cfr. recentemente Cass. Sez. U. n. 26338/2017 e Cass. n. 30245 del 2017 già citata).

3. Alla luce di quanto esposto, non sussistono i presupposti per un nuovo invio alle sezioni unite della questione relativa all’interpretazione dell’art. 182 c.p.c. come sollecitata dal ricorrente rammentando che nel caso in esame non trova applicazione la disposizione novellata atteso che il ricorso di primo grado è stato depositato il 7 aprile 2009, per cui non trova applicazione il testo novellato dell’art. 182 c.p.c. che è applicabile solo ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (art. 58) ossia dopo il 4 luglio 2009.

4. Nè l’originaria inesistenza della procura è sanata dal mandato depositato con il ricorso in cassazione, valendo le considerazioni sopra esposte. Si tratta di mandato che, all’evidenza, è stato rilasciato addirittura dopo la sentenza di appello in occasione del conferimento della procura per il giudizio di cassazione.

5. Quanto alla possibilità per il giudice di merito di disporre d’ufficio accertamenti istruttori per la verifica della valida instaurazione del rapporto processuale, questa Corte si è già pronunciata affermando che nelle controversie in materia di lavoro, il giudice può disporre d’ufficio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., comma 2, l’ammissione di mezzi istruttori in ordine al luogo di rilascio della procura alle liti, in quanto presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale, quali la richiesta di produzione dei titoli di viaggio attestanti la presenza in Italia del mandante e l’interrogatorio formale della stessa parte, in modo da ritenere all’esito la sussistenza di elementi di giudizio integrativi idonei a concludere che sia stata acquisita la prova contraria al rilascio nel territorio dello stato di detta procura (Cass. n. 12068 del 2015).

6. Per quel che concerne il ragionamento seguito dalla Corte territoriale in ordine al superamento della presunzione del rilascio della procura alle liti in Italia (residenza all’estero, mancata comparizione all’interrogatorio formale, mancata esibizione passaporto o documenti di viaggio per dimostrare la sua presenza in Italia al tempo del conferimento del mandato), si osserva che lo stesso è sorretto da adeguata motivazione ed è esente da vizi di ordine logico – giuridico, per cui sfugge all’apodittica censura di malgoverno del potere di riparto dell’onere della prova.

6.1. In fattispecie sovrapponibili a quella ora all’esame questa Corte ha affermato (Cass. n. 13482 del 2016; conf. Cass. n. 26828 del 2018) che, in caso di mandante residente all’estero, la prova contraria, idonea a superare la presunzione di rilascio della procura ad litem in Italia, può essere desunta da vari elementi (quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della parte in un paese non della Comunità Europea o la mancata dimostrazione di un suo ingresso in Italia), nonchè dal comportamento processuale della parte e, in particolare, dalla mancata risposta all’interrogatorio formale deferito dalla controparte sulla circostanza del luogo in cui la procura venne sottoscritta, cui il giudice, secondo la sua prudente valutazione, può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti.

6.2. Anche nel caso ora all’esame la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica residenza della ricorrente in un paese non facente parte della Comunità Europea, la mancanza di dimostrazione di un suo ingresso in Italia, eventualmente attraverso l’esibizione del passaporto o di documenti di viaggio, nonchè il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitogli. In proposito deve rilevarsi che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’interrogatorio formale era stato deferito sulla circostanza relativa al luogo del rilascio della procura a margine del ricorso: la mancata risposta rappresenta pertanto un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, secondo la sua prudente valutazione (Cass. 13 novembre 1997, n. 11233; Cass., 12 dicembre 2005, n. 27320).

7. Poichè il giudizio di primo grado è stato introdotto nell’anno 2009, dunque successivamente alla riforma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., disposta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le spese del giudizio seguono la soccombenza, non avendo la parte ricorrente dichiarato di aver assolto in primo grado l’onere autocertificativo previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c..

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna I…ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 1.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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