Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5220 del 21/02/2019

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 21/02/2019), n.5220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1623/2018R.G. proposto da

A.L., nata il (OMISSIS), G.C., GI.RO.,

A.L., nata il (OMISSIS), A.M., V.C.,

AC.LU., A.A. e A.G., rappresentati e

difesi dall’Avv. Gennaro Improta, con domicilio eletto in Roma, via

della Meloria, n. 52;

– ricorrenti –

contro

LABOR S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.

B.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Eliso Desiderio, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso la sentenza del Tribunale di

Nocera Inferiore n. 2053/17 depositata il 15 dicembre 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre

2018 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha

chiesto la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso proposto da

Gi.Ro. e la dichiarazione di competenza del Tribunale di

Salerno.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.C., Gi.Ro., V.C., A.L., A.M., Ac.Lu., A.A., A.M., A.P., A.G., A.L. e Ac.Lu. convennero in giudizio il Prefetto di Salerno ed il Pastificio Labor S.r.l., per sentir determinare l’indennità dovuta per l’espropriazione di fondi di foro proprietà, disposta con decreto del 9 aprile 1984, oltre all’indennità di occupazione, al deprezzamento della superficie residua, al valore delle piantagioni, delle opere e delle costruzioni esistenti nei fondi, nonchè ogni altro danno ad essi arrecato.

Si costituì il Pastificio, ed eccepì la nullità della citazione, per indeterminatezza del petitum e della causa petendi, nonchè l’infondatezza della domanda.

1.1. Il giudizio, originariamente instaurato dinanzi al Tribunale di Salerno, a seguito dell’entrata in vigore della L. 11 febbraio 1992, n. 127, fu trasmesso al neocostituito Tribunale di Nocera Inferiore, che con sentenza del 15 dicembre 2017 ha dichiarato la propria incompetenza.

Premesso che la domanda doveva essere qualificata come opposizione alla stima, e rilevato che gli attori non avevano contestato la legittimità del procedimento ablatorio, il Tribunale, per quanto ancora interessa in questa sede, ha accertato che l’espropriazione era stata disposta ai sensi del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, il quale, agli artt. 49 e 53, richiamava le norme della L. 25 giugno 1865, n. 2359, stabilendo inoltre che l’indennità di espropriazione doveva essere determinata ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 17; precisato che l’individuazione del giudice competente deve aver luogo con riferimento alla normativa in base alla quale è stata disposta l’espropriazione e determinata l’indennità, ha affermato che, in forza del rinvio contenuto nelle predette disposizioni, l’opposizione spettava alla cognizione della Corte d’appello di Salerno, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, non assumendo alcun rilievo la sopravvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale dei criteri indennitari dalla stessa introdotti, la quale non aveva inciso sulla disciplina della competenza per materia. Ha aggiunto che la competenza in unico grado della Corte di appello era stata nella specie riconosciuta da quest’ultima con sentenza n. 621/08, pronunciata tra le stesse parti nel giudizio di appello riguardante il pagamento dei frutti pendenti al momento dell’espropriazione.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto istanza di regolamento di competenza G.C., Gi.Ro., V.C., A.L., Ac.Lu., A.A., A.M., A.G. e A.L.. Ha resistito con memoria la Labor S.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità dell’istanza di regolamento proposta da Gi.Ro., in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa della resistente, mentre va disattesa l’analoga eccezione da quest’ultima formulata nei confronti degli altri ricorrenti.

