Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5241 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. II, 04/03/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 04/03/2011), n.5241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11592-2005 proposto da:

A.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato AGOSTINO

ROCCO, rappresentato e difeso dall’avvocato BALSAMO GIUSEPPE;

– ricorrenti –

contro

D.G. (OMISSIS), deceduto nelle more;

– controricorrente –

e contro

D.B. (OMISSIS), D.S.M.

(OMISSIS), D.C. (OMISSIS), D.

V., (OMISSIS), nella qualità di eredi legittimi e

testamentari pro quota di D.G., elettivamente

domiciliati in ROM, VIALE CARSO 34, presso lo studio dell’avvocato

BARTOLI SALVATORE, che li rappresenta e difende con procura speciale

prodotta in udienza;

– intimati –

avverso la sentenza n. 111/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2010 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

è comparso l’Avvocato SALVATORE BARTOLI con procura speciale e

allegati comprovanti la morte del resistente D.D.G.,

atto notorio degli eredi e procura speciale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.L. impugna la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 111 del 2005, nella parte in cui ha accolto il gravame proposto da D.G. avverso la decisione del Tribunale di Marsala del 13 marzo 2001, che aveva invece rigettato la demanda di quest’ultimo di reintegrazione dello spoglio subito di due aree di terreno poste nelle vicinanze di quelle dell’ A..

Il primo giudice rigettava la domanda di D., ritenendo che quest’ultimo, che ne era onerato, non aveva fornito la prova del possesso attuale, così come della tempestività dell’azione, una volta sorta la contestazione sul punto da parte dell’ A., il quale si era difeso assumendo che sulle strisce di terreno in questione da più di vent’anni il ricorrente non esercitava alcun possesso, adducendo comunque che gli atti di spoglio lamentati risalivano ad oltre un anno prima del ricorso.

La Corte d’appello rilevava che il ricorso del D. si articolava in due direzioni: a) la prima relativa al fondo antistante il fabbricato dell’ A., particella 585, pacificamente nel possesso di quest’ultimo, comprendente anche una “stradella larga circa 10 metri, la quale, costeggiando il fabbricato, consente l’accesso alle case coloniche poste a monte”; b) la seconda relativa “ad uno sperone di terreno di forma trapezoidale costituente la particella 586”.

La Corte, mentre confermava il decisum relativo alla particella 585, riformava la sentenza di primo grado quanto al secondo terreno (particella 586). Al riguardo analizzava nuovamente tutto il materiale probatorio (testi, CTU e documenti), giungendo alla conclusione che il D. dovesse ritenersi possessore del terreno in questione e che aveva agito entro l’anno dall’atto dello spoglio, consistito nello spianamento del terreno e nel piantamento di alcuni alberelli d’ulivo. Al riguardo valorizzava le convergenti dichiarazioni di alcuni testi, tra i quali un vigile urbano, gli accertamenti del CTU, che avevano collocato nell’anno anteriore al ricorso il piantamento degli alberelli (che presentavano ancora un apparato radicale capillare non ancora fuoriuscito dalla zolla con la quale erano stati acquistati in vivaio), i documenti dai quali risultava che il Comune si era rivolto al D. per l’autorizzazione all’uso del terreno in questione per alcuni lavori di pubblica utilità.

Il ricorrente formula 4 articolati motivi. Resiste con controricorso il D.. Nelle more del giudizio, quest’ultimo decedeva. Si costituivano i suoi eredi, indicati nominativamente nella intestazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., nonchè vizi di motivazione in ordine alla sussistenza del presupposto del possesso dell’avvocato D.. Osserva che la Corte territoriale ha errato nel ritenere la difficile utilizzazione del terreno di quella parte della particella 586 da parte del ricorrente in relazione la sua posizione decentrata rispetto alla sua abitazione. In ogni caso sia la CTU che i testi ne avevano affermato l’utilizzazione da parte sua per l’attività di demolizione auto. La Corte territoriale aveva quindi “commesso lo sbaglio laddove ha sostenuto che il terreno dove l’ A. svolgeva l’attività di demolizione fosse diverso dal terreno costituito dalla particella 586”. Inoltre, la testimonianza del vigile urbano (circa la condizione del terreno) si poneva in contrasto con altre dichiarazioni del dirigente della polizia municipale del Comune di Mazara del 12 dicembre 1997 in atti, dalla quale invece risultava che l’ A. teneva il terreno antistante la sua abitazione sgombro da cose materiali e di risulta. Inoltre, la Corte territoriale non aveva verificato l’affermazione di parte secondo la quale per l’uso del terreno in questione il Comune si sarebbe rivolto, per la relativa autorizzazione, all’avvocato D. senza verificare la contraddittorietà esistente sul punto con quanto dichiarato dal teste vigile urbano. In ogni caso l’Amministrazione comunale si era rivolta all’intestatario del terreno e non al possessore effettivo. Anche l’ultimo teste C. P. non aveva affermato nulla di certo sul possesso. Di conseguenza non vi erano elementi tali da poter affermare il possesso in capo all’avvocato D..

