Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5234 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 26/02/2020), n.5234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29064-2018 proposto da:

D.M., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato PAOLO

SASSI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI CAMPOBASSO n. 1769/2018,

depositato il 21.8.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17.12.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

Che:

D.M. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Campobasso aveva respinto il ricorso presentato contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente, che narra di essere fuggito dal Senegal, regione di Casamance, perchè gli zii volevano che si convertisse al cristianesimo, denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 1, lett. e) e g), artt. 3 e 14 e art. 16, comma 1, lett. b), , nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, il Tribunale aveva omesso di rapportare la sua vicenda personale alla documentazione prodotta, avendone escluso la credibilità senza valutare la situazione generale del suo Paese di origine, caratterizzata da insicurezza, diffusione della criminalità organizzata, elevato rischio di attentati terroristici, totale mancanza di presidi di legalità e violazione dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza, nonchè dalle precarie condizioni di vita della popolazione;

1.2. con il secondo motivo il ricorrente censura, prospettando anche in questo caso il vizio di violazione di legge e omesso esame d’un fatto decisivo, il rigetto della domanda di “protezione umanitaria”, argomentando che in Senegal esiste una grave instabilità politica ed economica e che tale situazione non garantiva al ricorrente la tutela dei diritti fondamentali della persona;

1.3. con il terzo motivo si denuncia violazione di legge censurando il decreto impugnato per aver revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in virtù della ritenuta infondatezza della domanda, conseguente all’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria ed all’omesso esame delle fonti d’informazione internazionali;

1.4. va premesso che la valutazione di credibilità o affidabilità del richiedente la protezione non è frutto di soggettivistiche opinioni del Giudice di merito, ma il risultato di un procedimentalizzazione legale della decisione, la quale dev’essere svolta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca (cfr. Cass. n. 26921/2017);

1.5. inoltre, il Giudice deve tenere conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente”, con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c), e acquisire le informazioni sui contesto socio-politico del paese di rientro, in correlazione con i motivi di persecuzione o i pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi (Cass. n. 16202/2012);

1.6. la credibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione non può essere, inoltre, esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, quando sia mancato un preliminare scrutinio dei menzionati criteri legali previsti per la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni, specie quando il giudice di merito non abbia concluso per l’insussistenza dell’accadimento (cfr. Cass. n. 8282/2013);

1.7. a tali indicazioni il decreto impugnato si è sottratto, avendo posto in rilievo talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione o elementi irrilevanti (“non si comprende se vi siano state minacce e in ogni caso il ricorrente poteva trasferirsi in altra città del Senegal o in Gambia ove già si trovavano il padre e le sorelle minori”), senza tuttavia valutare nè le difficili condizioni personali in cui il richiedente si trovava al momento della narrazione, nè la sostanziale “coerenza” e “plausibilità” del racconto e senza escludere la sostanziale verità del fatto consistente nelle pressioni ricevute per la sua conversione al cristianesimo;

1.8. il Tribunale ha ritenuto quindi insussistente il pericolo di danno grave da questi concretamente allegato, omettendo di valutarne l’effettiva ricorrenza alla luce dei consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il Giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti (cfr. Cass. n. 28974/2019);

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, accolto il primo motivo ed assorbiti i rimanenti, consegue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Campobasso in diversa composizione, che, attenendosi ai principi enunciati, procederà ad un nuovo esame del merito della controversia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i rimanenti; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Campobasso in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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