Come si evince dall’intestazione del ricorso, il difensore di questi ultimi risulta infatti costituito, nella presente fase, in virtù di una procura rilasciata “in atti”, la cui generica menzione non impedisce peraltro, pur in assenza di ulteriori indicazioni, d’identificarla con quella apposta a margine della comparsa depositata nel corso del giudizio di primo grado, dove egli si costituì per gli attori in sostituzione del precedente difensore. Tale identificazione deve considerarsi sufficiente ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, per la cui proposizione non occorre il conferimento di un’apposita procura speciale, trovando applicazione il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui il difensore della parte, munito di procura speciale per il giudizio di merito, deve considerarsi legittimato anche a promuovere il regolamento di competenza, ove ciò non risulti espressamente e inequivocabilmente escluso dal mandato alle liti, dal momento che l’art. 47 c.p.c., comma 1, secondo cui l’istanza si propone con ricorso sottoscritto dal procuratore, detta una norma speciale che prevale su quella generale prevista dall’art. 83 c.p.c., comma 4, ai sensi del quale la procura speciale si presume conferita per un solo grado del giudizio, quando dall’atto non risulti una volontà diversa (cfr. Cass., Sez. 6, 27/12/2013, n. 28701; Cass., Sez. 1, 9/09/2004, n. 18199; Cass., Sez. 3, 7/06/2004, n. 10812). Senonchè, come correttamente rilevato dalla difesa della resistente, la procura apposta a margine della comparsa di costituzione in primo grado non reca la sottoscrizione della Gi., nei confronti della quale il difensore dei ricorrenti deve dunque considerarsi fin dall’origine privo di jus postulandi, con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione. Irrilevante è invece la circostanza che la medesima procura risulti sottoscritta anche da soggetti diversi da quelli che compaiono nell’intestazione del ricorso, essendo gli stessi liberi di astenersi dall’impugnazione della sentenza di primo grado, nonostante la partecipazione alla precedente fase processuale.

2. Quanto poi all’eccepito difetto di autosufficienza del ricorso, è appena il caso di ricordare che, ai fini dell’osservanza di tale requisito, non è necessario un dettagliato resoconto dei fatti di causa e del contenuto della sentenza impugnata, risultando sufficiente che dall’atto possano evincersi tutti gli elementi necessari a porre il Giudice di legittimità in grado di avere una completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, nonchè le ragioni per cui si chiede la riforma della decisione ed i relativi riferimenti agli atti di causa, in modo tale da consentire di apprezzarne pienamente la portata.

Nella specie, avuto riguardo anche alla specificità della questione sollevata dai ricorrenti, l’onere di fornire le predette indicazioni può ritenersi adeguatamente soddisfatto, articolandosi il ricorso in una concisa esposizione dello svolgimento del processo, comprendente una sintesi delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, ed in una più diffusa illustrazione degli argomenti svolti a sostegno dell’istanza, corredati da opportuni richiami alla giurisprudenza di legittimità.

3. Affermano infatti i ricorrenti che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il procedimento di espropriazione non si è svolto in applicazione della disciplina dettata dalla L. n. 865 del 1971, ma combinando quella prevista dalla L. n. 2359 del 1865 con quella introdotta dal D.P.R. n. 218 del 1978, e l’indennità non è stata determinata dall’UTE nelle forme previste dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 16 e 17, ma attraverso una perizia giurata redatta da un tecnico di fiducia dell’espropriante. Contestano pertanto la riconducibilità della controversia alla competenza in unico grado della Corte d’appello, negando inoltre l’intervenuta formazione di un giudicato sulla competenza per effetto della sentenza n. 621/08, con la quale la medesima Corte d’appello si è limitata ad affermare genericamente la propria competenza in ordine all’opposizione alla stima, subordinatamente all’avvenuta determinazione dell’indennità con il procedimento di cui alla L. n. 865 del 1971.

3.1. Si osserva al riguardo che, a fondamento della declinatoria di competenza, il Tribunale ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione, secondo cui l’individuazione del giudice competente a conoscere della domanda del proprietario diretta ad ottenere la determinazione delle relative indennità è indissolubilmente legata alla tipicità del modello procedimentale di volta in volta utilizzato dalla Pubblica Amministrazione, nel senso che essa deve aver luogo unicamente in base alla normativa in concreto applicata per disporre l’espropriazione, senza che assuma alcuna rilevanza l’astratta assoggettabilità del rapporto espropriativo ad una diversa disciplina (cfr. Cass., Sez. 1, 9/02/ 2005, n. 2619; 12/03/2002, n. 3654; 24/11/1999, n. 13041).

