Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5238 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/03/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 04/03/2011), n.5238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8939-2008 proposto da:

INPS, ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati LANZETTA ELISABETTA e MERCANTI

VALERIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 19

(STUDIO SCACCHI), presso lo studio dell’avvocato FABIO VETRELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIGRINI ENEA, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3134/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/06/2007, R.G.N. 2764/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA; udito l’Avvocato

CAPONNOLO EMANUELA per delega LANZETTA ELISABETTA;

udito l’Avvocato PIGRINI ENEA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza di cui si domanda la cassazione dichiara l’improcedibilità dell’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 12647 del 2005.

depositata il 1 marzo 2006, che ha accolto l’impugnativa del licenziamento di M.M., disponendone la reintegrazione con tutte le conseguenze di cui alla L. n. 108 del 1990, art. 1.

Secondo la Corte di appello di Napoli nel caso di specie deve essere applicato l’art. 348 c.p.c., comma 2 che stabilisce che l’appello è dichiarato improcedibile se l’appellante, pur costituito in giudizio, non compaia nè alla prima udienza nè a quella successiva di cui gli sia stata data comunicazione.

Il ricorso dell’INPS domanda la cassazione della sentenza per un motivo; resiste con controricorso M.M..

In prossimità dell’udienza M.M. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.. nella quale ha ribadito le argomentazioni esposte in precedenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 181, 309, 348, 359 e 437 cod. proc. civ..

Il ricorrente sostiene che la Corte di appello di Napoli anzichè dichiarare l’appello improcedibile avrebbe dovuto ordinare la cancellazione della causa dal ruolo ovvero decidere l’impugnazione nel merito, in quanto all’udienza del 19 aprile 2007 (alla quale la causa era stata rinviata dalla precedente udienza del 18 gennaio 2007) nessuna delle parti è comparsa.

L’INPS osserva, in particolare, che, da quando (a partire da Cass. SU 25 maggio 1993. n. 5839) questa Corte ha stabilito l’applicabilità anche nel rito del lavoro della disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile per il giudizio di primo grado e per quello di appello che si svolgono con il rito ordinario, si è anche affermato il principio secondo cui ove tale inattività si verifichi nell’udienza prevista dal l’art. 437 cod. proc. civ. deve farsi riferimento, rispettivamente, all’art. 181 (richiamato nel giudizio di secondo grado dal successivo art. 359) e all’art. 348 cod. proc. civ., a seconda che nell’udienza in questione non siano presenti entrambe le parti o sia presente solo l’appellato. In tutte e due le ipotesi è da escludere l’immediata decisione della causa, che deve invece essere rinviata ad una nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi dell’indicato difetto di comparizione comporta, nella prima ipotesi, la cancellazione della causa dal ruolo e, nella seconda, la dichiarazione d’improcedibilità dell’impugnazione (ex plurimis: Cass. 5 maggio 2001, n. 6334, Cass. 22 agosto 2003. n. 12358).

In ossequio a tale orientamento nel caso di specie, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuta disporre la cancellazione della causa dal ruolo.

D’altra parte, la possibilità di dichiarare l’improcedibilità dell’appello sarebbe da escludere anche se si volesse seguire l’orientamento minoritario in base al quale nel rito del lavoro la mancata comparizione delle parti all’udienza di discussione della causa non osta alla decisione nel merito dell’impugnazione (Cass. 19 maggio 2003, n. 7837).

2.- Il ricorso non è fondato.

Va sottolineato, in primo luogo, che nel giudizio di appello di cui si tratta si sono avute: a) la fissazione di una prima udienza di discussione (preceduta da regolare comunicazione) per il 19 ottobre 2006 e in essa il solo appellante non è comparso; b) quindi è stata fissata un’altra udienza per il 18 gennaio 2007. nella quale è comparso solo l’appellato e l’assenza dell’appellante è risultata giustificata dalla mancata comunicazione da parte della cancelleria;

c) conseguentemente, è stata fissata l’udienza del 19 aprile 2007.

regolarmente comunicata a entrambe le parti; d) in quest’ultima udienza, non essendo comparso nessuno, la Corte d’appello di Napoli ha emesso la sentenza impugnata.

