Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5250 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5250 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

ORDINANZA
sul ricorso 1702-2017 proposto da:
COMUNE DI CAPACCIO PAESTUM, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato EMILIO GRIMALDI;
– ricorrente contro

CARIDEI ROBERTA,
EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE SPA 13756881002;
– intimati —

avverso la sentenza n. 7270/2016 del TRIBUNALE di NAPOLI,
depositata il 10/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 21/12/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO
COSENTINO.

Data pubblicazione: 06/03/2018

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Il Comune di Capaccio di Paestum chiede la cassazione della
statuizione di compensazione delle spese di lite adottata dal
tribunale di Napoli nella sentenza con cui è stata dichiara la rinuncia
della sig.ra Roberta Caridei all’appello dalla stessa proposto avverso

opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c.
avanzata dalla medesima Caridei in relazione ad una cartella
esattoriale emessa per la riscossione di un credito
dell’amministrazione municipale.
Con il primo mezzo il Comune ricorrente denuncia la violazione
degli articoli 92 e 93 c.p.c..
Il mezzo è fondato e va accolto.
Nella sentenza gravata la “rinuncia all’appello” dichiarata in
udienza dal procuratore dell’appellante viene qualificata
espressamene come “rinuncia all’azione” e non come rinuncia agli
atti del giudizio di appello. Sulla scorta di tale qualificazione, che
compete al giudice di merito, il tribunale napoletano ha ritenuto
(implicitamente) che non fosse necessario l’accettazione della
rinuncia da parte dell’appellato, nonché (esplicitamente) che la
rinuncia stessa determinasse il passaggio in giudicato della sentenza
appellata e la cessazione della materia del contendere.
Il ragionamento sviluppato dal tribunale è conforme alla
giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 20191/11, in motivazione:
«Questa Corte ha ritenuto, con giurisprudenza costante, che la
rinuncia agli atti del giudizio – ammissibile anche in appello ex artt.
359 e 306 c.p.c. – va tenuta distinta dalla rinuncia all’azione (o
rinuncia all’impugnazione se interviene dopo il giudizio di primo
grado) la quale è rinunzia di merito ed è immediatamente efficace
anche senza l’accettazione della controparte determinando il venir
meno del potere-dovere del giudice di pronunziare (cfr. ex
plurimis Cass. n. 18255/2004, Cass. n. 8387/99, Cass. n. 2268/99).
Questa Corte aveva, del resto, già precisato che la rinuncia
Ric. 2017 n. 01702 sez. M2 – ud. 21-12-2017
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la sentenza del giudice di pace di Capaccio che aveva rigettato l’

all’impugnazione di pone in perfetto parallelismo con la rinuncia
all’azione nel giudizio di primo grado e determina, come la rinuncia
agli atti del giudizio di appello, il passaggio in giudicato della
sentenza di primo grado; l’identità degli effetti, tuttavia, non
comporta la piena corrispondenza dei due istituti poiché, mentre la
rinuncia agli atti del giudizio di appello è efficace od in quanto

all’impugnazione fa venir meno il potere-dovere del giudice di
pronunciare con efficacia immediata, senza bisogno di accettazione
(Cass. n. 5556/95; vedi anche Cass. n. 4499/96, secondo cui la
rinuncia all’impugnazione provoca il passaggio in giudicato della
sentenza impugnata, determinando la cessazione della materia del
contendere sull’oggetto del gravame indipendentemente
dall’accettazione della controparte).»
In sostanza, non soltanto la rinuncia all’impugnazione, ma
anche la rinuncia agli atti del giudizio di impugnazione (a cui
consegue l’estinzione di tale giudizio), determina, per il disposto
dell’articolo 338 c.p.c., il passaggio in giudicato della sentenza
impugnata.
Il tribunale partenopeo è tuttavia incorso in errore là dove non
ha colto che nel giudizio di appello la menzionata identità dell’ effetto
(il passaggio in giudicato della sentenza impugnata) tra la rinuncia
all’impugnazione e la rinuncia agli atti del giudizio di impugnazione
implica che, nonostante le differenze tra i due istituti (in primis, il
diverso rilievo che nei medesimi va assegnato all’accettazione
dell’appellato), ad entrambi deve applicarsi la regola dettata
dall’ultimo comma dell’articolo 306 c.p.c., per la quale “il rinunciante
deve rimborsare le spese alle altre parti”; tale regola, che costituisce
immediata applicazione del principio generale di causalità nella
regolazione delle spese processuali, attribuisce al giudice la sola
funzione di liquidazione delle spese, con esclusione di qualunque
potere di individuazione della parte soccombente e di qualunque
potere di totale o parziale compensazione (cfr. Cass. 21707/06:
«L’art. 306, quarto Gomma, secondo periodo, c.p.c. attribuisce al
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accettata o in quanto non richieda accettazione, la rinuncia

giudice – in conseguenza della dichiarazione di estinzione del giudizio
a seguito di rituale rinuncia agli atti dello stesso ed in deroga alla
previsione contenuta nell’art. 91, primo comma, del medesimo
codice di rito – la sola funzione di “liquidazione” delle spese, non
anche quella, che è prevista dal primo periodo della stessa
disposizione normativa, che contempla la “condanna” al rimborso

soccombente e alla quale farne carico, e neppure gli attribuisce le
distinte funzioni previste nel primo e nel secondo comma dell’art. 92
cod. proc. civ., che regolamentano la facoltà, rispettivamente, di
ridurre o compensare le spese con valutazione discrezionale
dell’utilità delle stesse e del livello della responsabilità del
soccombente nel promuovere il giudizio o nel resistervi»).
Con il secondo mezzo il Comune ricorrente denuncia, con
riferimento all’articolo 112 c.p.c., l’omessa pronuncia del tribunale
napoletano sulla sua domanda di condanna della sig.ra Caridei al
risarcimento dei danni da lite temeraria, nonché la violazione dell’
articolo 96 c.p.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa
omettendo di riconoscere la temerarietà della lite introdotta e
coltivata in appello dalla suddetta sig.ra Caridei.
La violazione dell’articolo 112 c.p.c. non sussiste, perché il
tribunale ha implicitamente rigettato la domanda di risarcimento dei
danno da lite temeraria, essendo la valutazione del comportamento
dell’appellante come idoneo a giustificare la compensazione delle
spese di lite evidentemente incompatibile con un giudizio di
temerarietà della lite.
La violazione dell’articolo 96 nemmeno sussiste perché, in
materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della
condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti
costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa
grave, ovvero in difetto della normale prudenza, implica un
apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima

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delle spese, ovvero che individua la parte da considerare

dell’11.9.2012 – il controllo di sufficienza della motivazione (cfr.
Cass. 19298/16).
In definitiva il ricorso va accolto con riferimento al primo mezzo,
rigettato il secondo, e la sentenza impugnata va quindi cassata in
relazione al mezzo accolto, con rinvio alla corte di appello di Napoli.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo,
cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia ad
altra sezione del tribunale di Napoli, che provvederà anche a
regolare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

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