Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5222 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. II, 25/02/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 25/02/2021), n.5222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22107/2019 proposto da:

X.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato STEFANIA SANTILLI,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in MILANO, VIA

LAMARMORA 42;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– costituito –

avverso il decreto n. 5150/2019 del TRIBUNALE di MILANO del

10/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, depositato in data 21.1.2018, X.L. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della domanda di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale il 23.11.2017 e notificato in data 28.12.2017, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria, ovvero il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Sentita dalla Commissione, la ricorrente dichiarava di essere nata e cresciuta a (OMISSIS), di appartenere al gruppo etnico (OMISSIS) e di essere di religione cristiana. Il suo nucleo familiare era composto, oltre che da lei, dai genitori e da un fratello maggiore. Aveva frequentato l’università a (OMISSIS), ma non si era laureata. Fino alla partenza aveva lavorato con il commercio on line e in borsa. Quanto ai motivi che l’avevano indotta ad espatriare, aveva dichiarato di essere fedele alla chiesa chiamata “(OMISSIS)”. Nel (OMISSIS), durante una riunione di preghiera, aveva subito una perquisizione da parte della polizia, che, tuttavia, non aveva trovato niente e si era conclusa con un’ammonizione di astenersi dal fare riunioni contro la legge; se avessero continuato, la polizia li avrebbe arrestati per disturbo della tranquillità della società: venivano fotografati e identificati i presenti. Essendosi sparsa la voce dell’accaduto, la ricorrente non poteva fare più riunioni presso la casa dei genitori, che erano stati emarginati dalla famiglia, così come la ricorrente dalle sue “compagne di scuola”. La ricorrente affermava di essere stata da quel momento soggetta a controlli da parte del governo cinese, che operava attraverso i vicini di casa. Nel (OMISSIS) si era recata con la madre per svolgere attività di evangelizzazione a (OMISSIS), presso una signora e, mentre si trovavano da lei, era arrivata la polizia, ma le donne si erano nascoste in un vano interrato. Fuggite dal retro della casa, erano state raggiunte dalla polizia, che aveva trovato loro una bibbia. Erano state picchiate e invitate a dire se fosse più grande dio o il partito comunista. Fatte entrare sull’auto della polizia, dirette in caserma, all’improvviso i poliziotti erano stati chiamati per un caso di omicidio e quindi, non potendo condurle alla stazione di polizia, avevano chiesto loro se avessero dei soldi. Non soddisfatti del denaro ottenuto, le avevano insultate cacciandole dalla macchina. Nel (OMISSIS) era stato arrestato un predicatore con il quale la ricorrente faceva evangelizzazione, il quale aveva mostrato il nominativo e numero telefonico della ricorrente, che era stata quindi schedata. Da quel momento aveva deciso di non tornare più a casa dei genitori e di nascondersi a casa di una compagna di fede, dove era rimasta fino al (OMISSIS), con l’incubo di essere arrestata. Dal momento che le sue condizioni di salute erano andate peggiorando, l’amica la avesse aiutata a ottenere il passaporto e il visto. Era giunta così in Italia, ove si manteneva insegnando ai bambini cinesi e facendo le pulizie.

Il Tribunale non reputava necessario procedere alla rinnovazione del colloquio della ricorrente, essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione.

Con decreto n. 5150/2019, depositato in data 10.6.2019, il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Il Tribunale riteneva non credibile il racconto della ricorrente, non solo per la non precisa conoscenza dei fondamenti della fede professata, ma per il fatto di descrivere fatti e comportamenti delle autorità in contraddizione con l’esistenza di una condotta persecutoria e finalizzata a sterminare tutti i cristiani. Pertanto, il Tribunale riteneva di non accogliere la domanda di protezione internazionale.