Ora, premesso che l’orientamento considerato minoritario dal ricorrente in realtà è rimasto del tutto isolato, per quel che riguarda l’indirizzo maggioritario, il principio che può ormai dirsi essere assurto al rango di “diritto vivente” è quello secondo cui la disciplina dell’inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile per il rito ordinario, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie assoggettate al rito del lavoro, non ostandovi la specialità di tale rito, nè i principi cui esso si ispira (vedi, da ultimo, da Cass. 9 marzo 2009. n. 5643).

Da questo principio si trae la conclusione della necessità: a) di disporre la cancellazione della causa dal ruolo nell’ipotesi di mancata comparizione di entrambe le parti (ritualmente convocate) sia all’udienza di discussione sia alla successiva udienza di rinvio; b) di dichiarare l’improcedibilità dell’impugnazione ove alla prima udienza sia presente solo l’appellato e anche all’udienza di rinvio l’appellante non sia presente.

A questo indirizzo, dal quale non vi è motivo di discostarsi, se ne è affiancato un altro secondo cui. come si desume anche dal testo dell’art. 348 cod. proc. civ., le cause di improcedibilità dell’appello si collegano sempre a comportamenti colpevoli dell’appellante, cioè a condotte a lui imputabili sotto il profilo dell’inerzia o dell’imprudenza, (vedi, per tutte. Cass. 25 luglio 2006, n. 16938 e nello stesso senso Cass. 19 luglio 2010. n. 16821), senza che assuma rilievo, di per sè il comportamento dell’appellato.

Del resto, è l’appellante l’unico soggetto destinatario e fruitore delle disposizioni dettate dall’art. 348 cod. proc. civ., escludenti ogni decadenza a suo danno per l’ipotesi di mancata comparizione all’udienza di discussione, attraverso la facoltà di essere posto in condizione di comparire all’udienza successiva a quella disertata (Cass. 5 maggio 2001, n. 6326; Cass. 6 marzo 2007. n. 5125; Cass. 28 marzo 2007, n. 7586).

Tali disposizioni, però, non attribuiscono all’appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, così adottando un comportamento che da luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi del processo, in contrasto sia con la rutto di accelerazione dell’attività processuale ispiratrice della sostituzione dell’art. 348 medesimo operata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 54 (Cass. 31 maggio 2005, n. 11594). sia con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost..

Nè va omesso di considerare che, viceversa, è pacifico che l’applicazione degli artt. 181 e 309 cod. proc. civ. e la conseguente emissione di un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo presuppongono la mancata comparizione di entrambe le parti sia alla prima udienza sia a quella successiva alla quale la causa sia stata rinviata, sul presupposto che tale comportamento costituisca una tipica manifestazione di disinteresse alla prosecuzione del processo (vedi, per tutte, Cass. 24 febbraio 1982, n. 1169 e Cass. 25 maggio 2005, n. 11014).

3.- Da quanto si è detto si desume che la Corte di appello di Napoli ha fatto corretta applicazione della normativa processuale, come interpretata da questa Corte (nello stesso senso, per un caso analogo: Cass. 5 maggio 2001, n. 6326 cit.). Infatti, nel giudizio in oggetto, si è riscontrata la ripetuta inerzia del solo appellante (assente sia all’udienza di discussione originaria sia a quella di rinvio ritualmente comunicatagli), mentre l’appellato, ancorchè assente all’udienza del 19 aprile 2007, era stato tuttavia presente all’originaria udienza di discussione, oltre che all’intermedia udienza interlocutoria del 18 gennaio 2007 di cui l’appellante non ha avuto comunicazione.

4.- In sintesi il ricorso va respinto e il ricorrente va condannato alle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 10,00, oltre a Euro 2000 per onorario, oltre a IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 9 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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