Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5230 del 21/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2019, (ud. 14/11/2018, dep. 21/02/2019), n.5230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4292-2018 proposto da:

D.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONDOTTI 9,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA SCHETTINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNALISA ALONGI;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PORTUENSE N. 104, presso la Sig.ra DE.AN.AN., rappresentata

e difesa dagli avvocati ELISA ROCCHITELLI, GIOVANNI IMMORDINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2358/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 27/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO

GIUSEPPE;

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto, per quel che ancora qui rileva, che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, accolta l’impugnazione di F.G., dichiarò che la predetta era divenuta proprietaria per usucapione di uno stacco di terreno sito in Lampedusa;

che avverso la statuizione d’appello propone ricorso D.M.G. sulla base di tre censure, ulteriormente illustrati da memoria, e che la F. resiste con controricorso;

ritenuto che con i tre motivi, osmotici fra loro, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1144 c.c., nonchè “illogicità ed insufficienza della motivazione (…) travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, omesso esame di un fatto controverso e decisivo”, rimproverando, in sintesi, alla sentenza d’appello:

– di non avere logicamente ed equilibratamente vagliato le prove, specie testimoniali;

– di non avere tenuto conto del fatto che la mera coltivazione non implica il possesso, animo e corpo, richiesto per l’usucapione;

– di non aver considerato elementi “incontrovertibili”, quale la circostanza che l’appellante risiedeva a (OMISSIS) ed aveva acquistato solo nel 1988 un’area edificabile attigua, edificata solo nel 1993;

– non aveva tenuto conto della tolleranza del proprietario e che la controparte era solita recarsi a Lampedusa solo nel periodo estivo;

– non aveva vagliato con severità la prova a carico della richiedente l’acquisto per usucapione, che comportava, ove accolta, la compressione di un diritto costituzionalmente riconosciuto, così non cogliendo le contraddizioni delle dichiarazioni testimoniali valorizzate e che il rapporto della F. con la res era stato solo saltuario e precario, e sempre riconducibile alla tolleranza del proprietario;

considerato che la doglianza è inammissibile, in quanto:

a) il vaglio della prova testimoniale è di esclusiva competenza del giudice di merito, il cui giudizio è in questa sede incensurabile (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 14972, 28/6/2006; Sez. 3, n. 9425, 18/4/2007; Sez. 3, n. 18644, 12/9/2011), salvi i casi in cui manchi del tutto o non sia identificabile un esame come tale apprezzabile, di talchè debba affermarsi sussistere una mera apparenza motivazionale (per un caso emblematico si veda, da ultimo, Sez. 1, n. 16057, 18/6/2018), evenienza, quest’ultima del tutto esclusa dalla precipua e analitica motivazione offerta dalla sentenza d’appello (pagg. 5-9);

b) quanto all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, unico vizio motivazionale oramai prospettabile davanti alla Corte di legittimità, deve rilevarsi che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831); inoltre, l’art. 360 c.p.c., n. 5, post riforma, consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte territoriale affermato l’usucapione attraverso la ragionata ponderazione di tutte le risultanze istruttorie, nel mentre la critica mossa con le censure in rassegna, prendendo le mosse da una ipotesi congetturale e da suggestioni fattuali, genericamente evidenziate in questa sede, manifesta, in definitiva, la non condivisione per il risultato al quale la Corte locale è giunta;

c) gli invocati atti di tolleranza sono stati correttamente esclusi dalla sentenza impugnata (pag.8); difatti, questi, che secondo l’art. 1144 c.c., non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso, sono quelli che, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà, comportano un godimento di modesta portata incidente molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità o da consueti rapporti di buon vicinato i quali, mentre “a priori” ingenerano e giustificano la “permissio”, conducono per converso ad escludere nella valutazione “a posteriori” la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone (Sez. 2, n. 18360, 13/9/2004, Rv. 577027; si veda anche Seti 2, n. 13443, 08/06/2007, Rv. 597437);

d) pur vero che la circostanza mera della coltivazione può non costituire da solo indice sufficiente del possesso ad usucapionem (cfr., da ultimo, ex multis, Sez. 2, n. 17376, 3/7/2018, Sez. 2, n. 18215, 29/7/2013), tuttavia, nel caso di specie la declaratoria si fonda su una convergente pluralità di emergenze probatorie, fra le quali, ma non decisivamente, la coltivazione;

e) la evocazione della previsione di legge (nella specie, gli artt. 1158 e 1144 c.c.) perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, occorrendo, all’evidenza, che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio; di talchè, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, il quale ha ricostruito la fattispecie concreta difformemente dalle aspettative della ricorrente, di talchè la prospettata violazione non può ipotizzarsi (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 20401/2018);

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore della controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2019

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