Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5200 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. II, 28/02/2017, (ud. 20/01/2017, dep.28/02/2017),  n. 5200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11942/2013 proposto da:

C.T., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA

presso la Cancelleria della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, e

rappresentata e difesa dall’avv. MASSIMO MAZZUCCHIELLO, giusto

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V. ORTIGNANO 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLA PICCINNO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GUIDO BELMONTE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, V. DELLA FREZZA 17, presso lo studio

dell’avvocato MAURO RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente

agli avvocati CLEMENTINA PULLI, CAPANNOLO EMANUELA;

– resistente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il

25/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUCIO

CAPASSO che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

l’inammissibilità del secondo e l’assorbimento degli altri motivi;

Lette le memorie di parte ricorrente e del controricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ordinanza del 25/10/2012 il Tribunale di Napoli confermava il decreto di liquidazione emesso in favore del CTU, Dott. M.F., nel procedimento civile n. 43100/2010, pendente tra l’opponente C.T. e l’INPS.

Ad avviso del giudice dell’opposizione il ricorso era palesemente inammissibile in quanto di nulla poteva dolersi la ricorrente, atteso che l’importo della liquidazione era stato posto a carico dell’INPS. In ogni caso la C. non si doleva della quantificazione della somma ma di vicende che “poco hanno a che fare con la procedura adottata”. Avverso tale provvedimento propone ricorso C.T. sulla base di quattro motivi, chiedendo, anche in caso di ravvisata inammissibilità del ricorso, di pronunciare il principio di diritto nell’interesse della legge.

M.F. ha resistito con controricorso.

L’INPS ha resistito ai soli fini della discussione orale.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del M. sul presupposto che il provvedimento impugnato sarebbe insuscettibile di ricorso ex art. 111 Cost..

Ed, infatti, avverso il provvedimento che decide sull’opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi agli ausiliari, in ragione dell’espressa esclusione della possibilità di appello, così come prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 – e come confermato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, u.c., applicabile al presente procedimento ratione temporis – atteso il carattere decisorio e definitivo che lo stesso assume, deve riconoscersi la possibilità di ricorso in cassazione ex art. 111 Cost., come affermato dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte.

Peraltro il richiamo della difesa di parte controricorrente a quanto affermato da Cass. n. 11418/2003, risulta del tutto improprio, atteso che il precedente in questione concerne la diversa ipotesi in cui il provvedimento di liquidazione sia stato adottato dal giudice allorquando il procedimento nel corso del quale era stata prestata l’attività da parte dell’ausiliario risultava già definito, contestandosi quindi la stessa ammissibilità di un provvedimento di liquidazione, avverso il quale si riteneva quindi possibile proporre direttamente ricorso in cassazione ex art. 111 Cost., senza il previo esperimento dell’opposizione di cui al menzionato art. 170.

Va poi osservato che il procedimento de quo è stato avviato alla decisione ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito nella L. n. 197 del 2016, per il quale non è prevista la comunicazione di alcuna proposta, contrariamente a quanto assume il controricorrente.

Del pari deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso proposto dal M. in quanto notificato alla ricorrente presso la Cancelleria della Suprema Corte, anzichè in via telematica presso l’indirizzo di PEC indicato dal difensore della ricorrente.

E’ pur vero che la notifica andava effettuata presso il suddetto indirizzo (cfr. sul punto Cass. S.U. n. 10143/2012, nonchè Cass. n. 25215/2014, a mente della quale nel giudizio per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 366 c.p.c., introdotte dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, qualora il ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma ed abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, è valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione, perchè, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni – come nel caso in esame – è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria), ma alla luce di quanto autorevolmente affermato da Cass. S.U. nn. 14916 e 14917/2016, trattasi di vizio che è tale da determinare la sola nullità della notificazione e non già l’inesistenza, sicchè a fronte delle difese spiegate sul punto dalla ricorrente principale, deve ritenersi che il vizio della notifica sia comunque sanato (sulla sanatoria della notifica nulla anche nell’ipotesi in cui la controparte si costituisca al solo fine di eccepire la nullità, si vedano le sentenze nn. 14916 e 14917 citate, nonchè con specifico riferimento alla notifica del controricorso Cass. n. 13857/2014, secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore della L. 12 novembre 2011, n. 183 (avvenuta il 1 gennaio 2012), la notifica del controricorso al difensore che non abbia eletto domicilio in Roma deve essere effettuata, a pena di nullità, all’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato all’ordine professionale ed indicato in ricorso, fermo restando che, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, ove l’atto, malgrado l’irritualità della notifica, sia venuto a conoscenza del destinatario, la nullità non può essere dichiarata per il raggiungimento dello scopo).