Tale indirizzo si è sviluppato a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 865 del 1971, che introdusse, a fianco del procedimento disciplinato dalla L. n. 2359 del 1865, che rimetteva allo stesso espropriante la determinazione dell’indennità di espropriazione (art. 24), un nuovo modello di procedimento ablatorio, ispirato ad esigenze di celerità e semplificazione, nello ambito del quale la liquidazione dell’indennizzo, da effettuarsi sulla base di valori predeterminati e risultanti da apposite tabelle, costituiva oggetto di un subprocedimento originariamente affidato all’ufficio tecnico erariale (della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16), poi sostituito da commissioni provinciali aventi sede presso il medesimo ufficio (L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14). Si venne in tal modo a determinare la coesistenza di due diversi modelli procedimentali, cui corrispondeva, in sede giurisdizionale, una differenziazione di competenze, nel senso che l’opposizione alla stima, proponibile nel primo caso dinanzi al tribunale (legge n. 2359 del 1865, art. 51), nel secondo era devoluta alla corte d’appello (della L. 22 ottobre 1971, n. 865, artt. 19 e 20), la cui competenza in unico grado, che comportava per l’espropriato la privazione di un grado di giurisdizione di merito, trovava giustificazione da un lato nella esigenza di accelerare la definizione del giudizio, dall’altro nella natura oggettiva dei criteri da applicare ai fini della quantificazione dell’indennità. Tale diversificazione, posta anche in relazione con la pluralità ed eterogeneità dei riferimenti normativi usualmente riportati negli atti del procedimento, comportava peraltro non poche difficoltà nell’individuazione del giudice competente, ulteriormente accresciute dall’incertezza manifestatasi in dottrina ed in giurisprudenza relativamente alla definizione dell’ambito applicativo della L. n. 865 del 1971: l’art. 9, circoscrivendone l’operatività alle espropriazioni finalizzate alla realizzazione d’interventi specificamente individuati, induceva ad escludere, non senza contrasti, che con la stessa si fosse inteso introdurre una disciplina interamente sostitutiva rispetto a quella dettata dalla L. n. 2359 del 1865, e tale opinione trovò conferma, limitatamente alla determinazione dell’indennità, nel D.L. 2 maggio 1974, n. 115, art. 4, comma 1, introdotto dalla L. di conversione 27 giugno 1974, n. 247; tale disposizione, precisando che le norme contenute nel titolo 2 della L. n. 865 del 1971 erano applicabili “a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali”, confermò infatti la rife-ribilità della predetta normativa agl’interventi di natura pubblica e la portata residuale della disciplina dettata dalla L. n. 2359 del 1865, riguardante ormai le sole espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private di pubblica utilità (cfr. Cass., Sez. 1, 11/12/2003, n. 18928; 27/08/1999, n. 8989; 22/ 12/1987, n. 9573). La natura discrezionale della valutazione sottesa alla scelta del procedimento da utilizzare ai fini dell’espropriazione, posta anche in relazione con l’oggetto del giudizio di opposizione alla stima, indusse tuttavia ad escludere la possibilità di sindacare, in detta sede, la legittimità dell’iter seguito ai fini della determinazione dell’indennità, in relazione alla natura dell’opera da realizzare, ed a collegare l’individuazione del giudice competente alle modalità in concreto adottate dalla Pubblica Amministrazione: fu infatti affermato che, in quanto avente ad oggetto il diritto dell’espropriato alla liquidazione della giusta indennità dovuta in applicazione della legge sulla base della quale è stato instaurato e condotto a termine il procedimento ablatorio, l’opposizione alla stima non consente di sollevare questioni riguardanti l’astratta applicabilità di una legge diversa da quella applicata nei fatti dalla Pubblica Amministrazione, introducendosi altrimenti, in via principale e non meramente incidentale, un’indagine riguardante scelte discrezionali compiute nel perseguimento di scopi d’interesse pubblico, preclusa al Giudice ordinario e consentita soltanto dinanzi al Giudice amministrativo (cfr. Cass., Sez. Un., 22/07/1978, n. 3668; Cass., Sez. 1, 9/11/ 1981, n. 5908). In un primo tempo, prevalse quindi l’opinione secondo cui, ai fini dell’individuazione del giudice competente a pronunciare sull’opposizione alla stima, occorreva avere riguardo alla procedura seguita ai fini della determinazione dell’indennità, con la conseguente spettanza della controversia alla corte d’appello esclusivamente nel caso in cui la stima fosse stata eseguita dall’ufficio tecnico erariale o dalla commissione provinciale, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 15 (cfr. Cass., Sez. 1, 18/06/1992, n. 7554; 22/02/1990, n. 1313; 17/02/1988, n. 1691). In seguito, tuttavia, anche per effetto delle sentenze della Corte cost. n. 67 del 1990 e n. 470 del 1990, con cui fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della predetta legge, artt. 19 e 20 nella parte in cui subordinavano la proposizione della domanda di liquidazione delle indennità di espropriazione o di occupazione alla previa notifica della stima compiuta in via amministrativa, si affermò l’orientamento, divenuto ormai jus receptum, secondo cui, ai fini della individuazione del giudice competente, occorre tener conto del procedimento concretamente seguito dalla Pubblica Amministrazione ai fini dell’espropriazione, indipendentemente da quello specificamente adottato per la determinazione delle indennità: le predette sentenze, consentendo di proporre l’opposizione anche in assenza della stima amministrativa, a condizione che sia stato già emesso il decreto ablatorio, hanno infatti svincolato l’azione dal relativo subprocedimento, determinandone la trasformazione in un rimedio di carattere autonomo, utilizzabile anche nel caso in cui il subprocedimento non sia stato neppure avviato, e non risulti pertanto possibile individuare la legge concretamente applicata dall’Amministrazione (cfr. Cass., Sez. 1, 30/ 09/2010, n. 20469; 12/04/2002, n. 5263; 14/03/2000, n. 2915).