Nè ricorreva nel caso in esame alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Nella fattispecie, la ricorrente non allegava fatti che facessero fondatamente ritenere che, in caso di rimpatrio, potesse andare incontro all’applicazione di sanzioni sproporzionate o disumane da parte dell’autorità statale, nè che rischiasse trattamenti inumani o degradanti da parte di un’agente non statale; e neppure che la situazione generale del paese, secondo le informazioni aggiornate, presentasse una generalizzata situazione di violenza indiscriminata. Infine, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Infatti, il Collegio ribadiva come la ricorrente non fosse stata ritenuta credibile e, pertanto, non potesse essere considerata persona vulnerabile in quanto vittima di tortura nel paese d’origine. Essendo escluso il rischio di essere immessa, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire un’effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali: laddove, per quanto riguarda la vita in Italia, la ricorrente non svolgeva alcuna allegazione in proposito, sicchè non vi erano elementi per affermare che la stessa avesse una situazione di effettivo radicamento nel nostro paese.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione X.L. sulla base di quattro motivi. il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via preliminare, la ricorrente chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. dalla L. n. 46 del 2017, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’art. 6, comma 1, lett. g), con cui è stata introdotta la nuova disciplina processuale in materia di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, si applicano ai procedimenti giudiziari sorti dopo il 180 giorno dall’entrata in vigore del suddetto decreto, nonostante ai sensi dell’art. 21, comma 2, le nuove modalità di svolgimento dell’audizione in sede amministrativa trovino applicazione alle domande di protezione internazionale introdotte dal 180 giorno dall’entrata in vigore del decreto e dunque prevede l’applicazione del nuovo rito processuale – con mera eventualità dell’audizione e mancanza di appello – anche laddove il procedimento amministrativo sia sorto con il vecchio rito, per violazione dell’art. 3 Cost., per trattamento disuguale di situazioni identiche, violazione dell’art. 24 Cost., in materia di diritto alla difesa e violazione dell’art. 111 Cost., in materia di giusto processo.

1.1. – Anche a prescindere dalla analisi della rilevanza della questione nel giudizio a quo, può richiamarsi il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007).

La non irragionevolezza della soluzione adottata dal legislatore evidenzia la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità non sussistendo in alcun modo quel livello di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà che unicamente consente di rimettere alla Corte Costituzionale la questione relativa all’esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2012, n. 141 del 2011; nonchè Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018; Cass. n. 18537 del 2020).

2. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11, in combinato disposto con l’art. 46 par. 3 Direttiva 2013/32/UE e art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. a presidio del diritto a un ricorso effettivo”, là dove il Tribunale non reputava necessario procedere a rinnovare il colloquio con la ricorrente, essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione; e rigettava la domanda di protezione internazionale sulla base di una valutazione di non credibilità del racconto.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Ove non sia disponibile la videoregistrazione con mezzi audiovisivi dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice di merito, chiamato a decidere del ricorso avverso la decisione adottata dalla Commissione, è tenuto a fissare l’udienza di comparizione delle parti a pena di nullità del suo provvedimento decisorio, salvo il caso in cui il richiedente abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Cass. n. 618 del 2020; Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 32029 del 2018; Cass. n. 17717 del 2018; Cass. n. 27182 del 2018). L’obbligo non riguarda tuttavia anche il rinnovo dell’audizione, che grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente: ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass. n. 2817 del 2019, v. anche Corte di giustizia UE, sent. 26 luglio 2017 in causa C-348/16).

Non sussiste, infatti, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. n. 21584 del 2020, n. 17717 del 2018), che costituisce quindi una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce di quanto dichiarato di fronte alla Commissione; e ciò, a meno che: a) non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria la acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile. Essendo, peraltro, decisivo che, nella specie, dal contenuto dell’impugnato decreto non si evidenzia che la difesa del ricorrente avesse introdotto ulteriori temi di indagine, nè allegato fatti nuovi, ritenendo così di avere a disposizione tutti gli elementi necessari ai fini della decisione.