Tornando ai motivi del ricorso principale, si rileva che il provvedimento impugnato ha di fatto ravvisato l’inammissibilità dell’opposizione proposta in ragione della circostanza che il decreto di liquidazione impugnato non aveva posto l’onere della CTU a carico dell’opponente, sicchè di nulla quest’ultima poteva dolersi.

Inoltre, poichè i motivi di opposizione non investivano direttamente il quantum della liquidazione, ma vicende diverse (in particolare la pretesa nullità dell’attività peritale per la violazione della previsione di cui dell’art. 195 c.p.c., comma 3), il decreto andava confetinato. Orbene, quanto alla prima affermazione che ha determinato la statuizione di inammissibilità dell’opposizione per difetto di interesse, si rileva che secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 222/2015) in tema di spese di giustizia e di compenso al c.t.u., l’interesse alla contestazione del quantum (liquidato dal giudice) sorge, per tutte le parti, con la liquidazione del compenso stesso, la cui provvisorietà riguarda il diverso profilo dell’attribuzione del relativo onere economico, e che il giudice può modificare in applicazione del principio della soccombenza. Nella fattispecie esaminata dal precedente in esame, il ricorrente assumeva che l’interesse alla impugnazione del provvedimento, in ordine al quantum del compenso stesso, era sorto, per lui, unicamente a seguito del decreto che aveva posto il relativo onere anche a suo carico (a differenza dei precedenti, provvisori, che avevano posto il relativo onere unicamente a carico delle altre parti), ma in applicazione del principio che precede questa Corte ha osservato che la liquidazione del compenso, in riferimento al quantum, si era nella specie stabilizzata per la mancata contestazione nei termini di legge, e ciò sul presupposto che le contestazioni avverso il decreto dovevano essere tempestivamente avanzate anche da parte del soggetto a carico del quale non era stato provvisoriamente posto l’onere della liquidazione.

In tal senso occorre altresì ricordare che il decreto di liquidazione ha l’unica funzione di determinare le spettanze all’ausiliario e l’indennità di custodia, non anche quella di stabilire il soggetto tenuto al relativo pagamento, posto che la statuizione, contenuta nel medesimo decreto, che pone il pagamento a carico di una o più parti, ha carattere interinale e provvisorio, in quanto destinata a venir meno con la sentenza emessa all’esito del giudizio, essendo pertanto inammissibile il ricorso per cassazione contro l’ordinanza sull’opposizione del cit. D.P.R. n. 115, ex art. 170, qualora i motivi d’impugnazione attengano all’individuazione della parte tenuta al pagamento della somma liquidata dal giudice” (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 6766 del 2012).

D’altronde ad opinare come ha fatto il giudice del merito, la parte che non sia stata onerata del pagamento con il decreto di liquidazione, non potrebbe impugnare immediatamente il decreto in quanto priva di interesse, e si troverebbe vincolata, una volta ravvisata l’impossibilità di poter proporre successivamente opposizione, per l’intervenuta definitività del decreto, alla decisione presa con il decreto di liquidazione, anche nell’ipotesi in cui, a seguito della regolazione finale delle spese di lite, sia tenuta a fare fronte anche al costo della CTU.

Nè deve trascurarsi che (cfr. Cass. n. 25179/2013) il decreto di liquidazione di cui alla L. n. 319 del 1980, art. 11, ha e conserva efficacia esecutiva nei confronti della parte ivi indicata come obbligata e – finchè la controversia non sia risolta con sentenza passata in giudicato, che provveda definitivamente anche in ordine alle spese – ha l’effetto di obbligare il c.t.u. a proporre preventivamente la sua domanda nei confronti della parte ivi indicata come provvisoriamente obbligata al pagamento e solo nel caso di inadempienza di questa può agire nei confronti dell’altra, in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di c.t.u. e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell’onere delle spese, così che l’interesse a contestare la liquidazione prescinde dal fatto che il decreto veda l’opponente come provvisoriamente onerato del carico della liquidazione.

E’ quindi evidente la fondatezza del primo motivo con il quale si denunzia la violazione degli artt. 100 e 336 c.p.c., assumendosi quindi l’erroneità dell’affermazione circa la carenza di interesse all’opposizione, interesse che deve essere riscontrato non già in relazione alla provvisorietà della scelta della parte onerata contenuta nel decreto di liquidazione, ma in ragione di quello che potrà essere l’esito finale del giudizio, tenuto anche conto della responsabilità solidale di tutte le parti del giudizio nei confronti dell’ausiliario.

Ne discende pertanto la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione.

Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 195 c.p.c., comma 3 e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 51, alla luce dell’interpretazione offerta dal diritto vivente, in materia di liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice.

Si sostiene che con motivazione apparente sarebbero state disattese le doglianze mosse dal ricorrente avverso il decreto di liquidazione, assumendosi che si deducevano vicende che poco hanno a che fare con la procedura adottata.

Denunzia la C. che il diritto del consulente tecnico d’ufficio al compenso è escluso ove questi abbia posto in essere un’attività neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, con la conseguenza che ben potrebbe essere dedotta come motivo di opposizione al decreto di liquidazione l’eventuale nullità della CTU per violazione di regole procedurali o del contraddittorio, come appunto avvenuto nel caso di specie, in cui l’ausiliario aveva depositato la relazione senza avere dato la prova del previo invio alle parti di una bozza della consulenza, a mente di quanto previsto dal novellato art. 195 c.p.c..

In tal senso si richiama quanto affermato da Cass. n. 234/2011, a mente della quale deve escludersi il diritto al compenso del consulente tecnico in tutti i casi in cui la sua attività non sia neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perchè non conferente all’incarico a lui conferito (cfr. da ultimo: Cass. civ., sez. 2, sent. 31 marzo 2006, n. 7632) e sia in quanto svolta con l’inosservanza di norme sanzionata da nullità.

Nel primo caso, infatti, la prestazione del consulente tecnico non trova il suo fondamento in una disposizione dell’autorità giudiziaria, nel secondo, invece, non possono qualificarsi eseguite delle operazioni delle quali è vietato al giudice ed alle parti giovarsi nel processo. Il Tribunale, avendo affermato che la consulenza tecnica era stata dichiarata nulla dal giudice che l’aveva disposta per violazione del principio del contraddittorio, non poteva riconoscere, quindi, nessun compenso al consulente tecnico, giacchè la rilevata nullità escludeva l’avvenuta esecuzione delle operazioni di cui questo era stato incaricato e l’assunto che l’invalidità “non travalica le attività, in concreto, svolte dal consulente tecnico” è privo di significato ai fini del riconoscimento di un corrispettivo in assenza della specificazione di singoli atti validamente compiuti, che fossero suscettibili di autonoma utilizzazione processuale nonostante la disposta rinnovazione della consulenza da parte di altro ausiliare.

Ad avviso del Collegio la richiamata affermazione circa la possibilità di dedurre l’insussistenza del diritto al compenso per la nullità della relazione peritale deve essere puntualizzata nel senso che la patologia processuale dell’attività del consulente, idonea a determinare la nullità della relazione, deve essere stata previamente oggetto di decisione da parte del giudice di merito, cui deve ritenersi competa in via esclusiva il potere di addivenire alla dichiarazione di nullità della consulenza svolta.

Orbene nel caso di specie non emerge nè tanto meno è allegato che il giudice della causa di merito abbia dichiarato la nullità della CTU, così che appare preclusa, in assenza di una siffatta statuizione, addurre l’invalidità dell’attività dell’ausiliario a giustificazione dell’opposizione al decreto di liquidazione.

Conforta tale assunto la considerazione che ad opinare diversamente si presenta il concreto rischio di diverse e antitetiche valutazioni in ordine alla correttezza dell’operato del CTU, con la possibilità che si configuri la situazione alquanto anomala in cui, a fonte di una conclusione in punto di nullità della CTU da parte del giudice dell’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, che abbia per l’effetto negato il diritto al compenso dell’ausiliario, quella medesima attività, per la quale è stato disconosciuto il diritto al compenso, sia invece ritenuta utilizzabile dal giudice di merito, che fondi sulla stessa la sua decisione, avendo se del caso escluso la sussistenza dei dedotti profili di nullità, ovvero laddove la relativa eccezione sia stata intempestivamente sollevata dalle parti.

Il motivo deve quindi essere disatteso e le suesposte considerazioni danno anche contezza dell’infondatezza del terzo motivo con il quale si deduce l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 51 e 170, nella parte in cui non consentono al giudice dell’opposizione di negare il diritto al compenso per le ipotesi di nullità della CTU.

Infine il quarto motivo che denunzia la violazione dell’art. 92 c.p.c., laddove il giudice dell’opposizione non ha disposto la compensazione delle spese di lite, è evidentemente assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

Del pari deve ritenersi superata la richiesta di pronunzia del principio di diritto nell’interesse della legge.

In conseguenza della cassazione del provvedimento impugnato, segue il rinvio al Tribunale di Napoli in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo ed il terzo motivo, ed assorbito il quarto, cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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