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, la quale, dato atto che l’espropriazione dei fondi degli attori era stata disposta nelle forme previste dalla L. n. 865 del 1971, richiamata dal D.P.R. n. 218 del 1978 per gli espropri finalizzati alla realizzazione di opere comprese negli interventi per il Mezzogiorno, ha ritenuto che la competenza in ordine alla domanda di determinazione delle indennità di espropriazione ed occupazione spettasse alla Corte d’appello, ai sensi della predetta legge, artt. 19 e 20, nonostante l’adozione di un procedimento diverso da quello contemplato dagli artt. 16 e 17 per l’effettuazione della stima amministrativa: anche in riferimento alle espropriazioni previste dalla L. n. 218 del 1978, questa Corte, nel ribadire che il ricorso al modello procedimentale di cui alla L. n. 865 del 1971 comporta l’attribuzione alla corte d’appello in unico grado delle controversie relative alla determinazione delle indennità, ha infatti precisato che, avuto riguardo anche alla trasformazione dello speciale rimedio previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 19, per effetto delle sentenze additive della Corte costituzionale che hanno esteso la predetta competenza ad ogni ipotesi in cui l’espropriazione sia stata promossa secondo l’indicata legge e sia stato emanato il decreto ablatorio, indipendentemente dalla notificazione della stima amministrativa, tale competenza resta ferma anche nel caso in cui la stima sia stata effettuata da organi diversi dall’apposita commissione istituita in ogni provincia e, prima del suo insediamento, dall’ufficio tecnico erariale (cfr. Cass., Sez. 1, 29/01/1999, n. 780; 25/07/1997, n. 6960; 12/05/1994, n. 4646).

3.2. Ininfluente, a fronte di tali conclusioni, appare il richiamo del Tribunale alla decisione precedentemente pronunciata dalla Corte d’appello di Salerno in ordine alla domanda di pagamento dei frutti pendenti al momento dell’espropriazione, alla quale, d’altronde, la sentenza impugnata non ha affatto riconosciuto efficacia di giudicato, neppure ai fini dell’individuazione del giudice competente in ordine all’opposizione alla stima, essendosi limitata a prendere atto dell’indicazione dalla stessa emergente, che coincideva con le conclusioni cui essa era autonomamente pervenuta.

4. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso proposto da Gi.Ro.; rigetta il ricorso proposto da A.L., G.C., A.L., A.M., V.C., Ac.Lu., A.A. e A.G.. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2019

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