Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5223 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. II, 25/02/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 25/02/2021), n.5223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23053/2019 proposto da:

I.M.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato STEFANIA

SANTILLI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

MILANO, VIA LAMARMORA 42;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 5352/2019 del TRIBUNALE di MILANO del

23/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato in data 7.5.2018 (lunedì), I.M.O. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della domanda di protezione internazionale, emesso dalla competente Commissione Territoriale il 7.8.2017 e notificato in data 6.4.2018, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria, ovvero il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente dichiarava di essere nato in (OMISSIS) e di essersi trasferito a (OMISSIS) con la famiglia, ma di non essere in grado di riferire quando; di non appartenere a nessuna etnia; di essere di religione cristiana; di aver frequentato la scuola e di aver lavorato come manovale. La sua famiglia era composta dai genitori, di cui non conosceva l’ubicazione attuale e dalla sorella. Dichiarava di aver lasciato il proprio paese in data (OMISSIS) e di essere giunto in Italia il (OMISSIS). Quanto ai motivi della fuga dal proprio paese dichiarava che nel (OMISSIS) la setta islamica (OMISSIS) giungeva nel suo villaggio di (OMISSIS) e gli chiedeva di aderire al gruppo, ma che, visto il suo rifiuto, lo minacciava, poi lo sequestrava e lo portava in un bosco dove, insieme ad altre persone, egli veniva costretto a diventare, a sua scelta, un membro o un kamikaze; dopo 16 giorni i sequestratori, mentre portavano il gruppo di persone rapite in un altro luogo per sfuggire ai militari che stavano arrivando, invertivano la rotta e cominciavano a guidare velocemente; durante la manovra, molte delle persone rapite, compreso il ricorrente, riuscivano a fuggire. A questo punto, assieme alla sua compagna, il richiedente decideva di lasciare il paese e si recava in Libia, dove restava per tre anni e poi giungeva in Italia. Affermava di temere di essere ucciso in quanto il gruppo di (OMISSIS) è molto pericoloso.

Con decreto n. 5352/2019, depositato in data 23.6.2019, il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Sulla valutazione di credibilità, si osservava che non vi erano ragioni per dubitare che il ricorrente fosse cittadino nigeriano, ma non era credibile che avesse vissuto a (OMISSIS). Invero, tra l’altro, era per nulla credibile la circostanza affermata secondo cui il padre, privo di lavoro, sarebbe andato a (OMISSIS), già da anni oggetto di attacchi del gruppo terroristico di (OMISSIS), al punto da aver generato una situazione di violenza generalizzata nell’ambito di un conflitto armato e ciò in particolare dal 2009. Il richiedente non era in grado di riferire in quale anno si sarebbe trasferito a (OMISSIS).

Anche quanto alla protezione sussidiaria, il Tribunale riteneva che non ricorresse alcuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Quanto al rischio di essere coinvolto nella violenza di un conflitto armato generalizzato, si osservava che la situazione della Nigeria, con particolare riferimento a Benin City (Edo State), secondo le informazioni aggiornate, non presentava una generalizzata situazione di violenza indiscriminata.

Nè ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Nella fattispecie, non erano stati allegati fatti diversi da quelli posti, in generale, a fondamento della domanda di protezione.

Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione I.M.O. sulla base di sei motivi. L’intimato Ministero dell’interno non svolgeva difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, il ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito dalla L. n. 46 del 2017, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’art. 6, comma 1, lett. g), con cui è stata introdotta la nuova disciplina processuale in materia di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, si applicano ai procedimenti giudiziari sorti dopo il 180 giorno dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto, nonostante ai sensi dell’art. 21, comma 2, le nuove modalità di svolgimento dell’audizione in sede amministrativa trovino applicazione alle domande di protezione internazionale introdotte dal 180 giorno dall’entrata in vigore del decreto e dunque prevede l’applicazione del nuovo rito processuale – con mera eventualità dell’udienza per l’audizione e mancanza di appello anche laddove il procedimento amministrativo si sia svolto con il vecchio rito, per violazione dell’art. 3 Cost., per trattamento disuguale di situazioni identiche, violazione dell’art. 24 Cost., in materia di diritto alla difesa e violazione dell’art. 111 Cost., in materia di giusto processo.

1.1. – Anche a prescindere dalla assenza di argomentazione in ordine alla rilevanza della questione nel giudizio a quo, essa è già stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (con giudizio che questo collegio fa proprio), giacchè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (v., ex plurimis, Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

Può, dunque, richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007).

