Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5246 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 25/02/2021), n.5246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4722/2017 proposto da:

CONSERFRUTTA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ADDA 111, presso lo

studio dell’avvocato GERMANA HOBER, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA ROSATO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ESTER ADA SCIPLINO, EMANUELE

DE ROSE, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2951/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/01/2017 R.G.N. 1207/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del giudice di primo grado di rigetto dell’opposizione ad intimazione di pagamento, fondata su cartella esattoriale notificata il 28 gennaio 2002, già opposta in precedente giudizio conclusosi con la sentenza n. 2988/2003 che, accertata l’insussistenza di gran parte del credito in essa portato, aveva riconosciuto il solo debito contributivo relativo al 1997.

2. La Corte territoriale ha fondato la decisione sul rilievo che la sentenza passata in giudicato, pur non disponendo l’esecutorietà della cartella, assumerebbe comunque la funzione di accertare l’esistenza del diritto di credito fatto valere dall’Inps con la medesima cartella, come dimostrato dal fatto che in seguito alla pronuncia di rigetto dell’opposizione non si rende necessaria alcuna ulteriore attività di quantificazione del credito vantato dall’Istituto. Conseguentemente il titolo della pretesa contributiva non è l’atto amministrativo (la cartella) ma la sentenza, evento questo che determina l’assoggettamento della riscossione del credito previdenziale al termine decennale di cui all’art. 2953 c.c., relativo all’actio iudicati.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Conserfrutta s.r.l. con unico articolato motivo.

Equitalia s.p.a. ed Inps resistono con controricorso.

La sesta sezione ha rimesso la causa all’udienza pubblica con ordinanza interlocutoria n. 5464 del 2019 ravvisando la necessità di approfondire il tema della possibile estensione del disposto dell’art. 2953 c.c. alla fattispecie oggetto di causa. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con unico motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2953 c.c., in materia di prescrizione dei contributi previdenziali ex Lege n. 335 del 1995, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Osserva che la Corte d’appello si è discostata da quanto statuito sul punto da Cass. SS.UU. n. 23397/2016. Rileva che solo la sentenza irrevocabile di condanna conferisce un importante elemento di novità rappresentato da comando giuridico, in forza del quale ciò che era dovuto in base alla legge sostanziale propria della fattispecie originaria può essere preteso per effetto di tale comando con applicazione del termine di prescrizione decennale. Tale non è la sentenza che contiene solo una statuizione dichiarativa, costitutiva del diritto dell’Inps alla riscossione dei contributi iscritti a ruolo ma non la condanna al pagamento delle corrispondenti somme e soggiunge che la disciplina della prescrizione è di stretta interpretazione ed insuscettibile di interpretazione analogica.

5. Il motivo è infondato.

Questa Corte di cassazione, in materia di inquadramento sistematico del procedimento di opposizione a cartella di pagamento previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, ha ormai consolidato il proprio orientamento secondo il quale ha natura di opposizione all’esecuzione l’azione proposta contro l’iscrizione a ruolo e prima d’una intimazione ad adempiere (v. Cass. nn. 29294 e 22292 del 2019) e che, a sua volta, l’opposizione all’esecuzione altro non è che un tipo di azione di accertamento negativo del credito (cfr., fra le tante, Cass. n. 12239 del 2007).

6. Se dunque l’opposizione dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione sui diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio, la ritenuta illegittimità del procedimento d’iscrizione a ruolo non esime il giudice dall’accertamento, nel merito, della fondatezza dell’obbligo di pagamento dei premi e/o contributi (v., da ultimo, Cass. n. 12025 del 2019 e i precedenti ivi richiamati) giacchè ricorrono gli stessi principi che governano il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, per il quale si è ritenuto (v., per tutte, Cass. n. 12311 del 1997) che l’opposizione dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633,644 c.p.c. e segg.), si svolge nel contraddittorio delle parti secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.) sicchè il giudice dell’opposizione è investito del potere-dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo emesso in assenza delle condizioni di legge.

7. In conclusione, e dando continuità alla costante giurisprudenza di questa Corte, l’opposizione contro la cartella esattoriale di pagamento emessa per la riscossione di contributi previdenziali dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti al rapporto contributivo, con la conseguenza che, per essere oggetto del giudizio l’obbligazione contributiva, nell’an e nel quantum, l’ente previdenziale convenuto può limitarsi a chiedere il rigetto dell’opposizione o chiedere anche la condanna dell’opponente al pagamento del credito di cui alla cartella, in quest’ultimo caso senza che ne risulti mutata la domanda (v., per tutte, Cass. n. 3486 del 2016 e successive conformi), così come se all’esito del giudizio di opposizione il credito contributivo accertato risulti in misura inferiore a quella azionata dall’istituto, il giudice dovrà non già accogliere sic et simpliciter l’opposizione, ma condannare l’opponente a pagare la minor somma.

8. Nel caso di specie, dunque, il giudicato formatosi sulla sentenza che definì il giudizio di opposizione alla cartella notificata il 28 gennaio 2002, ad onta della portata letterale del suo dispositivo che contiene la sola declaratoria dell’obbligo di pagare la contribuzione pretesa per l’anno 1997, non può ritenersi giudicato di mero accertamento. Ciò in quanto gli effetti del parziale accoglimento dell’opposizione a cartella sono inevitabilmente quelli di una rideterminazione del credito previdenziale con sostituzione, quale nuovo titolo della pretesa dell’Istituto, della medesima sentenza alla originaria cartella.

9. Il parallelismo con la disciplina prevista dal codice di rito per il giudizio monitorio, peraltro, comporta che anche se risulta omessa la specificazione di tale effetto sostitutivo da parte della sentenza che ha definito l’opposizione a cartella, ciò resta del tutto irrilevante atteso che, a norma dell’art. 653 c.p.c., comma 2, se l’opposizione è accolta solo in parte il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza.

10. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

 

 

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