Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5236 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/03/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 04/03/2011), n.5236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8085-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Europa n. 175,

presso la Direzione Affari Legali di Roma di Poste Italiane,

rappresentata e difesa dall’Avv. Ursino Anna Maria per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R.A., e elettivamente domiciliata in Roma,

via XX Settembre n. 3, presso lo studio dell’Avv. Sandulli Michele,

che assieme agli Avv.ti Moreno Sarti e Maurizio Briganti, la difende

per mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 259/06 della Corte d’appello di Firenze,

depositata in data 3.03.06, RG. 1503/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20.1.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

uditi l’Avv. Anna Maria Ursino;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al giudice del lavoro di Firenze, B.R. A. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. nel periodo 1.10-31.12.02.

2.- Rigettata la domanda e proposto appello dalla ricorrente, La Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 3.03.06 accoglieva l’impugnazione e, accertata la nullità del termine, dichiarava l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato e condannava Poste Italiane a risarcire il danno.

Premetteva il giudice di merito che le parti avevano stipulato il contratto ai sensi dell’art. 25 del ccnl per i dipendenti di Poste Italiane 11.1.01 e, con riferimento al detto periodo, avevano previsto l’inquadramento nell’area operativa di all’art. 24 del ccnl, per lo svolgimento di attività nell’ambito del Centro Rete Postale di pertinenza “ai sensi della vigente normativa per esigenze tecniche, organizzative connesse all’attuale fase di riorganizzazione del Centro Rete Postale, ivi ricomprendendo una più funzionale ricollocazione del personale nonchè per far fronte ai maggiori flussi di traffico nel periodo natalizio”.

Il contratto non risultava, tuttavia, riconducibile al sistema normativo della L. n. 56 del 1987, art. 23 che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva, ma rientrava sotto la vigenza del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, attuativo della direttiva 1999/70/CE in materia di contratto di lavoro a termine, atteso che per l’art. 11 di quest’ultima fonte i contratti collettivi stipulati ai sensi di detto art. 23 avevano cessato ogni efficacia alla data della loro scadenza.

Essendo il ccnl 1.1.1.01 scaduto il 31.12.01, la legittimità del termine apposto al contratto de quo andava dunque verificata alla luce del D.Lgs. n. 368, art. 1 per il quale il termine in questione era consentito solo “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (comma 1), da specificare in apposito atto scritto consegnato al lavoratore entro cinque giorni dall’inizio della prestazione (commi 2 e 3). Nella specie la motivazione era tautologica, atteso che nell’atto scritto era riportata la dizione della formula legislativa, senza l’aggiunta di ulteriore specificazione circa le modalità di esecuzione della prestazione, di modo che non era soddisfatto l’onere di motivazione.

Il giudice di appello dichiarava, di conseguenza, la nullità del termine e la esistenza del rapporto a tempo indeterminato, con condanna del datore al risarcimento a decorrere dal 22.4.03, data del vano tentativo obbligatorio di conciliazione.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso B.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. La soc. Poste Italiane propone due motivi di ricorso così sintetizzati.

4.1.- Violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 e segg. c.c. sotto un duplice profilo: in quanto detto art. 23 non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e, in particolare, non impone che la situazione di fatto elevata pattiziamente a fattispecie legittimante l’apposizione del termine debba essere necessariamente correlata con una temporanea assenza dal lavoro di altro personale (primo morivo).

Il quesito proposto è: se l’ampiezza della delega alle parti sociali di cui all’art. 23 consenta l’individuazione in astratto delle condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine e se ciò consente di sopperire alla dimostrazione del nesso di causalità tra esigenze riorganizzative e singola assunzione.

4.2.- Carenza di motivazione in materia di risarcimento del danno, lamentandosi il mancato accoglimento della richiesta formulata da Poste Italiane nel giudizio di merito di ottenere l’esibizione di documentazione idonea ad accertare gli eventuali corrispettivi percepiti da controparte per lo svolgimento di occupazioni alle dipendenze di terzi (secondo motivo).

5.- Il primo motivo è inammissibile.

Come precisato in parte motiva, il giudice di merito ha ritenuto che alla fattispecie in esame fosse applicabile esclusivamente la disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, con esclusione della precedente disciplina desumibile dal complesso normativo costituto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 e dalla contrattazione collettiva delegata, in forza della quale le oo.ss. avevano individuato nuove ipotesi di assunzione a termine. Tutta la sentenza fa, quindi, leva sulla ritenuta violazione delle disposizioni contenute nell’art. 1 del detto D.Lgs..

Il motivo in esame, non contrasta in nulla tale decisum e propone una serie di questioni del tutto in conferenti e pertanto deve essere ritenuto inammissibile.

6.- Altrettanto inammissibile è il secondo motivo.

La Corte d’appello aveva disatteso l’eccezione di aliunde perceptum, rilevandone la genericità a fronte dell’onere di specifica deduzione della prova facente carico a Poste Italiane. Tale affermazione non è validamente censurata dall’odierna ricorrente, la quale si limita al mero richiamo di un preteso obbligo del giudice di attivare i mezzi istruttori officiosi in presenza della situazione processuale in considerazione, mentre, invece, rimane incontestata l’affermazione che grava sulla parte eccipiente un preciso onere di specificazione delle circostanze di fatto e di deduzione della relativa prova.

7.- In conclusione, l’inammissibilità dei due motivi comporta il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro per esborsi ed in Euro 2.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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