1.2 – Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., oltre che omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5”. Osserva il ricorrente che la particolare condizione del fondo che insiste sulla particella 586 non avrebbe consentito all’avvocato D. il necessario passaggio per esercitarvi il possesso, poichè l’unico modo di accesso era la stradella lunga 10 metri in esclusivo possesso dell’ A..

1.3 – Col terzo motivo di ricorso, privo di rubricazione, si contesta la motivazione della sentenza in punto tempestività dell’azione, ben potendo gli alberelli di olivo essere stati piantati oltre l’anno. Vi erano, inoltre, specifiche dichiarazioni in tal senso. Osserva il ricorrente che in definitiva egli aveva provato d’avere posseduto da oltre vent’anni e che la Corte territoriale aveva errato nella determinazione del momento del presunto spoglio quanto al piantamento degli alberi d’ulivo, essendo stato dimostrato che l’acquisto di piante avvenne nel (OMISSIS).

1.4 – Infine, col quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce:

“violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., oltre che omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5, laddove, in ogni caso, la Corte di appello, nel reintegrare l’avvocato D. nella particella n. 586, ha compreso nella reintegra anche una striscia di mq 153 a forma di triangolo, per la quale si era provato, che sia lo spianamento, sia lo spargimento dell’asfalto, erano avvenuti entro l’anno prima della data del deposito del ricorso”. Afferma il ricorrente che i lavori di spianamento e di asfaltatura della parte di terreno in questione, certamente riferibili al ricorrente come non contestato dallo stesso intimato, erano stati effettuati ben oltre l’anno dal denunciato spoglio, dovendosi collocare essi in coincidenza con l’esecuzione di lavori di asfaltatura della stradella di 10 metri posta davanti alla casa. Ciò risulterebbe provato dalla corretta valutazione e interpretazione delle testimonianze e da documentazione in atti.

2. – Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1 – I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto entrambi denunciano violazione dell’art. 1168 c.c. e vizi di motivazione. In entrambi la violazione denunciata discende dalla ritenuta errata valutazione del materiale probatorio, che il ricorrente censura sotto il profilo del vizio di motivazione. In realtà con le censure avanzate la parte ricorrente intende far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti al suo convincimento, proponendo un migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Intende, quindi, proporre un’inammissibile nuova valutazione dei fatti o censurare aspetti del giudizio interni all’ambito della discrezionalità di valutazione delle prove e dell’apprezzamento dei fatti (art. 116 cod. proc. civ.), che attengono al libero convincimento del giudice.

Al riguardo occorre osservare, in linea generale, che il motivo di ricorso per cassazione con il quale viene mossa censura per vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere inteso a far valere, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro specifica indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.

Tale motivo non può, invece, essere inteso a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte. In particolare, non può essere proposto un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, rilevanti ai sensi della norma in esame, giacchè, diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, e cioè di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Nel caso in questione, la Corte ha adeguatamente e compiutamente motivato su tutte le questioni indicate. Non si evidenziano carenze o lacune nelle argomentazioni ovvero elementi di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi emersi in giudizio un significato fuori dal senso comune, o mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e un insanabile contrasto degli stessi.

