Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5230 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. I, 04/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 04/03/2011), n.5230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Poste Italiane s.p.a. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, viale Europa 175 presso l’Area

Legale Territoriale Centro di Poste Italiane, rappresentata e difesa

dagli avv. Fabbri Paola e Enrica Ragusa, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento Promozione Turismo s.p.a. in liquidazione in persona del

curatore, elettivamente domiciliato in Roma, via G. Bettolo 17,

presso l’avv. Montefalcone Claudio, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1944

dell’11.5.2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15.2.2011 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Ragusa e Fabbri per la ricorrente e De Roberto con

delega per il fallimento;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dell’11.9.2002 il fallimento della Promozione Turismo s.p.a. in liquidazione conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma Poste Italiane s.p.a., per sentir dichiarare l’inefficacia dei pagamenti, versamenti e prelevamenti effettuati dopo la dichiarazione di fallimento su conto corrente intestato alla fallita, e sentirla quindi, condannare al pagamento di Euro 17.290,44, oltre interessi e rivalutazione.

La convenuta, costituitasi, deduceva l’infondatezza della domanda, che viceversa il tribunale accoglieva disattendendo i diversi rilievi formulati sul punto.

La decisione, impugnata, veniva poi confermata in sede di gravame in ragione del principio, “pacifico ed indiscusso” (p. 5), secondo il quale le somme pervenute sul conto intestato alla fallita vanno acquisite dal fallimento, mentre è preclusa l’effettuazione di pagamenti per conto del fallito. Avverso la decisione le Poste Italiane hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il fallimento, che pregiudizialmente ha anche eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione.

Entrambe le parti depositavano infine memoria. Successivamente la controversia veniva decisa all’esito dell’udienza pubblica del 15.2.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione Poste Italiane ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 167 c.p.c., comma 3, art. 269 c.p.c., comma 2, con riferimento alla ravvisata infondatezza della censura di omessa pronuncia nei confronti della chiamata in causa R. S.. In particolare la Corte di Appello aveva negato l’esistenza del vizio denunciato, in ragione dell’asserita assenza di domanda a carico della R. in sede di comparsa di costituzione e risposta, ma la statuizione risulterebbe errata, anche tenuto conto della domanda formulata nel successivo atto di citazione per chiamata in causa;

2) violazione della L. Fall., art. 42, poichè la restituzione al fallimento avrebbe dovuto avere ad oggetto unicamente le somme pervenute sul conto della società fallita dopo la dichiarazione di fallimento, per effetto di un duplice versamento dall’importo complessivo di Euro 8.676,47, e non anche quindi quelle corrisposte a terzi in esecuzione di dodici distinti assegni, emessi sempre dopo la detta dichiarazione per un importo complessivo di Euro 8.438,04. Tale ulteriore importo, infatti, sarebbe stato sostanzialmente finanziato dai primi due versamenti, sicchè la disposta restituzione della somma di Euro 17.290,44 avrebbe consentito al fallimento di realizzare un duplice ed indebito vantaggio ed avrebbe contestualmente imposto ad essa ricorrente una ingiustificata ed ingiustificabile duplicazione di pagamento;

3) vizio di motivazione sul medesimo punto, atteso che la Corte aveva del tutto ignorato la circostanza che i pagamenti in questione sarebbero stati effettuati con la provvista creata con i due versamenti di Euro 8.676,47. Osserva il Collegio che va innanzitutto esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, dedotta sotto un duplice profilo, e precisamente in quanto: a) la procura alle liti sarebbe priva di data, e ciò renderebbe incerto il requisito della specialità, la cui configurabilità presuppone lo specifico rilascio in relazione alla sentenza contestata; b) la procura sembrerebbe rilasciata da un procuratore “ad litem” e non da un procuratore generale “ad negotia”, come sarebbe stato invece necessario, sicchè la stessa risulterebbe inammissibile.

L’eccezione è infondata, quanto al primo aspetto, perchè la specialità della procura si desume dalla sua collocazione a margine della prima pagina del ricorso e dal riferimento al presente giudizio ivi contenuto, quanto al secondo perchè la deduzione, fra l’altro rappresentata in termini di assoluta genericità (“La procura speciale sembra rilasciata da un procuratore ad litem della società ricorrente e non un procuratore generale ad negotia”) , non trova conforto nella formulazione letterale della procura e nella documentazione in atti (procura per atto notaio Ioli del 23.10.2008).

Passando quindi all’esame dei motivi si rileva innanzitutto che, contrariamente a quanto sostenuto, risulta rispettato il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., essendo stato indicati con sufficiente specificità i principi di diritto di cui si sollecita l’applicazione (primi due motivi) ed il fatto controverso rispetto al quale sarebbe rilevabile il denunciato vizio di motivazione (terzo motivo).

Quanto al merito, risulta fondato il primo motivo di impugnandone.

