Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5233 del 04/03/2010

Cassazione civile sez. I, 04/03/2010, (ud. 23/10/2009, dep. 04/03/2010), n.5233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G., (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

03/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/10/2009 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

La Corte:

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

quanto segue:

B.G. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di diciotto motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma il 8.12.07 con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato ex lege n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 600,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo durato in primo grado dal 20.12.99 al 23.9.03 il cui appello proposto il 20.9.04 era ancora pendente al momento della proposizione del ricorso.

Il Ministero della Giustizia ha depositato atto di costituzione.

OSSERVA:

Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di primo grado di nove mesi sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni tre ed avendo escluso l’eccessiva durata per il giudizio di appello.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu.

Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Con il secondo motivo si lamenta la errata individuazione del periodo di normale durata del processo.

Anche tale motivo è inammissibile. Lo stesso è basato sulla astratta e tautologica affermazione che la giusta durata del processo – stante la sua natura previdenziale – avrebbe dovuto essere di due anni per il primo grado ed uno e mezzo per il secondo, senza chiarire in riferimento alla fattispecie in esame le ragioni per cui si sarebbe dovuto adottare tale criterio.

E’, infatti, noto che i termini stabiliti dalla Cedu non sono rigidi ma costituiscono dei criteri di riferimento che possono quindi essere, entro certi limiti, adattati con valutazione del giudice al caso concreto, e che la natura previdenziale di una causa non comporta di per sè l’applicazione di un termine di durata ragionevole ridotto, dipendendo tale determinazione pur sempre dalla valutazione della complessità della causa rimessa al giudice in ordine alla quale non si rinviene nel motivo alcuna censura.

Con il terzo il quarto ed il quinto, il sesto il settimo l’ottavo ed il nono motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale, anche sotto il profilo della riduzione degli importi in ragione della ritenuta modestia economica del giudizio presupposto, e la mancata liquidazione in riferimento all’intera durata del giudizio.

Sotto quest’ultimo profilo i motivi sono manifestamente infondati avendo a più riprese affermato questa Corte che la L. n. 89 del 2001, art. 2, espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole.

I motivi sono altresì infondati,in riferimento alla quantificazione dell’indennizzo avendo la Corte d’appello liquidato la somma di Euro 600,00 per nove mesi di ritardo (750,00 Euro per anno) discostandosi dai criteri minimi stabiliti dalla Corte Edu sulla base di adeguata motivazione.

La Corte d’appello ha liquidato infatti tale somma ritenendo – sulla base del costante indirizzo espresso da questa Corte – che fosse giustificata dalla modestia della posta in gioco che aveva determinato un limitato patema d’animo al ricorrente e dalla mancata presentazione della istanza di prelievo che denotava uno scarso interesse della parte per il processo.

Con il decimo e l’undicesimo motivo, si deduce sotto diversi profili il mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia.

Tali censure sono manifestamente infondate.

La Corte di Strasburgo ha, infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto ciò non significa che dette cause sono necessariamente di per sè particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, è possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come è noto, dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da mille a millecinquecento salvo limitato discostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, può arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto ciò non implica uno specifico obbligo di motivazione essendo tutto ciò compreso in quella che concerne la liquidazione del danno.

Con i motivi da dodici a diciotto si censura sotto diversi profili la liquidazione delle spese.

Il tredicesimo motivo è inammissibile poichè il quesito non pone alcuna questione di diritto limitandosi ad una mera domanda sulla sufficienza o meno della liquidazione delle spese nel caso concreto.

Il dodicesimo, il quattordicesimo ed il quindicesimo motivo pongono la questione relativa a quali tariffe devono essere applicare ai giudizio di equa riparazione. I motivi sono inammissibili. E’ giurisprudenza costante di questa Corte che le spese del giudizio in materia di equa riparazione devono essere liquidate in base alle tariffe dei procedimenti ordinari contenziosi. Peraltro dal decreto impugnato non risulta in alcun modo che la Corte d’appello si sia discostata da questo criterio non rinvenendosi l’affermazione di un diverso principio nè risultando dalla liquidazione effettuata che questa ne abbia in concreto fatto applicazione onde le censure non trovano riscontro in quanto concretamente deciso nel decreto.

Il sedicesimo motivo è inammissibile per le stesse ragioni di cui al dodicesimo motivo.

Il diciassettesimo e diciottesimo motivo, con cui si censura che il giudice di merito ha immotivatamente disatteso la nota spese risultano infondati avendo la Corte d’appello liquidato in base al valore della causa (inferiore a Euro 1600,00) una somma (400,00 Euro) superiore a quella richiesta dalla parte (Euro 376,00) Il ricorso va in conclusione rigettato.

Non avendo il Ministero svolto sostanziale attività difensiva, non si procede a liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2010

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