La non irragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza o di arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011).

2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, in combinato disposto con l’art. 46 par. 3 Dir. (OMISSIS)/32/UE e art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. a presidio del diritto a un ricorso effettivo”, là dove il Tribunale rigettava la richiesta di nuova audizione del ricorrente al fine di fornire una maggiore e dettagliata versione dei fatti su cui si basava la domanda di protezione. Sicchè l’omessa audizione del richiedente, al fine di consentire chiarimenti a fronte di una valutazione di non credibilità espressa dalla Commissione, si pone in evidente contrasto con il disposto D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, commi 10 e 11, da interpretarsi in conformità con il diritto comunitario, che sancisce la necessità di un ricorso effettivo, con esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 618 del 2020; Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 32029 del 2018; Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 27182 del 2018). L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. n. 2817 del 2019, v. anche Corte di giustizia UE, sent. 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 21584 del 2020, n. 17717 del 2018), che costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce di quanto dichiarato di fronte alla Commissione; e ciò, a meno che: a) non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria la acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile. Essendo, peraltro, decisivo che, nella specie, dal contenuto dell’impugnato decreto non risulta che la difesa del ricorrente avesse introdotto ulterriori temi di indagine, nè allegato fatti nuovi, ritenendo così di avere a disposizione tutti gli elementi necessari ai fini della decisione.

3.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 14; omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, poichè il Tribunale non valutava la situazione della Libia e il lungo periodo ivi trascorso dal ricorrente con esposizione a torture e trattamenti disumani. In base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, la domanda di protezione internazionale deve essere esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese d’origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei paesi in cui questi sono transitati. Inoltre, ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), è dovere del Giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi d’indagine e di informazione, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente sia effettivamente sussistente nel paese in cui deve essere disposto il rimpatrio, in base a un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione.

3.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU. Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione personale da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

3.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente censura la “Violazione o falsa interpretazione della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, ratificata con L. n. 722 del 1954, della Dir. 2004/83/CE, attuata con D.Lgs. n. 251 del 2007, e, in particolare degli artt. 2, 7, 8 e 14 dello stesso Decreto, ex art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo, tra l’altro, che il Tribunale aveva il dovere di cooperare nell’accertamento delle condizioni che legittimano l’accoglimento del ricorso, acquisendo anche d’ufficio le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico del paese d’origine.

3.4. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente escluso che nel paese di origine vi sia una situazione di instabilità tale da comportare minaccia grave alla vita e alla persona del richiedente”.

3.5. – Con il sesto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7, 14, 16, 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; art. 10 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai presupposti della protezione umanitaria; mancanza o quantomeno apparenza della motivazione e nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni – artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6”, sottolineando che la necessità della valutazione comparativa deve prendere le mosse dalla condizione del paese al momento della partenza e proseguire con la verifica della condizione attuale del paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio determini la specifica compromissione dei diritti umani adeguatamente riconosciuti e goduti nel nostro paese.

4. – Per la loro connessione logico-giuridica e le modalità di formulazione, i motivi dal secondo al sesto, vanno esaminati e decisi congiuntamente.

4.1. – Essi non possono trovare accoglimento.

4.2. – Va premesso, in primo luogo che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento (così come nel secondo motivo) alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

4.3. – Peraltro, la valutazione, in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

4.4. – Questa Corte ha, d’altronde, chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 30, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018).

4.5. – Si rileva dunque come il ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una inammissibile nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente (apodittica e disancorata rispetto alla singola fattispecie esaminata), proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che (come detto) possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Laddove, poi, non è possibile pretendere l’attivazione dei poteri istruttori officiosi del tribunale per l’acquisizione di ulteriori informazioni sulla situazione sociopolitica della Nigeria, in presenza di una valutazione giudiziale negativa della credibilità del richiedente, valutazione quest’ultima che rende superflua ogni ulteriore approfondimento istruttorio in ordine al reclamato status di rifugiato.

4.6. – Sotto altro profilo, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (peraltro in termini generali valevoli per tutti i motivi) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

4.7. – Dal canto suo, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non v’è specifica adeguata indicazione. Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

4.8. – Oltre ad essere connotati dai medesimi vizi sopra posti in evidenza (cui si rinvia), i motivi propongono censure che si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione delle rapsodiche risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento; così mostrando il ricorrente di anelare piuttosto ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

5. – Il ricorso va dunque rigettato. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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