Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5220 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 26/02/2020), n.5220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30639/2018 proposto da:

U.D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA n.

20, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IACOVINO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE

TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE e PROCURA

REPUBBLICA TRIBUNALE CAMPOBASSO;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

06/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 6.9.2018 il Tribunale di Campobasso rigettava il ricorso interposto da U.D.D. avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Campobasso aveva respinto l’istanza volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della protezione sussidiaria od umanitaria. Il Tribunale riteneva in particolare non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto U.D.D. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, lett. a) della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7 e 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e l’omissione della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione, internazionale ed umanitaria, invocata dal richiedente, senza considerare la situazione di violenza generalizzata esistente nella sua zona di provenienza – l’Imo State – e senza apprezzare la sua correlata condizione soggettiva di vulnerabilità.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente non indica alcun elemento specifico della sua storia che non sarebbe stato correttamente valutato dal giudice di merito, ma si limita a richiamare la documentazione prodotta nel giudizio di merito a sostegno della condizione di violenza generalizzata esistente nell’Imo State, sollecitando in sostanza un riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio in Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Quanto invece alla sua condizione soggettiva di vulnerabilità, il ricorrente nulla deduce in merito alla valutazione di non credibilità che il Tribunale ha chiaramente espresso in relazione alla storia da lui riferita innanzi la Commissione territoriale: di conseguenza, sotto questo profilo, la censura non appare assistita dalla necessaria specificità e non si confronta in modo adeguato con la motivazione resa dal giudice di merito.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 74 e 136, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto manifestamente infondato il ricorso e disposto, di conseguenza, la revoca dell’ammissione del richiedente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

La censura è infondata.

La revoca del beneficio di cui anzidetto costituisce infatti conseguenza automatica, prevista per legge (cfr. del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2), della dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda. Trattasi di misura evidentemente ispirata ad evitare che i costi derivanti dalla proposizione di domande evidentemente infondate, ovvero di iniziative giudiziarie attivate con malafede e colpa grave, ricadano sulla collettività. In questo senso, non si ravvisa alcun profilo di contrasto tra tale previsione ed i principi posti dagli artt. 3 e 24 Cost.: quanto al primo, perchè non sussiste alcun trattamento irragionevole di situazioni differenziate, essendo al contrario – del tutto ragionevole che la situazione di colui che, essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato in via provvisoria, abbia agito o resistito in giudizio con colpa grave o malafede, o abbia proposto domande palesemente infondate, non meriti identico trattamento rispetto alla condizione del soggetto che, nella identica condizione soggettiva, si sia invece comportato con buona fede e senza colpa, ed abbia proposto una domanda non manifestamente infondata. Nè si ravvisano profili di contrasto con l’art. 24 Cost., giacchè il diniego dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non si traduce necessariamente ed in via automatica in una limitazione del diritto di azione e difesa dell’interessato. Inoltre, occorre considerare che l’ammissione viene sempre disposta in via provvisoria, onde appare ulteriormente ragionevole che, in sede di verifica finale, si faccia luogo alla revoca del beneficio in tutti i casi in cui la sua anticipata concessione si riveli non giustificata in ragione dell’atteggiamento soggettivo dell’interessato ovvero dell’oggettiva manifesta infondatezza della domanda da esso proposta.

Da quanto sopra discende il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, in difetto di attività difensiva svolta dal Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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