Infatti, la Corte con riferimento alla prova del possesso relativo alla particella 586, unica residua questione che riguarda il presente giudizio, ha osservato che essa risulta “nettamente separata da quella antistante l’abitazione del appellato … separata … a mezzo della stradella larga 10 metri …” e con una posizione decentrata rispetto all’abitazione dell’ A. “sicchè riesce difficile, intanto, ipotizzare una sua utilizzazione da parte di quest’ultimo che si leghi all’attività metri”. Ha poi esaminato le deposizioni rese da vigile urbano G.R.A., in servizio presso il nucleo di polizia giudiziaria della sezione distaccata di Tribunale di Mazara, ben a conoscenza dei luoghi, secondo la quale “il terreno nell’anno 1995 appariva incolto ed era stato utilizzato negli anni successivi dal Comune per riporvi materiali edilizi da utilizzare per la costruzione di un cavalcavia che doveva essere realizzato nelle vicinante”. La Corte territoriale ha poi rilevato che l’Amministrazione comunale si era rivolta per le necessarie autorizzazioni all’odierno intimato nella sua qualità di proprietario del fondo, osservando che la concessione dell’autorizzazione era “indice della signoria di fatto – oltre che di diritto – di quest’ultimo sul fondo in questione”.

Ha poi evidenziato la deposizione la teste P.C., che mostrava di ben conoscere la situazione dei luoghi e che riferiva che il terreno era nella disponibilità dell’avvocato D.. Sulla base di tali complessive valutazioni, espressamente poste a fondamento della sua decisione, la Corte territoriale, con una valutazione che appare esente dalle critiche avanzate, ha ritenuto di valutare tutti gli elementi probatori disponibili, valorizzando quelli su riportati tra tutti quelli disponibili. Nè le circostanze indicate dal ricorrente assumono valore decisivo, sia per la loro genericità sia per la loro non univocità. Nè, ancora, può imputarsi al giudice dell’appello di aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 ed artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prospettategli o comunque acquisite, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse. Così ricostruita la situazione possessoria, nessuna violazione dell’art. 1168 c.c. sussiste.

2.2 – Infondato appare anche il terzo motivo di ricorso, che ha riguardo alla ritenuta tempestività dell’azione possessoria. Anche in questo caso le argomentazioni offerte si riducono a una diversa prospettata valutazione del materiale probatorio e non ad un vizio di motivazione. La Corte territoriale, ritenendo tempestiva l’azione proposta, ha argomentato ampiamente utilizzando le risultanze della CTU, secondo le quali si poteva concludere che l’apparato radicale delle piantine di ulivo, riscontrate sulla particella 586, erano tali da far ritenere un impianto in loco avvenuto entro l’anno e ciò in conseguenza della particolare rilevata condizione dell’apparato radicale capillare, che non era ancora “fuoruscito” dalla zolla di terra con “differente struttura chimico-fisica rispetto al terreno circostante”, che conduceva a concludere che si trattava di piante acquistate da vivaisti e impiantate appunto in un tempo sicuramente inferiore all’anno. La Corte territoriale ha ulteriormente rafforzato le conclusioni raggiunte attraverso le dichiarazioni testimoniali di T.B. e del vigile urbano G., considerate prevalenti rispetto ai testi E. e Pi.. Non solo, ma la Corte territoriale ha ulteriormente osservato che l’azione di reintegra era stata proposta nel novembre del 1997 e che l’aratura del fondo, secondo le risultanze istruttorie, non poteva essere stata posta in essere prima del marzo-aprile 97.

Anche per il motivo in esame vanno richiamate considerazioni sopra svolte in ordine ai limiti della denuncia effettuata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, potendosi concludere anche in questo caso per l’infondatezza del motivo.

2.3 – Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso appare infondato, posto che la valutazione della Corte d’appello è stata effettuata con riguardo alla situazione di fatto relativa a tutta la particella 586, “ivi compresa la superficie di forma triangolare estesa metri quadri 153 occupata da frammenti di bitume, indicata nella medesima planimetria”. Sicchè le argomentazioni al riguardo svolte nel ricorso non appaiono cogliere nel segno, posto che esse ripropongono ancora un volta il tema della rivalutazione del materiale probatorio, che, sia pure sinteticamente, la Corte ha interamente compiuto, giungendo alla conclusione indicata, senza essere tenuta, come già si è detto, alla indicazione specifica delle ragioni per le quali non ha tenuto conto di alcune circostanze o per le quali è giunta ad una diversa valutazione rispetto a quella prospettata dall’odierno ricorrente.

3. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 2.500,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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