Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5247 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5247 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

ORDINANZA
sul ricorso 1630-2017 proposto da:
BILLECI MARIA GRAZIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
OVIDIO 26, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA LUCCHESI,
rappresentata e difesa dall’avvocato FILIPPO TORTORICI;
– ricorrente contro

FANALE PIETRO, FANALE FRANCESCA, FANALE MARIA GRAZIA,
FANALE SALVATORE, FANALE ANTONINO, elettivamente domiciliati
in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio
dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO, che li rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LUIGI SCIARRINO;
– controricorrenti contro

BILLECI FRANCESCA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1967/2016 della CORTE D’APPELLO di
PALERMO, depositata il 26/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 21/12/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO
COSENTINO.

Data pubblicazione: 06/03/2018

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Maria Grazia Billeci, erede del padre Salvatore Billeci, chiede
la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Palermo,
pronunciandosi in sede di rinvio dalla Cassazione, ha rigettato la
domanda giudiziale con cui Salvatore Billeci aveva chiesto di essere

compendio immobiliare che aveva formato oggetto di un atto di
trasferimento da parte della signora Caterina Russo (sorella di
Giuseppa Russo, madre del medesimo Salvatore Billeci) ai di lei
pronipoti Antonino, Pietro, Maria Grazia, Francesca e Salvatore
Fanale, odierni contro ricorrenti.
La corte distrettuale ha ritenuto che Salvatore Billeci – il quale
deduceva di aver acquistato la suddetta quota di comproprietà del
compendio in questione per successione alla madre Giuseppa Russo,
a propria volta succeduta alla signora Francesca Di Maggio (deceduta
nel 1921 e madre delle sorelle Caterina e Giuseppa Russo) – non
avesse assolto all’onere di provare che la sua madre e dante causa,
Giuseppa Russo, avesse acquistato la qualità di erede della di lei
madre Francesca Di Maggio. In proposito, nella sentenza qui
gravata si argomenta che la sentenza di questa Corte n. 15698/13
aveva stabilito che la sola operatività delle norme sulla successione
legittima non era sufficiente per attribuire a Giuseppa Russo la
qualità di erede della propria madre e che, pertanto, in sede di rinvio
si sarebbe dovuto verificare se Salvatore Billeci avesse
giudizialmente offerto la prova (non integrata dalle indicazioni
ricavabili dalla dichiarazione di successione, essendo quest’ultima
destinata a finalità esclusivamente fiscali) che la suddetta Giuseppa
Russo avesse espressamente o tacitamente accettato l’eredità
devolutale da sua madre, o dovesse considerarsi accettante ex lege
per essere stata nel possesso dei beni ereditari senza redigerne
tempestivamente l’inventario. Detta prova, secondo la sentenza qui
gravata, non era stata offerta da Salvatore Billeci .

Ric. 2017 n. 01630 sez. M2 – ud. 21-12-2017
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dichiarato comproprietario, per la quota di un diciottesimo, di un

L’unico motivo di ricorso, riferito alla dedotta violazione degli
articoli 384 e 116 c.p.c., nonché al vizio di “omessa insufficiente
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia”, non può trovare accoglimento.

Non sussiste la dedotta violazione dell’articolo 384 c.p.c.,
perché la corte palermitana, in scrupolosa osservanza di tale

sentenza di questa Corte n. 15698/13, secondo cui la semplice
delazione che segue l’apertura della successione, pur
rappresentandone un presupposto, non è di per sé sufficiente per
l’acquisto della qualità di erede, ma diventa operativa soltanto se il
chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una
dichiarazione di volontà

(aditio),

oppure in dipendenza di un

comportamento obiettivamente acquiescente

(pro herede gestio),

laddove, in ipotesi di chiamato che sia nel possesso dei beni,
l’accettazione ex lege

dell’eredità è determinata dall’apertura della

successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla
mancata tempestiva redazione dell’inventario.
Neppure sussiste la dedotta violazione dell’articolo 116 c.p.c.,
giacché, secondo il costante insegnamento di questa corte (sentt.
nn. 14267/06, 24434/16), in tema di valutazione delle risultanze
probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in
sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di
cui all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. e deve emergere
direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli
atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
Inammissibile, infine, è la censura di “omessa insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia”, non essendo la stessa conforme al paradigma di cui

all’articolo 360, primo comma, n. 5), c.p.c. nel testo – applicabile nel
presente giudizio in ragione della data di deposito della sentenza
impugnata – risultante dalle modifiche recate dal decreto legge n.
83/12, convertito con la legge n. 143/12. Il motivo si risolve, infatti,
Ric. 2017 n. 01630 sez. M2 – ud. 21-12-2017
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disposizione, si è attenuta al principio di diritto richiamato nella

in una doglianza relativa alla mancata considerazione di circostanze
oggetto di una prova per testi non ammessa in primo grado che il
ricorrente non trascrive nel ricorso e non deduce essere stata
riproposta in grado di appello, nonché in una doglianza relativa alla
mancata considerazione delle risultanze, palesemente prive di
decisività, di due «copie fotostatiche di ricevute attestanti il consumo

intestate a Billeci Pietro, coniuge di Russo Giuseppa e genitore di
Billeci Salvatore».
Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo
unificato ex art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02.

PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del
giudizio di cassazione, che liquida in C 7.300, oltre C 200 per esborsi
ed oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/02, si dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma il 21 dicembre 2017

di energia elettrica per l’immobile di piazza Umberto I n. 20,

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