Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5221 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 26/02/2020), n.5221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32375/2018 proposto da:

I.C., rappresentato e difeso dall’avvocato ELIO ROSSI e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

14/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 14.9.2018 il Tribunale di Campobasso rigettava il ricorso interposto da I.C. avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Campobasso aveva respinto l’istanza volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della protezione sussidiaria od umanitaria. Il Tribunale riteneva in particolare non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto I.C. affidandosi a sette motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe omesso di rilevare la nullità del decreto di rigetto emesso dalla Commissione territoriale perchè esso non era stato tradotto nella lingua del richiedente.

La censura è infondata.

Nello svolgimento del motivo il ricorrente dà atto che il provvedimento era stato tradotto in lingua inglese, che rappresenta una delle cd. lingue veicolari, ma contesta l’uso di detta lingua in assenza di motivazione circa l’irreperibilità di un interprete nella sua lingua nativa. Va osservato che le lingue ufficiali in Nigeria sono l’inglese e lo yoruba; l’uso dell’inglese, pertanto, non è solo giustificato in quanto si tratta di una delle quattro cd. lingue veicolari (insieme a francese, spagnolo e arabo), ma innanzitutto in dipendenza del fatto che quella è una delle lingue ufficiali del Paese di origine del richiedente.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione della Direttiva 2004/83/CE, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13, e art. 10 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe respinto la domanda di protezione, internazionale ed umanitaria, presentata dal richiedente senza procedere ad un compiuto apprezzamento della condizione del Paese di origine, ed avrebbe erroneamente ritenuto inattendibile il racconto personale, senza considerare che quest’ultimo non aveva subito alcun cambiamento tra la fase amministrativa e quella giurisdizionale.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente non indica alcun elemento specifico della sua storia che non sarebbe stato correttamente valutato dal giudice di merito, ma si limita a richiamare la documentazione prodotta nel giudizio di merito a sostegno della condizione di violenza generalizzata esistente in Nigeria, da un lato, e a valorizzare la circostanza che il suo racconto era rimasto sempre lo stesso, sia in fase amministrativa che nel corso del giudizio, a pretesa riprova della sua credibilità. In tal modo l’ I. sollecita in sostanza un riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio in Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè della sentenza della Corte di Giustizia n. 172/09, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente omesso di compiere la verifica della condizione del Paese di origine del richiedente la protezione.

La censura è infondata. Risulta invero dalla decisione impugnata (cfr. pag.4) che “… tenuto conto della attuale situazione socio-politica esistente, non si ravvisa il pericolo che il richiedente, tornando in Nigeria, possa subire un grave danno, sia perchè detta situazione non appare, di per sè, allarmante, sia perchè la specifica condizione soggettiva del richiedente (ritenuta, in ogni caso, per i motivi di cui sopra inattendibile) non lo rende esposto ad alcun particolare o individualizzato rischio. Invero, nel territorio di provenienza, lo stato di Lagos, al sud della Nigeria, non è in atto una violenza indiscriminata dal momento che l’organizzazione terroristica jihadista Boko Haram opera nel nord est del paese (in particolare negli stati di Borno, Yobe e Adamawa per i quali l’UNHCR ha dato indicazioni di non rimpatrio”. La condizione del Paese di origine del richiedente la protezione, pertanto, è stata compiuta dal giudice di merito. Nè il ricorrente indica, nel corpo del motivo in esame, alcuna fonte dalla quale si ricaverebbe la prova della ritenuta situazione di violenza indiscriminata esistente in Nigeria.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale non ha tenuto conto del fatto che in Nigeria sono attive sette e società segrete che usano metodi intimidatori e violenti e contribuiscono al generale quadro di instabilità del Paese.

Per quanto attiene alla condizione del Paese di provenienza del ricorrente, la doglianza è inammissibile per i medesimi motivi di cui al precedente motivo. Per quanto invece attiene alla presenza di sette e società segrete, l’allegazione di per sè sola non basta ad assicurare credibilità al racconto del richiedente, nè ad avvalorare alcuna sua condizione di vulnerabilità in dipendenza della sua affiliazione ad una setta o società segreta. Il ricorrente aveva infatti l’onere di specificare, nel corpo del motivo, di quale setta si parlasse, quali sarebbero stati i metodi intimidatori usati nei suoi confronti e quali gli elementi non adeguatamente valutati dal giudice di merito. In difetto di tali specificazioni questa Corte non può procedere all’accesso diretto al fascicolo per verificare la fondatezza della censura proposta, non risolvendosi quest’ultima in un error in procedendo, in relazione al quale la Cassazione assume il ruolo di giudice del fatto processuale.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere quantomeno la protezione umanitaria, alla luce del fatto che egli, dopo essere fuggito dalla Nigeria, di era rifugiato in Libia, da dove era poi stato costretto a scappare di nuovo a causa della guerra civile scoppiata e delle conseguenti violenze scoppiate in quel Paese.

La censura è inammissibile, in quanto il richiedente non allega quando tale deduzione sarebbe stata formulata al giudice di merito, nè dimostra alcun particolare motivo di radicamento in Libia, tale da far presumere che il suo rimpatrio possa essere in concreto eseguito verso tale Paese.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, dei documenti sanitari attestanti il suo stato di salute.

La censura è inammissibile perchè il ricorrente richiama in modo generico “… la tessera e il certificato ASREM nonchè i motivi di salute prodotti in allegato al ricorso ex art. 737 c.p.c.” (cfr. pag.13 del ricorso), senza tuttavia specificare in alcun modo di quali documenti si tratterebbe, nè riprodurne neanche per stralci- il contenuto.

Infine, con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, del Protocollo relativo allo statuto dei rifugiati adottato a New York il 31.1.1967 e della Direttiva 2004/83/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe negato il riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria senza applicare nel modo corretto i principi posti dalle dette norme internazionali in materia di esame e valutazione delle dichiarazioni del soggetto richiedente l’asilo.

Anche questa censura è inammissibile, in quanto il ricorrente si limita ad una generica critica della decisione finale adottata dal giudice di merito, senza tuttavia attingere in modo specifico e puntuale i singoli passaggi della motivazione del provvedimento oggi impugnato che ritiene inconferenti.

Da quanto sopra discende il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, in difetto di attività difensiva svolta dal Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono presupposti processuali per dichiarare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’obbligo di versamento da parte del ricorrente medesimo dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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