3.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e successive modifiche”, osservando che in Cina la libertà di culto è assoggettata a forti restrizioni, avendo le autorità stilato una lista di 14 movimenti definiti “malvagi e illegali”, tra cui quello della ricorrente, i cui adepti vengono perseguitati in quanto ritenuti latori di obiettivi politici. Il Tribunale non individuava il quadro normativo cinese con riferimento alla libertà religiosa e ai movimenti ritenuti illegali e non ricostruiva il quadro normativo delle procedure di polizia e i poteri a disposizione. Il Giudice di merito avrebbe dovuto svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese d’origine. La decisione impugnata non applicava i parametri normativi sulla credibilità poichè le valutazioni negative su di essa si basavano su speculazioni soggettive, congetture, stereotipi o intuizioni. Mentre le dichiarazioni del richiedente non possono essere considerate in astratto, ma nel contesto della situazione concreta.

3.2. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3,4,14 e segg. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non aver il Collegio esaminato la situazione del paese d’origine al fine di valutare la domanda di protezione sussidiaria”, giacchè il decreto sarebbe stato emesso omettendo l’esame della situazione nel paese d’origine. Solo valutando le fonti si può determinare se sussista il rischio di trattamenti inumani o degradanti in caso di rimpatrio, Il Tribunale avrebbe dovuto prendere in esame le indicazioni fornite dalla ricorrente, riferite alla possibilità di procurarsi in Cina un passaporto mediante corruzione del funzionario. Secondo il ricorrente il Giudicante avrebbe dovuto tenere conto del contesto reale e non descrivere la condotta dei poliziotti in uno stato di diritto, quale non è il contesto di provenienza della ricorrente.

3.3. – Con il quarto motivo, il ricorrente censura la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e dell’art. 5, comma 6 del T.U.I. in combinato disposto con gli artt. 3 e 10 Cost., artt. 3 e 8 CEDU, avendo omesso il Tribunale di considerare che in Cina alla ricorrente è precluso di esercitare il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso, a differenza dell’effettivo godimento dello stesso in Italia.

4. – Per la loro connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

4.1. – Essi non possono essere accolti.

4.2. – Va premesso, in primo luogo che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento (così come nel primo motivo) alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

4.3. – Peraltro, la valutazione, in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

4.4. – Questa Corte ha, d’altronde, chiarito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona”, cosicchè “qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente all’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. n. 16925 del 2018; conf. Cass. n. 11924 del 2020; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 33858 del 2019).

4.5. – Si rileva dunque come il ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una inammissibile nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente (apodittica e disancorata rispetto alla singola fattispecie esaminata), proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che (come detto) possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Laddove, poi, non è possibile pretendere l’attivazione dei poteri istruttori officiosi del tribunale per l’acquisizione di ulteriori informazioni sulla situazione sociopolitica e religiosa della Cina, in presenza di una valutazione giudiziale negativa della credibilità del richiedente; valutazione quest’ultima che rende superfluo ogni ulteriore approfondimento istruttorio in ordine al reclamato status di rifugiato.

4.6. – Giova dunque ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (peraltro in termini generali valevoli per tutti i motivi) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

4.7. – Nella specie, il contenuto dei citati motivi (a prescindere dal richiamo alle molteplici disposizioni di legge asseritamente violate) spazia dalla violazione di norme costituzionali e legislative, nazionali e d’origine Eurounitaria ed internazionali, alla doglianza d’omesso esame di fatti decisivi e discussi. Il tutto per poi concludere, in maniera del tutto generica ed apodittica, che il Tribunale non avrebbe considerato la drammaticità della situazione personale del richiedente e di quella generale del Paese d’origine, nonchè le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale, in un quadro di grave crisi e insicurezza che investe l’intero paese, in un crescendo sempre più violento (Cass. n. 8368 del 2020).

4.8. – Le censure si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito, non condivisi e per ciò solo censurati, al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (Cass. n. 9275 del 2018).

5. – Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto idonea attività difensiva. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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