In proposito si rileva che dalla rappresentazioni delle parti e dall’esame della sentenza impugnata si evince, in punto di fatto, che le Poste Italiane con la comparsa di costituzione avevano chiesto il rigetto della domanda, o in subordine un suo accoglimento in misura ridotta, mentre non avevano formulato alcuna richiesta nei riguardi della R., di cui pur avevano chiesto la chiamata in causa.

Soltanto con la conseguente citazione del chiamato le Poste avrebbero poi avanzato domanda nei suoi confronti, successivamente reiterata in sede di comparsa conclusionale, ma la Corte di Appello aveva ritenuto la domanda tardiva, poichè non proposta in conformità del disposto dell’art. 167 c.p.c.. La ricorrente ha quindi censurato la detta statuizione giudicandola errata, giudizio che va condiviso, atteso che la comanda nei confronti della R. è stata puntualmente proposta con l’atto di chiamata in causa, debitamente notificato dopo la relativa autorizzazione. Ad analoghe conclusioni di fondatezza deve poi pervenirsi per quanto concerne il secondo motivo di impugnazione, il cui accoglimento comporta l’assorbimento del terzo, con il quale le Poste hanno denunciato l’erroneità della decisione per quanto riguarda la condanna alla restituzione della somma di Euro 8.438,04, condanna che avrebbe viceversa dovuto essere limitata alla restituzione ai sensi della L. Fall., art. 44, dell’importo di Euro 8.676,47, in quanto pervenute sul conto della società fallita dopo la dichiarazione di fallimento.

Ed infatti, restando circoscritto l’ambito della controversia alla questione relativa all’avvenuto pagamento in favore di terzi di dodici assegni dall’importo complessivo di Euro 8.438,04 (come detto, non vi è contestazione sull’obbligo di restituzione di Euro 8.676,47, ricorrendo pacificamente l’ipotesi delineata dalla L. Fall., art. 44), tratti sul conto della società fallita dopo la dichiarazione di fallimento, si osserva che la stessa è stata definita dal giudice del merito sulla base di un errato principio di diritto.

Più esattamente, la Corte di Appello ha collegato l’obbligo restitutorio delle Poste al dettato della L. Fall., art. 44, che sancirebbe l’inefficacia “di tutti i pagamenti, versamenti e prelevamenti effettuati dopo la dichiarazione di fallimento”, e alla circostanza che l’adempimento di detto obbligo non comporterebbe comunque alcuna duplicità di pagamenti (profilo evidenziato dall’appellante nelle proprie difese), atteso che le Poste, che avevano proceduto all’errato versamento, avrebbero avuto facoltà di esperire nei confronti dei beneficiari l’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., una volta dichiarati inefficaci i pagamenti ai sensi della L. Fall., art. 44. Tuttavia nella specie non ricorre l’ipotesi della L. Fall., art. 44, comma 1, trattandosi (per la somma in contestazione) di pagamenti effettuati dalle Poste e non dal fallito, mentre la L. Fall., art. 42, comma 1, applicabile nella specie, si limita ad affermare che la sentenza dichiarativa di fallimento priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni.

Tale limitazione, dunque, non ha effetti diretti nella sfera giuridica del altro soggetto (nella specie Poste Italiane) e ciò comporta, per quest’ultimo, l’assenza di una preclusione normativa all’effettuazione di pagamenti in favore di terzi in ragione di pregressi rapporti giuridici con il fallito.

L’assenza della detta preclusione, peraltro, non comporta ugualmente l’automatica legittimità dell’eventuale pagamento, restando naturalmente salva la verifica in ordine alla corretta effettuazione dello stesso e, nel caso di riconoscimento del diritto di restituzione del fallimento, la possibile identificazione del soggetto che ha provveduto al pagamento quale soggetto legittimato passivo (in alternativa al beneficiario del versamento), rispetto alla pretesa eventualmente azionata dal fallimento. Deve pertanto concludersi che il ricorso va accolto nei termini indicati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, per una nuova delibazione sulla domanda del fallimento avente ad oggetto la restituzione della somma di Euro 8.438,04.

A tal fine il giudice del merito si atterrà al principio di diritto secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento priva il fallito della disponibilità dei suoi beni dalla data della dichiarazione (L. Fall., art. 42, comma 1), provvedendo poi a stabilire se esista o meno un credito restitutorio del fallimento e in caso positivo se, in ragione delle prospettazioni delle parti e del titolo posto a fondamento della relativa richiesta, il soggetto legittimato passivo rispetto a tale obbligazione sia o meno l’attuale ricorrente, emettendo le pronunce consequenziali.

Il giudice del rinvio provvedere infine anche sulla domanda delle Poste nei confronti di R.S., quale beneficiarla del contestati pagamenti, nel caso di accoglimento della domanda del fallimento, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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